Continua, nelle aule della sezione Lavoro del Tribunale di Roma, la vicenda del call center Almaviva. Le 15 pagine dell’ordinanza emessa dal giudice Dario Conte accolgono il ricorso di un manipolo di lavoratrici della sede capitolina contro il licenziamento messo in atto da Almaviva.
Nell’ordinanza, infatti, si sottolinea la nullità dei licenziamenti attuati nei confronti dei lavoratori dello stabilimento romano, “rei” di non aver accettato la proposta fatta propria dai colleghi della sede di Napoli, i quali hanno mantenuto la propria occupazione a scapito di una riduzione del salario, il mancato calcolo del Tfr, la soppressione degli scatti di anzianità e la predisposizione di meccanismi di rilevazione dei tempi di lavoro degli addetti.
Il documento ricalca il carattere discriminatorio e ritorsivo dei licenziamenti, ravvisabile nel fatto che la procedura era stata avviata in quanto le Rsu di Roma non avevano accettato l’accordo proposta da Almaviva. Inoltre l’ordinanza afferma la violazione, da parte dell’azienda, dell’art. 5 della legge n. 223 del 1991, per aver licenziato un numero di lavoratrici donne superiore alla percentuale occupata nelle stesse mansioni, e di aver violato i criteri stabiliti per legge nella scelta della platea degli addetti di Roma, data la sostanziale fungibilità di tutti i lavoratori.
Una partita che, tuttavia, non è ancora chiusa, come ha ribadito Riccardo Saccone, segretario generale della Slc-Cgil Roma e Lazio al Diario del Lavoro.
“Abbiamo accolto con grande favore questa ordinanza – ci dice Saccone- dopo la prima emessa dal giudice Buonassisi lo scorso novembre. Si tratta della seconda ordinanza che un giudice emette contro Almaviva, un’ordinanza molto tecnica, che entra nel merito delle questioni che attengono il diritto di scelta della platea da licenziare, e anche qui si palesa un chiaro profilo discriminatorio. Siamo dunque soddisfatti – prosegue – non solo perché si tratta di una causa che noi come sindacato stiamo patrocinando in prima persona, ma anche perché inizia a sollevare il velo su un tipo di narrazione nella quale si voleva far passare il messaggio che gli addetti di Roma abbiano scelto volutamente il “suicidio” dal punto di vista lavorativo”.
“ Il punto principale – continua il segretario generale – è che chi opera all’interno di un call center è sempre fungibile, dunque la scure aziendale che si è abbattuta sulla testa dei lavoratori capitolini nasce dal fatto che questi abbiano rifiutato le onerosissime condizioni imposte da Almaviva. In questo si palesa apertamente il carattere discriminatorio e ritorsivo del licenziamento, riconosciuto dall’ordinanza del giudice Conte”.
A questo punto, sottolinea Saccone, l’azione del sindacato non solo deve proseguire nelle aule del tribunale, ma la parte più importante consiste nel riaprire una nuova vertenza generale su Almaviva e su tutto il mondo dei call center. Saccone e Michele Azzola, segretario generale della Cgil Roma e Lazio, avevano più volte ribadito al Diario del Lavoro il timore che il caso Almaviva potesse aprire uno squarcio nelle relazioni industriali, una sorta di “cavallo di Troia” che avrebbe potuto dare il via a tutta una serie di atteggiamenti poco rispettosi dei diritti dei lavoratori da parte di altre aziende del settore.
“Il protocollo proposto dal ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e sottoscritto dai più grandi committenti – spiega Saccone – ha avuto il pregio di anestetizzare il settore, con l’impegno da parte degli attori che vi operano a non delocalizzare. Tuttavia non sono stati minimamente affrontati i problemi strutturali del comparto. Da quando è stata introdotta la clausola sociale i committenti non stanno più facendo vere e proprie gare, al massimo vengono confermati i vecchi affidamenti o si aumentano o si diminuiscono i volumi ove necessario. Il problema della delocalizzazione – continua il leader sindacale – è tutt’altro che superato. A Ivrea ci sono circa 360 lavoratori di Comdata in cassa integrazione. Tra i motivi addotti dall’azienda è che Telecom sta rivedendo i prezzi dei fornitori e alcuni pezzi di queste gare sarebbero assegnati ad altri, tra cui anche ad Almaviva, che le starebbe gestendo in Romania, dove ha aperto tre sedi. Dunque permane la spinosa questione della delocalizzazione”.
Altro elemento di criticità, spiega ancora Saccone, è il perdurare di determinate condizioni di alcuni stabilimenti di Almaviva, che possono innescare, potenzialmente, situazioni di dumping contrattuale.
“Continuano a esserci – continua il dirigente sindacale – numerosi lavoratori tra Napoli e Palermo in condizioni contrattuali estremamente svantaggiate, proprio perché avevano accettato le condizioni di Almamviva. Questo può, teoricamente, innescare una contrattazione al ribasso anche in altre aziende del settore. Naturalmente non sto dando un giudizio sulla scelta fatta dai lavoratori e delle strutture sindacali che hanno dovuto scegliere tra la perdita del lavoro e il mantenimento dell’occupazione a condizioni svantaggiate. Ma resta il fatto che abbiamo un’azienda come Almaviva, che attualmente partecipa a numerose gare, dove determinate condizioni, come quelle legate al costo del lavoro che per un call center rappresenta l’80% della spesa, la pongono in una situazione di concorrenza sleale nei confronti dei competitors. C’è dunque una situazione distorsiva che scarica tutto il suo peso sulle spalle dei lavoratori. È per questi motivi che è necessario riprendere in mano l’intera vertenza”.
Se questo è lo stato dell’arte dell’iter giudiziario per quanto riguarda i licenziamenti, la questione relativa allo stabilimento di Roma si muove anche su altri binari. Saccone ricorda come nella sede di Casal Boccone ci siano ancora un centinaio di dipendenti che stanno svolgendo attività inbound (la stessa dei lavoratori licenziati), nonostante Almaviva continui ad affermare la chiusura di questa sede.
“Ci lascia veramente senza parole la vigoria e l’arroganza con la quale Almaviva sta portando avanti questa posizione. La logica di questo comportamento è non solo quella di consolidare le proprie posizioni in sede giudiziaria, ma anche smorzare tutte le iniziative di opposizione. Se l’azienda affermasse il contrario darebbe forza alle cause dei lavoratori ancora in corso. Ed è allo stesso tempo risibile affermare che quella sede è aperta solo perché Almaviva ha vinto una commessa in regime di clausola sociale, che obbliga a impiegare lavoratori di quella stessa città. Il punto che a noi come sindacato interessa, è affermare che quella sede è aperta e che al suo interno si svolgono attività di inbound di call center. Questo, come si può capire, cambia oggettivamente lo scenario”.
Permane dunque da parte del sindacato la preoccupazione che una sottovalutazione della vicenda Almaviva possa innescare degli scenari sinistri per l’intero settore, dove le aziende possono muoversi in assoluta libertà, anche a discapito dei diritti dei lavoratori. Un settore che, secondo Saccone, potrebbe assumere un maggior peso strategico nelle telecomunicazioni e nella digitalizzazione dell’intero mercato del lavoro, a seguito di investimenti e innovazione professionale orientata nuove tecnologie.
Sul versante delle relazioni industriali, Saccone afferma come queste siano state usate come vera e propria “clava” da parte di Almaviva nei confronti dei dipendenti.
“Non possiamo assolutamente pensare che l’accordo di Napoli sia un exemplum della forza delle relazioni sindacali. Anzi, si tratta di un accordo nel quale emerge unicamente la legge del più forte, che costringe la parte debole, in questo caso i lavoratori, ad accettare condizioni al ribasso e non negoziabili. Le relazioni sindacali dovrebbero essere un confronto tra parti che portano avanti interesse diversi ma che agiscono nel reciproco riconoscimento, cosa che non si è verificata con Almaviva”.
Restano dunque molti i nodi da sciogliere, prima fra tutti la sorte dei primi 153 lavoratori reintegrati, che però sono ancora in attesa del pronunciamento di un giudice sulla illeceità del loro trasferimento a Catania.
Tommaso Nutarelli