Sostenibilità, innovazione tecnologica e formazione. Tutti elementi che per Onofrio Rota, segretario generale della Fai-Cisl, sono presenti nell’industria alimentare e nel comparto agricolo. La pandemia, afferma Rota, sta cambiando radicalmente le nostre vite. Un cambio culturale che il sindacato sta cercando di interpretare, e che registra un’incapacità della politica di leggere la complessità che ci circonda. La concertazione, quella vera, sostiene Rota, non passa di certo da Villa Pamphilj.
Rota, dopo un anno di pandemia qual è la situazione dell’industria alimentare?
Il 2020 è stato un anno impegnativo per l’industria alimentare, che ha visto la sottoscrizione di un rinnovo importante, al quale hanno aderito moltissime aziende. Nel nuovo contratto si guarda al futuro del settore, con la classificazione del personale e la definizione di nuove figure professionali, sempre più legate all’innovazione tecnologica. È chiaro che alcuni canali, come l’HORECA, stanno soffrendo maggiormente, e che un buon 20% non rientrerà a regime fino al 2022. Ma siamo convinti che l’alimentare made in Italy possa diventare protagonista per il rilancio complessivo dell’economia.
Una situazione difficile che non ha risparmiato neanche il comparto agricolo?
Si, anche per l’agricoltura il 2020 non è stato facile. Abbiamo registrato un calo di due milioni di giornate di lavoro, e alcuni comparti, come quello floro-vivaistico, hanno sofferto particolarmente. Ora abbiamo la partita sulla Pac, dove chiediamo che le aziende che beneficiano dei fondi siano rispettose dei contratti di lavoro. C’è poi la questione della messa in sicurezza del territorio contro il rischio idrogeologico.
Il sindacato ha proposto l’inserimento dei lavoratori del settore nel piano vaccinale.
Naturalmente ci sono altre categorie che devono essere in cima alla lista della campagna vaccinale. Penso a tutto il personale sanitario e alle persone fragili. Ma dobbiamo ricordarci che i lavoratori agricoli e dell’industria alimentare non si sono mai fermati, garantendo un servizio essenziale a tutti. Anche loro dovrebbero essere inseriti tra le priorità del piano vaccinale.
Quale può essere il ruolo del comparto alimentare nel post pandemia?
Siamo convinti che l’industria alimentare, che contribuisce al Pil in modo secondario solo a quello dei metalmeccanici, con quella della trasformazione, possano veramente essere le direttrici per il rilancio del paese. L’agricoltura 4.0, coniugata con la sostenibilità, l’innovazione tecnologica e la formazione, deve essere uno dei pilastri del Pnrr. Ora, più che mai, dobbiamo impegnarci per preservare la buona occupazione, e mettere i lavoratori, che per la trasformazione digitale rischiano di perdere il lavoro, nella condizione di non essere espulsi dal ciclo produttivo. È questo il compito che si deve assumere il sindacato, puntando sulla formazione e la riqualificazione professionale, offrendo una nuova visione del Paese.
Che contenuti dovrebbe avere?
Siamo davanti a una grande trasformazione. La pandemia sta cambiando, in modo radicale e permanente, le nostre vite. Per questo occorre ripensare il sistema economico e sociale in una prospettiva maggiormente inclusiva. Donne e giovani devono essere al centro della nostra agenda. L’organizzazione del lavoro va totalmente rivista, sia nei luoghi sia nei tempi nei quali il lavoro è svolto. La democrazia economica, nel quale non c’è più il vecchio contrasto tra capitale e lavoro, è un altro grande tema da perseguire, che richiede un significativo cambio culturale e una partecipazione vera, con la “P” maiuscola, e non solo di nome.
Venendo al ruolo del sindacato, nel discorso per la sua nomina a segretario generale della Cisl Luigi Sbarra ha riproposto la questione dell’unità sindacale.
Per la Cisl quella dell’unità sindacale è sempre stata una questione che non può essere pensata e costruita dall’alto, al livello dirigenziale possiamo dire, ma che deve nascere dal basso, dai luoghi di lavoro, e andare oltre le ideologie.
La contrattazione decentrata può svolgere questo ruolo?
Assolutamente sì. La Cisl aveva avuto una grande lungimiranza quando già trent’anni fa aveva iniziato a parlare dell’importanza della contrattazione di secondo livello.
Un fronte caldo rimane sempre quello della misurazione della rappresentanza. Crede che alla fine servirà una legge per realizzarla?
La misurazione della rappresentanza è un altro elemento oramai imprescindibile per il buon funzionamento del sistema delle relazioni industriali. I contratti registrati al Cnel sono troppi, e questo genera una corsa al ribasso, riducendo le tutele per i lavoratori. Ma la contrattazione rimane la strada maestra per porre rimedio a questa situazione. Nel Patto per la Fabbrica sono indicati già tutti gli strumenti per certificare il grado di rappresentatività delle parti sociali. Ancora non sono stati attivati gli Uniemens, che le aziende dovrebbero comunicare all’Inps, attraverso i quali si possono capire quanti lavoratori sono iscritti a uno specifico sindacato.
La politica ha quella visione di cui parlava?
Purtroppo no. Il maggior demerito della nostra classe politica è non avere gli strumenti necessari per leggere la complessità. L’attenzione che Draghi ha manifestato, fin dall’inizio, alle parti sociali è un fatto positivo, anche perché venivamo da una situazione di semplice e sterile ascolto da parte della politica. La concertazione, quella vera, è un metodo per trovare la sintesi migliore tra le diverse posizioni. È questa la strada per arrivare a costruire un Patto sociale per il Paese, non certo quello che abbiamo visto a Villa Pamphilj.
Tommaso Nutarelli