Piano piano, come la famosa “gutta cavat lapidem”, cioè la goccia che scava la roccia, si cominciano a vedere le prime crepe nella maggioranza di governo che fino a poco tempo fa sembrava impossibile da scalfire. Quasi ogni giorno, ormai, assistiamo allo scontro tra Matteo Salvini e Antonio Tajani, con la premier che si infuria in silenzio e poi magari tenta di richiamare tutti all’ordine di scuderia. Ma non ci riesce, troppo forte è la concorrenza politico-elettorale tra i due “alleati” e troppe sono le questioni sulle quali non vanno d’accordo. Da quelle internazionali, come l’ordine di arresto emesso dalla Corte penale dell’Aja contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu, fino a quelle più italiche, come il canone Rai che la Lega aveva proposto di tagliare mentre Forza Italia si era opposta. E così l’altro giorno, in commissione bilancio del Senato, l’ex partito di Silvio Berlusconi ha votato insieme alle opposizioni contro l’emendamento leghista che intendeva ridurre il canone da 90 a 70 euro annui. Palazzo Chigi ha fatto sapere che si tratta di un “inciampo che non giova alla maggioranza”, mentre Elly Schlein ha parlato di un governo allo sbando.
E uno sbandamento piuttosto rilevante si è prodotto anche sul leader israeliano, con Salvini che si è immediatamente schierato contro il provvedimento di cattura (“Se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto”), mentre Tajani ha ribattuto che la politica estera la decidono lui e la premier. Quindi Salvini si occupi dei trasporti, settore di cui sarebbe il responsabile.
Il capo leghista ha subito “ubbidito”, precettando i lavoratori dei trasporti che dopodomani avrebbero dovuto partecipare allo sciopero generale di otto ore indetto da Cgil e Uil. Il ministro ha comunicato che più di quattro ore di astensione dal lavoro non sono ammesse, altrimenti i lavoratori che non dovessero adeguarsi andrebbero incontro a pesanti sanzioni. Ovviamente i sindacati hanno protestato con forza, annunciando ricorsi. Vedremo.
Nel frattempo vediamo e commentiamo quello che abbiamo visto finora a proposito di sbandamenti politici. Come quello di Meloni in Europa, dove pur di ottenere la vicepresidenza della Commissione per Raffaele Fitto ha cambiato bruscamente linea e ha ordinato ai suoi eurodeputati di votare a favore, mentre quando il governo di Ursula Von der Leyen si era presentato l’ordine era opposto, infatti i Fratelli europei avevano votato contro. Ma non è l’unica a sbandare, la nostra premier, anche la leader del Pd non scherza: infatti dopo aver tuonato per giorni e giorni contro la nomina di Fitto, è bastato un intervento del presidente Sergio Mattarella per far cambiare idea a Elly Schlein e “convincerla” a votare a favore, in nome dell’interesse nazionale visto che Fitto è un italiano. Ma non tutto il suo gruppo europeo l’ha seguita, qualcuno come Marco Tarquinio e Cecilia Strada sono rimasti coerenti e hanno votato contro. Vabbè, siamo abituati da sempre ai cambiamenti di linea dei nostri rappresentanti politici, d’altra parte come dice il vecchio saggio “solo i cretini non cambiano mai opinione”. In ogni caso la nuova Commissione europea ha ottenuto la maggioranza (anche se ha preso meno voti di quando si era insediata, qualcuno nel gruppo socialista stavolta non l’ha votata) e dunque via libera al governo europeo col consenso di Meloni e Schlein “unite nella lotta…”.
Ma torniamo alle crepe, nella maggioranza che ci governa e in quelle nell’opposizione. Un’altra piccola ma significativa fenditura si è aperta anche dentro Fratelli d’Italia a proposito della conferma di Evelina Christillin a presidente del Museo egizio di Torino tra i ministri Guido Crosetto, cofondatore del partito meloniano e che in Piemonte è considerato una potenza politica, e il ministro dei Beni culturali Alessandro Giuli che ha voluto la nomina di Christillin senza neanche avvertire il suo collega. I due non si parlano più, anzi all’ultimo consiglio dei ministri non si sono nemmeno guardati in faccia. Pare che Giuli si senta minacciato da Crosetto, il quale ha fatto sapere che non dimenticherà lo sgarbo. La premier ha dovuto invitare i due alla calma.
Ma anche dall’altra parte della barricata non mancano le fibrillazioni, soprattutto nel Movimento pentastellato che, dopo aver concluso felicemente (per Giuseppe Conte) l’assemblea con una schiacciante maggioranza a favore del nuovo corso, è ora costretto da Beppe Grillo, che ha impugnato il risultato, a votare di nuovo. Voteranno, non voteranno, ci sarà di nuovo il via libera alle alleanze elettorali e politiche col Pd? Oppure i Cinquestelle torneranno alle origini seguendo il diktat dell’ex comico genovese? Cioè a non essere né di destra né di sinistra, ovvero a non essere.
Riccardo Barenghi