La filiera agricola italiana il 17 novembre ha firmato un documento in cui si chiede alla Commissione Europea di modificare le sue proposte per la futura Politica Agricola Comunitaria (Pac).
Pietro Sandali, responsabile della Coldiretti per la Pac, quali sono le parti più critiche della riforma?
In primo luogo la nuova ripartizione del budget che prende in considerazione la superficie utilizzata in agricoltura da un paese. Questo criterio danneggia molto l’Italia, soprattutto se si pensa che nel calcolo non viene considerata la superficie utilizzata nell’orto frutta, settore che però dal 2014 entrerà anche esso nella politica agricola comune.
Condividete i principi della riforma?
Pur condividendo i principi della riforma, quando vengono esplicitati diventano spesso problematici. Per esempio sulle politiche di conservazione del territorio, il cosiddetto greening noi siamo d’accordo, ma la Commissione declinando il principio ha fatto delle regole che favoriscono i paesi nordici. Infatti, si prendono in considerazione nei criteri solamente i pascoli e non i terreni con arbusti o ulivi. Inoltre viene reintrodotto l’obbligo di non coltivare il 7% del terreno agricolo.
Sulla destinazione dei fondi?
Anche sul fatto di definire chi sia l’agricoltore attivo siamo d’accordo. Il problema nasce dalla definizione che l’Europa ha dato. Di fatto l’Ue finisce per dare aiuti anche a chi non dovrebbe riceverli.
Ulteriori punti di disaccordo?
Altro punto debole è la volontà di allargare lo strumento dell’associazionismo fino ad oggi molto utilizzato nel settore dell’orto frutta. La commissione sostiene un buon principio, ma non spiega come fare a realizzarlo.
Il governo Italiano ha saputo difendere il punto di vista italiano sulla riforma in questi anni?
Abbiamo cambiato quattro ministri in quattro anni. Ovvio che nelle riunione tecniche sulla riforma non sia stato facile per l’Italia difendere le sue posizioni.
Che possibilità ci sono di modificare la riforma?
Abbiamo avuto due incontri con il commissario europeo all’agricoltura, Dacian Ciolos, che ci ha fatto capire che ci sono margini di trattativa. L’unico punto su cui sembra essere più rigido è sul budget. Ma anche qui, se il governo saprà essere autorevole, si potrà probabilmente ottenere qualche miglioramento.
Negli anni sulla politica agricola comune vi sono state molte polemiche. C’è chi la vede come lesiva del libero mercato e chi la trova indispensabile in un mondo sempre più globale. Che ne pensa?
Ritengo che sia importante, anche perché è l’unico aiuto che riceve il settore agricolo. Bisogna stare però attenti a premiare chi davvero fa impresa e a non creare semplici rendite. Bisogna essere selettivi. Su questo per noi la riforma Fischer del 2003 è stato un primo spartiacque.
Allargando le prospettive, spesso si ha impressione che le norme europee nel settore agricolo rispondano agli interessi dei paesi nordici a scapito del modello mediterraneo.
Sì, l’Italia, spesso non riesce a fare valere la sua posizione di paese fondatore dell’Unione Europea. Ma bisogna anche dire che, anche quando l’Ue lascia spazi di manovra, l’Italia non è capace a coglierli perché abbiamo troppi livelli decisionali.
Luca Fortis