Giusto alla vigilia di Natale, il 20 dicembre scorso, la Cgil di Roma Est ha aperto una nuova sede a san Basilio. Per chi non è pratico della capitale: San Basilio è tra i quartieri più difficili di Roma. L’apertura della sede Cgil è cosi recente che nelle mappe di Google, a quell’indirizzo, si notano ancora le tre saracinesche arrugginite di ex negozi abbandonati: in realtà, proprio lì, oggi c’è l’ingresso su strada di uffici nuovissimi e luminosi, che forniscono servizi di vario genere alla cittadinanza. L’idea (o anche a sfida, si potrebbe dire) di aprire a San Basilio è da attribuire al gruppo dirigente della Cgil capitolina, di cui Natale Di Cola è il segretario generale. Ma San Basilio, spiega in questa intervista, è solo uno dei molti passi verso la riconquista della città.
“Il nostro obiettivo è innanzi tutto fare una azione di riconoscibilità – spiega Di Cola – Il paradosso è che a Roma, in tutto ciò che non è “centro”, non c ‘e insediamento del sindacato. I nostri iscritti vivono in quella che si può definire la Roma ‘’moderna’’, ma noi non ci siamo, siamo rimasti nel 900: oggi, per dire, non metterei la sede della Cgil a piazza Vittorio. E portare le sedi in periferia non è solo affittare un locale a un determinato indirizzo: è farci conoscere nel quartiere, offrendo i servizi che mancano, le consulenze sul lavoro, l’assistenza fiscale e tanto altro. Ma è anche, di conseguenza, un problema di risorse, e di capitale umano. Abbiamo bisogno di gente che la mattina si sveglia e va sul territorio a fare gli evangelisti del sindacato, a cercarsi le persone, una per una.
Ecco, appunto. Con quali risorse si realizza tutto questo?
I servizi che offriamo sono senza scopo di lucro, è con le tessere che si ottiene la sostenibilità economica. La scommessa è che quel luogo dove apriamo una sede sarà sostenibile. Noi, a Roma, dopo un decennio, nel 2023 abbiamo chiuso il tesseramento in positivo. Ma si parla tanto di investimenti, e dunque anche il sindacato deve investire: per i progetti di reinsediamento servono fondi.
Un altro passo, ancor più impegnativo, è la recentissima apertura di un grande centro per fornire servizi ai cittadini: 400 metri quadri, design moderno e accattivante, 180 servizi differenti, prima sparpagliati per la città, ora offerti tutti nello stesso luogo: che guarda caso confina, letteralmente, con la sede centrale romana della Cgil, zona Esquilino, creando una notevole connessione tra sindacato e servizi. Sarebbe questa la traduzione pratica del sindacato di strada, lanciato da Landini?
Stiamo cercando di fare quello che una volta facevano i partiti: stare sul territorio, aprire sedi, parlare con la gente, offrire soluzioni e ascolto. La Cgil come “servente” della comunità. Nella attuale crisi dei valori politici, noi vogliamo rafforzare quei valori che ci fanno essere un riferimento per milioni di persone. Abbiamo un simbolo fortissimo, il quadrato rosso sul bianco, e uno slogan giusto, “sempre dalla tua parte”. Come prima cosa vogliamo riprenderci le assemblee come occasione per parlare dei problemi generali. Questo è riportare il sindacato nei luoghi di lavoro: ripartire dalla partecipazione alle assemblee. Che sono retribuite, per cui le persone partecipano. E se nelle assemblee le convinciamo, poi verranno anche alle manifestazioni, o faranno gli scioperi con noi. Del resto, non abbiamo i media dalla nostra parte, e questo è il modo che abbiamo per farci conoscere: i centri servizi per i cittadini da un lato, le assemblee dall’altro, le periferie recuperate, e così via.
I partiti, invece, dai territori si ritirano, le sezioni non esistono più, tantomeno nelle periferie.
Di fatto, noi rappresentiamo una sorta di incubatore perché la politica torni sul territorio. Le persone ci parlano dei problemi di un quartiere, e noi cerchiamo di farcene carico, lavorando assieme a moltissime associazioni, e tessendo alleanze anche con i partiti. Lo stiamo facendo a Corviale, a Tor Bella Monaca, a Bastogi, a Quarticciolo, ad Anagnina e ora anche a San Basilio.
A proposito di politica e di partiti, che rapporto avete col Campidoglio di Roberto Gualtieri?
Il nostro giudizio è sempre sul merito delle questioni. Sul termovalorizzatore abbiamo una visione opposta: per noi la decisione di realizzarlo è un vulnus. Gualtieri poteva portare Roma nel 2050, invece la porta dove stava Milano vent’anni fa, al costo di ben sette miliardi: il che renderà l’inutile termovalorizzatore inamovibile, a meno di non volersi scontrare con la Corte dei conti per danno erariale. Dunque, per noi il termovalorizzatore è l’elefante nella stanza, l’elemento che blocca tutto il resto, tutto ciò che si sarebbe potuto fare per rendere Roma una città all’avanguardia rispetto allo smaltimento dei rifiuti e all’economia circolare. E dire che avevamo presentato delle proposte alternative fattibilissime, elaborate assieme a Legambiente. Questa, però, è anche la stessa amministrazione che abbiamo convinto a portare avanti uno dei più grandi processi di reinternalizzazione di un servizio pubblico, quello erogato dalla ex Roma Multiservizi, mettendo la parola fine ad una vertenza decennale. Quello che chiediamo è che si apra un confronto ampio sul futuro della città e su come migliorare la vita di chi abita e lavora a Roma non nei prossimi mesi ma nei prossimi 20 o 30 anni, a partire dal Giubileo.
Lei sostiene che Roma può diventare un modello, con questa amministrazione. Lo slogan ‘”Roma si prepara” lo estendete ai cambiamenti, alla trasformazione che, a partire dal Giubileo, si può realizzare. In che modo?
Il giubileo non deve limitarsi ad essere un evento, ma diventare un elemento di trasformazione della città. Noi abbiamo proposto al sindaco di affiancare, a quello religioso, tre Giubilei laici: il Giubileo delle Opere, il Giubileo del Lavoro e il Giubileo delle Persone. Sul primo abbiamo già sottoscritto un protocollo col Campidoglio che prevede, sul piano più strettamente sindacale, l’applicazione dei contratti nazionali degli edili per le stazioni appaltanti, l’esclusione del subappalto a cascata, eccetera. Ma il Giubileo delle Opere deve essere l’occasione per sanare la carenza di infrastrutture, superare i divari tra centro e periferie, e garantire uno sviluppo duraturo della Capitale, che vada oltre l’anno santo.
E gli altri due Giubilei laici?
Il giubileo del Lavoro riguarda innanzi tutto la precarietà, di cui Roma è, purtroppo, la capitale. Quasi il 50% dei contratti attivati nel 2022 è durato solo un giorno, la media nazionale è il 12%. Mentre la percentuale dei contratti stabili dal 2009 al 2022 si è dimezzata, dal 16% all’8%. In concreto, proponiamo il superamento del lavoro povero e precario a partire dai servizi pubblici e dalle società partecipate, un bollino di qualità per alberghi e strutture ricettive che assumono correttamente, un salario minimo comunale, un piano di assunzioni straordinario per il Comune e le partecipate. Il terzo giubileo, infine, parla alla povertà: Roma è anche la capitale delle diseguaglianze, sono oltre 700 mila le famiglie povere, ed è anche la citta dove si paga l’addizionale comunale più alta d’Italia. Noi chiediamo uno sgravio della pressione fiscale in base all’Isee, l’esenzione da alcune tariffe, un progetto di welfare comunale. E poi pensiamo a un atlante del sociale, la mappa di tutti i luoghi dove si può chiedere, e ricevere, aiuto. Gli italiani non vanno a votare, ma fanno tantissimo volontariato, e noi vorremmo riuscire a creare da questo una rete.
Tutto questo farebbe di Roma un modello nazionale?
In parte si, ma solo in parte. Purtroppo l’amministrazione capitolina non è costruita per fare lo sviluppo di Roma: non ha veri poteri, ha vincoli che costituiscono in pratica un tappo sulla città, che così non può crescere. Gualtieri oggi riesce a fare, e bene, alcune cose, ma gli investimenti cui ricorre non sono romani, sono europei, del giubileo, del Pnrr. E quando nel 2026 finirà il Pnrr, finiranno anche gli investimenti. L’unica riforma che il governo dovrebbe fare è quella di Roma capitale.
Quindi? Come si fa a trasformare Roma?
Dando più poteri al sindaco, e più soldi alla citta. Intanto, cominciando col riconoscere il reale numero dei residenti, che sono 700 mila in più rispetto a quelli censiti. Le risorse pubbliche sono decise sul numero dei residenti, quelli reali sono tre milioni e mezzo, ma Roma viene retribuita solo per due milioni e settecento mila. La verità è che lo Stato italiano non ha mai avuto un progetto per la sua capitale. Noi invece abbiamo una idea precisa di come vorremmo la città, e stiamo lavorando per realizzarla.
Nunzia Penelope