Uno stanziamento di 3,3 milioni di euro. Sono questi i denari, finanziati col Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (Egf), che la Commissione europea ha messo sul tavolo da destinare alla riqualificazione degli oltre 1.600 ex-dipendenti della sede capitolina di Almaviva Contact, dopo il licenziamenti avvenuto lo scorso dicembre. Si apre dunque un nuovo capitolo della vicenda, sul quale, tuttavia, “tutto è ancora da chiarire e decidere” come ha sottolineato Riccardo Saccone, segretario generale della Slc Cgil Roma e Lazio.
Saccone qual è, ad oggi, la situazione dei lavoratori romani di Almaviva?
Abbiamo a che fare con una forza lavoro che ancora, naturalmente, non ha trovato una nuova occupazione. Ma credo che il problema principale dell’intera vicenda, come noi del resto abbiamo più volte sottolineato, riguarda quello delle tempistiche e delle modalità degli ammortizzatori sociali così come sono uscite dal Jobs Act. Non si può decidere, per legge o a tavolino, che il nostro mercato del lavoro sia improvvisamente diventato come quello della Danimarca.
Mi spieghi meglio.
Quello che voglio dire è che c’è sostanzialmente una disparità tra le tempistiche previste per gli ammortizzatori sociali e la capacità del mercato del lavoro, come ad esempio quello romano, di assorbire tutta questa forza lavoro, perché ci troviamo davanti ad una situazione ancora ferma e asfittica. È come pensare di vendere della benzina ad una persona che ha una macchina a diesel. Ad oggi, non ci sono ancora quei segnali che ci facciano pensare ad un cambio di rotta, e che diventino la base per dare il via ad un sistema virtuoso.
In modo crede che si debba intervenire?
Ormai l’errore più grave, ossia il licenziamento, è stato fatto. Ad oggi ritengo che la priorità sia di evitare tutta una serie di pratiche e situazioni che alla fine risultino essere dannose solo per i lavoratori. L’aspetto cruciale, come detto in precedenza, è cogliere la sfasatura significativa che sussiste tra la capacità di risposta del mercato del lavoro, e le tempistiche di attuazione e mantenimento degli ammortizzatori sociali, che sono molto più rapide e brevi. Le varie forme si sostegno, come la Naspi, sono scattate, per i lavoratori capitolini di Almaviva, nello scorso mese di marzo/aprile. È evidente dunque che siamo già nel pieno meccanismo del decalage, ed è altrettanto evidente che l’offerta congrua, legata ad un sistema che è stato strutturato attraverso l’Anpal, rischia di essere tarata sul momento in cui questa offerta arriva; dunque quella congruità potrebbe essere calibrata su un sistema di ammortizzatori sociali fortemente ridotto.
Gli oltre 3 milioni stanziati dalla Commissione europea come crede che verranno usati?
Ad oggi questa è un’ulteriore incognita. Si parla infatti di percorsi di formazione, riqualificazione, di orientamento per il reimpiego. Come si evince si tratta di misure assolutamente generali e generiche. La vera sfida sarà poi implementare nel migliore dei modi queste risorse. Quel che è certo è che la platea dei lavoratori è molto vasta, che già molto tempo è trascorso, e che dobbiamo fare i conti con un mercato praticamente ancora immobile. Non dobbiamo dimenticarci che la regione Lazio aveva, precedentemente, stanziato già una decina di milioni. Il tema vero è capire quale strada si vuole prendere. Se questa situazione deve essere solamente un’occasione per rodare e testare la risposta della “macchina” Anpal, con poca attenzione a quelli che sono i risultati prodotti, è un conto, io credo che invece si debba dare una prospettiva occupazionale seria, oltre che a provare a dare una risposta alla nefandezza del licenziamento.
Ha espresso, più volte, la sua perplessità sul sistema degli ammortizzatori sociali. In che modo, secondo lei, dovrebbero essere ripensati?
Almaviva è un caso esemplare di come il mondo dei call center sia assolutamente complesso. Sul versante degli ammortizzatori sociali, l’idea che questi costituiscano una parentesi temporanea della vita lavorativa di chi opera in questo settore è sbagliata, ma non perché si vuole alimentare, in questo modo, una logica di tipo assistenziale, ma perché questo settore vive di flessi e picchi di lavoro, come alcuni comparti dell’industria. Dunque la nostra richiesta di una rete stabile di forme di sostegno al reddito è giustificata da un bisogno oggettivo nel fornire delle risposte a tutto il comparto.
In questa fase quali sono i rischi da evitare per i lavoratori e in che modo crede che si potrà sviluppare l’intera vicenda?
Il primo, possibile, rischio è che a lavoratori che avevano un contratto che prevedeva sei o otto ore lavorative venga offerto loro un part-time di quattro ore. Il secondo, di carattere più strutturale, risiede nel sistema di ammortizzatori che, come già accennato, nelle modalità con le quali è stato pensato, potrebbe rischiare di non offrire il giusto sostegno ad un settore così articolato come quello dei call center. Per quanto riguarda gli sviluppi futuri, noi abbiamo presentato un nostro piano per la ricollocazione dei lavoratori, vediamo ora in che modo si vuole investire i fondi messi a disposizione. L’obiettivo è quello di garantire un sistema occupazionale serio, che possa rappresentare una garanzia non solo per gli ex dipendenti di Almaviva, ma anche per quelli di tutto il comparto.
Tommaso Nutarelli