“Un uomo coraggioso, leale, simpatico come sa essere simpatico un romagnolo, sempre un punto di riferimento. Hanno detto che era mio nemico, ma non è mai stato vero. Ci siamo sentiti tante volte, abbiamo avuto opinioni anche molto divergenti, ma l’ho sempre rispettato. Se oggi fosse qui con noi potrebbe aiutarci ad affrontare e risolvere i problemi del paese”. A parlare così di Luciano Lama è Cesare Romiti. Il capo della Fiat e il capo della Cgil, due mondi che però si trovarono e ritrovarono negli anni. E l’ex ad di Fiat è stato molto contento di partecipare al convegno del Senato di martedì 31 maggio, organizzato per celebrare i venti anni dalla sua scomparsa.
C’era il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quello del Senato, Piero Grasso, c’era, e ha parlato anche lui, il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, e naturalmente c’era l’attuale segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso. Tutti orchestrati dalla vicepresidente del Senato Valeria Fedeli, che questa manifestazione aveva tenacemente voluto e organizzato. Tutti hanno avuto parole affettuose e di grande considerazione per Luciano Lama. Hanno detto che era un grande sindacalista, uno dei padri della nostra democrazia, un uomo privo di opacità, hanno lodato il suo attaccamento all’unità sindacale, la sua capacità di far prevalere nei suoi giudizi sempre gli interessi globali su quelli particolari, la sua bravura nel guardare ai problemi ancora prima che si manifestassero appieno. Parole importanti, ma sui ricordi di tutti ha prevalso quello di Romiti, non fosse che perché era eterodosso sentir parlare bene di Luciano Lama chi era stato sempre dall’altra parte della barricata.
Per ricordare Lama, Romiti è tornato allo scontro più forte che ebbe con il sindacato, la vertenza Fiat del 1980. Ha rievocato quella mattina del 14 ottobre quando le delegazioni delle due parti si erano incontrate, quasi clandestinamente, come lui ha detto, e arrivarono i lanci delle agenzie che parlavano della marcia dei 40mila a Torino. “Si erano riuniti quella mattina, ha ricordato Romiti, duemila capi reparto e avevano discusso, poi erano usciti, avevano incontrato altra gente venuta a questa riunione e tutti si erano incamminati verso la prefettura per dire la loro alle autorità. A loro si erano poi uniti molte altre persone, torinesi che volevano che la vertenza finisse, e tutti assieme erano arrivati in prefettura”.
Bastò la notizia della manifestazione per cambiare il quadro generale della vertenza. “Al momento, ha ricordato Romiti, ci lasciammo, ma per rivederci la sera tardi nell’ufficio del ministro del Lavoro Franco Foschi e fu proprio Lama a dire che ormai la vertenza era finita. Noi domani, ci disse Lama, andremo a Torino a dire ai lavoratori che la vertenza è finita. E ci andarono a incontrare i lavoratori, anche se fu molto duro, perché gli animi erano accesi, ma la vertenza finì”.
Romiti ha anche tenuto a ricordare i motivi alla base di quella vertenza. ”La hanno chiamata battaglia, ha detto, ma io ho sempre avuto difficoltà a chiamarla così, era una vertenza, molto difficile, giustificata dal fatto che venivamo da un decennio terribile che aveva visto la nascita delle Brigate Rosse e del terrorismo. Noi non governavamo più le fabbriche, l’eversione si era annidata dentro le aziende e nel sindacato.” Romiti ha ricordato gli omicidi di Casalegno e di Ghiglieno e i 40 capi reparto che erano stati gambizzati. “Una realtà terribile, contro la quale si erse il sindacato e il Pci. Fu Giorgio Amendola con un articolo importante su Rinascita a indicare la via per il Pci, condannando il terrorismo. E Lama era d’accordo con lui: mi ricordo che una volta che eravamo soli gli dissi che Amendola aveva ragione e lui, proprio perché era d’accordo, non mi rispose, cambiò discorso. Ma quella è stata la sua battaglia importante”.
E, sempre per giustificare lo scontro del 1980, Romiti ha ricordato quanto occorse nel 1979. “Il reparto verniciatura presentava molti problemi, ha detto, perché era malsano, c’erano schizzi dappertutto e gli operai protestavano. Allora facemmo molti investimenti, installammo un sistema molto protettivo, in cui i problemi erano spariti. Ma anche così ci fu una protesta e fu indetto uno sciopero di reparto contro questa installazione. Lì capii che non c’era più niente da fare e si aprì la vertenza. Che fu durissima, ricordo la difficoltà quando dovetti firmare la lettera di licenziamenti per 21mila persone, non dormivo la notte. Ebbi contro di me la Confindustria e anche la politica, che voleva tornassi indietro. Ma io non tornai indietro, andai avanti, fino a quella mattina del 14 ottobre”.
Per Romiti, Lama servirebbe adesso al paese. “Adesso ci manca con il suo coraggio e la sua lungimiranza, oggi che il paese soffre per la mancanza di lavoro, perché i problemi del paese non si risolvono con buone leggi, ci vuole ben altro”.
Massimo Mascini