La Fp Cgil è stata promotrice, giovedì e venerdì scorsi, del seminario Il sindacato e la crisi – da “fenomeno organizzativo” a “organizzazione della rappresentanza”. Il Diario del Lavoro ha sentito Fabrizio Rossetti, segretario nazionale e responsabile d’organizzazione della categoria, per capire in che direzione si stanno muovendo i sindacati, italiani e non, per far fronte alla crisi che, in tutta Europa, ha investito il settore del pubblico impiego
Rossetti, in che modo la crisi economica si è ripercossa sul mercato del lavoro europeo e, in particolare, sul settore del lavoro pubblico?
Il filo conduttore che accomuna le criticità del settore pubblico italiano a quelle degli altri paesi dell’Unione, risiede non solo negli effetti dei vari memorandum della Troika, diretti ai paesi non in linea con gli standard di performance richiesti, ma anche nella logica “informale” che ha caratterizzato gran parte delle scelte dei vertici di Bce, Commissione Ue e Fmi rispetto a tutti i paesi, a prescindere dal loro stato di “salute economica”. Tale logica si basa sul principio secondo il quale per uscire dalla crisi e tornare ad essere competitivi sia necessario abbassare il regime di tutela dei diritti dei lavoratori. Scelta che, ovviamente, ha avuto ripercussioni pesanti, e omogenee in tutta Europa, sull’istituzione del sindacato.
Anche le strategie dei diversi sindacati d’Europa per far fronte a questa crisi sono state omogenee?
Sì. Questa volta il fil rouge, riassunto nella risoluzione comune dell’Epsu (la Federazione europea dei sindacati dei servizi pubblici, ndr), è quello della riorganizzazione del sindacato a partire dal suo “reinsediamento” nei luoghi di lavoro, mirato a recuperare non solo le nuove forme di lavoro generatesi a partire dalla crisi economica, ma anche quei lavoratori, soprattutto giovani, che non conoscono il sindacato né la sua importanza. Il seminario, però, è stato anche l’occasione per la condivisione di diverse strategie, attraverso due giorni di dibattito molto intenso e apprezzato da tutti i rappresentanti, proprio perché ha dato visibilità a soluzioni virtuose e innovative.
Ad esempio?
Unison, il sindacato del Regno Unito, ha condiviso la propria esperienza di riforma che ha permesso di invertire un trend di tesseramento, che durava ormai da cinque anni, e che ha portato a 170 mila nuove iscrizioni; mentre Kommunal, il sindacato svedese dei colletti bianchi, ha organizzato dei servizi d’ascolto settimanali nei posti di lavoro, a partire dai quali iniziare a delineare strategie d’azione mirate. C’è poi il caso del sindacato spagnolo Ugt che ha deciso di rafforzare il ruolo del sindacato nei posti di lavoro a partire dal rafforzamento delle categorie e dal conseguente ridimensionamento del peso della confederazione. Tutto il contrario rispetto alla strategia della Cgil.
A proposito di Cgil, questa settimana è prevista la Conferenza di organizzazione. Come si colloca il programma di rinnovamento della vostra categoria?
La riforma interna della Funzione Pubblica non solo si inscrive perfettamente in quella della confederazione, ma la rafforza e la avvalora, ribadendo che anche le categorie devono fare la propria parte. Durante il seminario, infatti, abbiamo condiviso con i colleghi stranieri le linee guida del nostro progetto di auto-riforma approvato lo scorso 27 aprile: rinnovare, censire, responsabilizzare e coinvolgere i comitati degli iscritti, pari a 10.000 posti di lavoro; ridurre la burocrazia sindacale; ristrutturare i bilanci, prevedendo più risorse per i posti di lavoro; e operare sui quattro punti maggiormente qualificanti dal punto di vista organizzativo, ossia formazione, comunicazione, tesseramento e tutela individuale.
Mentre sul fronte del rinnovo del contratto, come vi comporterete?
Riprendendo le mobilitazioni da dove le abbiamo lasciate prima della pausa estiva: tornando a manifestare contro un governo che mi sembra più che mai in totale confusione; basti ascoltare l’ultima idea, quantomeno bislacca, del ministro Madia, di ricavare i costi del rinnovo contrattuale dal blocco del turn over. Peccato, però, che il turn over sia fermo già da dieci anni! Le mobilitazioni, comunque, non saranno solo legate al rinnovo del contratto nazionale, ma anche a quella riforma della pubblica amministrazione che già sta mostrando i suoi disastrosi effetti.
Cos’è che proprio non va nella riforma?
Il fatto che si basa su una concezione della pubblica amministrazione sbagliata, o meglio anacronistica, perché legata al lavoro “da scrivania” che non contempla mansioni come quelle svolte da infermieri, vigili del fuoco, operatori ambientali, educatori e via dicendo. Una riforma che, a partire da questa visione distorta dell’amministrazione pubblica, non fa che riconfermarne l’assetto burocratico. Ad ogni modo, tra poco il governo sarà costretto a scoprire del tutto le proprie carte, con la presentazione del documento di stabilità 2016. E noi siamo pronti a dar battaglia.
Fabiana Palombo