“Tutti a parole, dagli osservatori sovranazionali ai decisori interni, dicono che è necessario incrementare la produttività dei fattori, a partire dal lavoro. E quindi tutti affermano che si tratta di collegare i salari alla produttività. Salvo poi dimenticare che il salario minimo in Italia coincide con quello definito dal contratto nazionale che corrisponde a più del 90% del salario di fatto, mentre negli altri Paesi è indicato dalla legge in misura che corrisponde al 60%”. Cosi’ Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato, nella sua rubrica quotidiana pubblicata sul blog dell’Associazione amici di Marco Biagi.
A giudizio dell’ex ministro del Lavoro nel governo Berlusconi, “così in azienda lo spazio per un salario premiale è poco o niente. Se ne deduce che la via della produttività non è un nuovo modello centralizzato e uniforme di contrattazione deliberato dalle confederazioni che generosamente concedono limitati ambiti di autonomia alle aziende. La retta via è, al contrario, il primato del contratto aziendale come oggi anche in Francia si vuol introdurre”.
“Noi -ricorda Sacconi -per fortuna, abbiamo già dal 2011 una norma che lo disciplina, consentendo agli accordi di prossimità di derogare a leggi e contratti nazionali. Cosa serve in più? La riduzione del salario rigido uguale per tutti e l’aumento del salario variabile, grazie a una più robusta agevolazione fiscale di tipo strutturale che lo incoraggi e non lo punisca, come accade oggi, con l’aliquota marginale al 38%”.