Tra cinque mesi Roma aprirà le sue porte, sante e logistiche, a oltre 35 milioni di pellegrini provenienti da tutto il mondo per celebrare il Giubileo. La città è un enorme cantiere a cielo aperto, e, pur tra ritardi e criticità, i lavori vanno avanti. Il sindacato, da tutto questo, non si e’ chiamato fuori, anzi: si impegna affinché corrano in parallelo i tre Giubilei laici “delle opere, del lavoro e delle persone” per dare risposte a urgenze non più differibili. Con l’obiettivo che Roma possa finalmente tornare a tenere il passo con le altre capitali europee, anche in termini di qualità della vita. Ne abbiamo parlato, in questa intervista, con Natale Di Cola, segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio.
Lo scorso 1° luglio insieme alla Uil avete presentato le 10 proposte su opere, lavoro e persone in vista del Giubileo a Roma: cinque “assi della precarietà̀” per tre “Giubilei laici”. In cosa consistono? Quali gli obiettivi?
Abbiamo utilizzato questo evento importantissimo del Giubileo, che richiamerà nella capitale oltre 35 milioni di pellegrini e porterà nei prossimi due anni a un miglioramento delle condizioni economiche complessive di Roma, come un’occasione trasformativa della città. I processi in atto, che riguarderanno le infrastrutture materiali – le opere, le infrastrutture – e immateriali – la rete sociale la rete di protezione dei cittadini più fragili e il lavoro – potranno dare una risposta ai gravi problemi che vive la Capitale. In particolare, attraverso ciascuno dei tre Giubilei laici “delle opere, del lavoro e delle persone” proveremo a dare risposte a urgenze non più differibili. Sul tema delle opere, l problema più grande è la qualità del lavoro intesa come lavoro legale, ma anche un lavoro sicuro. Per questo abbiamo firmato un accordo che vieta il subappalto con delle norme stringenti, perché il nostro obiettivo è zero infortuni, non morti, sul lavoro per il Giubileo. Il secondo aspetto, su cui nel mese di luglio abbiamo sottoscritto un primo accordo, è riguarda la precarietà del lavoro, la più grande piaga che vive la nostra città: a Roma quasi un contratto su due dura solo un giorno ed è un trend peggiorativo che non dipende dal ciclo economico. Per fare in modo che il lavoro sia meno precario bisogna agire. Lo può fare l’amministrazione pubblica, che è la più grande fabbrica di precarietà del nostro Paese, da una parte qualificando gli appalti, garantendo la giusta applicazione dei contratti, garantendo i giusti salari, contrastando il lavoro grigio, il part-time involontario e tutte quelle forme di sfruttamento che purtroppo sono alla base del modello economico della città; e dall’altra valorizzando il lavoro di qualità con un riconoscimento per le imprese che applicano i contratti i contratti firmati dalle organizzazioni nazionali maggiormente rappresentative che permettono a lavoratrici e lavoratori di non essere poveri lavorando. A Roma, infatti, c’è un problema di reddito: anche se l’occupazione cresce, non crescono i salari, soprattutto quelli dei soggetti più deboli che sono i giovani e le donne. Per il terzo per il Giubileo “delle persone” proponiamo che ci sia una risposta al crescente disagio sociale che riguarda la nostra città attraverso tre azioni: dare una risposta chi le tasse le paga (lavoratori e pensionati) e che contribuisce al sostentamento della città, togliendo quella che noi abbiamo definito la “tassa Roma”, – un’ extra IRPEF, la più cara d’Italia, che arriva fino a 180€; agire su due leve che corrispondono ad altre due emergenze: quella abitativa, che riguarda ormai fette sempre più grandi della città, e il disagio sociale, cioè le persone che non hanno la capacità di poter far fronte ai propri bisogni primari. A queste misure che riguardano i tre Giubilei ne abbiamo aggiunte altre, tra cui quella di potenziare i servizi pubblici di trasporto e pulizia, e garantire una vita di qualità ai romani promuovendo lo smart working legato agli eventi del Giubileo. Roma si deve preparare non soltanto per accogliere i pellegrini, ma soprattutto per fare in modo che nel 2027 non ci saranno soltanto nuove opere ma anche nuove imprese legali, che danno lavoro di qualità e anche un miglioramento delle condizioni di tutti i cittadini.
Il Protocollo d’intesa sulle relazioni sindacali sottoscritto con il sindaco Gualtieri il 9 luglio è quindi un recepimento delle vostre proposte? Si parla anche di “Patto per il Lavoro e lo Sviluppo Sostenibile di Roma Capitale e le azioni per un Giubileo delle Persone e del Lavoro”.
Come il protocollo sulle opere del Giubileo aveva dato risposte sui temi della sicurezza, quest’altro ha dato un’apertura sul lavoro di qualità. Adesso bisognerà fare in modo che venga rispettato, ma sui primi due grandi Giubilei laici ci sono state delle prime risposte. Quello su cui a settembre apriremo una vertenza, perché ancora non ha avuto risposte e confidiamo che nel bilancio ci siano, è il Giubileo delle persone ed è una delle critiche muoviamo al Governo. Il Comune di Roma è da solo in questo grande evento, con poche risorse per il progetto di accoglienza, per i problemi che avrà la città e senza soprattutto compensazioni per le cittadine e i cittadini circa gli effetti negativi che il Giubileo porterà con sé: un aumento dei costi, dell’inflazione dei beni primari, un aumento dei costi delle case e anche più in generale un aumento dei costi indiretti legati alla città, che favoriscono la rendita ma colpiscono il lavoro salariato, i pensionati e i ceti più bassi. Quindi ci concentreremo sull’aspetto che è quello di dare sollievo alle persone che a Roma soffrono.
Nel documento si cita anche il salario minimo comunale, che a Napoli è stato recentemente approvato dalla giunta Manfredi per i lavoratori dei contratti pubblici. In quel caso la Cisl ha espresso contrarietà. Qual è la vostra posizione?
Non esiste una misura che risolve i problemi e non basta soltanto dire che la paga minima oraria deve essere di 9 €: occorre fare in modo che la misura sia affiancata da altre azioni. Questa è una delle nostre richieste e sul tema il Comune ancora non ha dato risposte, ma pensiamo che in autunno, insieme a il protocollo per gli appalti che riguarda i servizi, si possa arrivare a una determinazione. Quando parliamo di salario minimo comunale non immaginiamo solo il salario orario, ma pensiamo a un salario complessivo minimo: si possono anche guadagnare 9€ all’ora, ma se lavoro 2 ore al giorno alla fine del mese non ci arrivo lo stesso. Bisogna garantire tutte le condizioni di legalità: avere la giusta paga, il giusto inquadramento, il giusto contratto e anche le giuste ore e ore di lavoro. Quindi il salario minimo sta in una strategia più complessiva ed è uno dei temi su cui noi continueremo a insistere. Le scelte che fanno altre organizzazioni sindacali sono scelte che riguardano loro. La Cgil su questo è determinata e siamo convinti che il Comune di Roma possa e debba agire anche questa leva.
Il sindaco Gualtieri, soprattutto attraverso la sua campagna social, sta cercando di dimostrare che il cantiere Roma prosegue senza intoppi. È la realtà?
Ognuno fa il suo mestiere. Il sindaco giustamente racconta l’evoluzione dei cantieri. Di ritardi inevitabilmente ce ne saranno e non riguardano solo le opere più conosciute. Io sono convinto che le opere principali non avranno grandi intoppi, al più potrebbero esserci problemi di poche settimane. È da riconoscere, però, che le difficoltà sono a monte: purtroppo questo Giubileo è stato preparato in fretta e furia, in appena 24 mesi, quando invece per il Giubileo del 2000 si era partiti a progettare cinque anni prima. Di certo non mancano l’abnegazione e la responsabilità delle lavoratrici e dei lavoratori che stanno facendo di tutto per rispettare i loro programmi e fare in modo che la città non abbia ritardi ed effetti negativi per le difficoltà oggettive che ci sono. Il nostro obiettivo è la riuscita dell’evento garantendo sicurezza e regole e stiamo facendo di tutto perché si faccia bene e in tempo. Per le lavoratrici e i lavoratori, oltre all’ordinanza per il caldo abbiamo chiesto anche delle attività di prevenzione: di protezione civile, distribuzione di acqua, maggiori pause, luoghi dove ci si possa riparare dal caldo, istruzioni di come comportarsi in taluni casi. La Cgil ha istituito anche un numero verde per il caldo e sono tantissime le telefonate che riceviamo dalle lavoratrici e lavoratori che chiedono un’indicazione su come comportarsi, su come fare in modo che la salute venga prima di tutto. Morire sul lavoro è una barbarie del nostro tempo. Come con le ordinanze, con le proposte e anche con la pressione sul Comune siamo convinti che si possa fare la differenza.
Il fatto che così tanti così tanti lavoratori chiamino attesta la fiducia che hanno nei confronti del sindacato?
Quando il sindacato lancia messaggi chiari, si occupa delle condizioni materiali e prova a risolvere concretamente i problemi, i lavoratori mostrano sempre una grande attenzione e partecipazione. Penso anche che la grande mobilitazione che abbiamo fatto in questi mesi – nella nostra Regione sono stati fatti due scioperi a difesa di salute e sicurezza e sicurezza, la grande manifestazione contro il caporalato e lo sfruttamento, le due manifestazioni di Latina per la vicenda vergognosa che ha colpito lavoratore agricolo Satnam Singh – dimostrano come le lavoratrici e i lavoratori, quando c’è determinazione, il messaggio è chiaro e c’è unione, rispondono alle nostre richieste. Così come hanno risposto in questa gara di solidarietà che la nostra organizzazione ha lanciato e che ci ha permesso di raccogliere tante risorse grazie alle donazioni volontarie per contrastare le illegalità e lo sfruttamento. A fronte di ciò e visto che purtroppo le morti sul lavoro, lo sfruttamento e le ingiustizie continuano a colpire i lavoratori, abbiamo deciso di istituire da settembre una vera e propria cassa di resistenza contro lo sfruttamento, contro il caporalato, per aiutare le lavoratrici e i lavoratori in difficoltà. La Cgil sta provando a costruire sempre di più un sindacato di strada vicino alle persone, che prova con la sua azione non soltanto a rivendicare la garanzia dei diritti e delle opportunità per le lavoratrici e i lavoratori, ma di conseguire risultati concreti. Diamo una proposta complessiva e siamo convinti che non ci sono più alibi rispetto al ciclo economico e che la fase di sviluppo non sia soltanto delle ricchezze di pochi, ma sia lo sviluppo di un’intera comunità rappresentata per la stragrande maggioranza da lavoratrici e lavoratori, pensionati e pensionati.
Sono anni che si parla di emergenza abitativa. Tra l’altro con il Giubileo, ma in generale con l’overtourism, molti affittuari stanno subendo un rialzo dei canoni di locazione e addirittura rescissioni di contratto per convertire le abitazioni in bnb e case vacanza. A pagare sono i nuclei a basso reddito e gli studenti. Da chi dipende questo fenomeno e come si argina?
Nelle nostre proposte, per provare a fronteggiare questo fenomeno, abbiamo previsto di dare più poteri al Comune nei controlli, ma anche di istituire un registro che garantisca anche l’emersione. Si consideri che a fronte di 32.000 strutture Airbnb censite, il Comune dichiara che ce ne siano almeno 15.000 abusive. C’è quindi anche un tema di legalità e di controllo di questi ambiti. Per quanto riguarda il tema della casa, quanto sta avvenendo può produrre un peggioramento grandissimo delle condizioni: insieme alla diminuzione dell’offerta – che colpisce sia i giovani (i 70.000 studenti universitari fuorisede a cui viene negato, di fatto, il diritto allo studio) che gli anziani – si verifica, da una parte, un un aumento dei costi e di scelta che fanno i proprietari, dall’altra va sempre di più esplodendo la richiesta di case popolari. Proprio giorni scorsi il Comune ha pubblicato la graduatoria dei nuclei familiari in attesa di una casa popolare e si tratta di 50.000 persone. Parliamo di nuclei composti da più persone, ma anche da tantissimi single che nel 90% sono anziani soli, che non hanno la casa, che hanno una pensione minima e che vedono peggiorare e crollare la loro qualità della vita. Il Comune di Roma ha promosso un piano casa, che sì deve ancora dispiegare i suoi effetti, ma da solo non può bastare. Il Governo, invece di fare ulteriori condoni edilizi che non risolvono i problemi della casa e che la Cgil contrasta fortemente, dovrebbe realizzare veri e propri investimenti per aumentare le case popolari e contrastare un altro dei fenomeni che a Roma è incredibilmente sottovalutato: 120.000 appartamenti vuoti. Quindi il problema non è che mancano le case, il problema è la distribuzione della ricchezza e le scelte di governance pubbliche che sono stati fatti negli negli ultimi anni. Questa è una emergenza che guarda al presente, perché riguarda gli anziani ma anche tantissime famiglie di lavoratrici e lavoratori, ma soprattutto guarda al futuro e se non si interviene verrà consolidata una dinamica che vede diminuire i residenti della Capitale diminuire i residenti nella Capitale e vede aumentare sempre di più le persone anziane. Roma non è una città attrattiva per i giovani e chi può va via; per gli anziani, invece, non è facile emigrare. Per cui, se non si interviene sul tema della casa si avrà un depauperamento della città, perché meno residenti vuol dire meno risorse per il Comune e un cambiamento del tessuto sociale e della stessa città. Il tema dell’emergenza abitativa, poi, va affrontato dando una mano anche attraverso sostegni economici a chi è in difficoltà. Ma soprattutto dando la casa, che è un diritto per noi irrinunciabile e sul quale in questo autunno, insieme alle nostre rivendicazioni a tutela del welfare pubblico, continueremo la mobilitazione nei confronti del governo.
L’impressione è che spesso gli interventi abitativi siano più legati ai punti nevralgici del turismo, come nel caso di Firenze la cui sindaca ha introdotto il divieto (contestato dal Tar) dell’uso per residenza temporanea e delle locazioni turistiche all’interno del nucleo storico. In questo modo si dimenticano le periferie, dove tra l’altro c’è un’alta concentrazione abitativa. Crede ci sia consapevolezza da parte delle amministrazioni?
Purtroppo no e lo dicono anche i dati, perché stanno diminuendo anche i contratti di affitto registrati e stanno aumentando gli importi. Ovviamente è un problema che nei centri storici non vivano più cittadini residenti, ma il problema abitativo, in una città come la nostra, riguarda tutto quello che sta fuori dell’anello ferroviario e fuori dal raccordo anulare. I veri problemi stanno lì dove vive la stragrande maggioranza dei cittadini. Parliamo di rapporti numerici che non giustificano l’attenzione esclusiva per il centro storico. Il problema della casa riguarda l’estensione della città e non i centri storici e soprattutto ne va lo sviluppo urbanistico delle città: se non ci sono politiche permetto a cittadini e cittadine di vivere in affitto, avere una casa popolare o avere la possibilità di acquistarla in tutte le parti della città ci sarà uno sviluppo sbagliato delle stesse. Sicuramente è un problema generale che non va relegato soltanto agli effetti del turismo, che è uno dei temi, ma non è il principale. Quello principale è che ci sono persone, che pur lavorando e avendo un reddito, non possono più vivere neanche periferia in una casa dignitosa. Questo influisce negativamente anche sullo sviluppo delle nuove generazioni.
A proposito di redistribuzione della ricchezza: a San Lorenzo, quartiere di Roma, la cordata di privati e di banche Regeneration ha sì riqualificato la zona, ma per certi aspetti lo ha anche privato della sua identità. Dando in mano ai privati e alle banche il patrimonio abitativo di Roma non si rischia una redistribuzione verso l’alto?
Purtroppo le politiche della casa tuttora in atto producono un aumento delle diseguaglianze e le disuguaglianze sono uno dei mali della Capitale. Aumenta sempre di più la ricchezza nelle mani di pochissimi e diminuisce sempre di più la capacità del ceto medio e delle fasce la popolazione più basse di poter far fronte ai bisogni primari, perché magari qualcuno sceglie di curarsi invece di pagare l’affitto, sono aumentati gli sfratti e magari qualcuno viene sfrattato perché ci sono scelte speculative da parte degli imprenditori. È necessaria una politica complessiva. Anche in questo caso, come per il mondo del lavoro, non esiste un’azione che risolve tutti i problemi: non risolvono i problemi eliminando la possibilità di avere nuovi Airbnb, come non si risolve soltanto costruendo nuove case. C’è necessità di una politica complessiva che metta il diritto alla casa, insieme alla sanità e al lavoro, tra i bisogni primari per una città che possa offrire un modello di sviluppo sano. Dopo anni di abbandono è un tema su cui bisogna mobilitarsi tutti, perché se cambiano le cose per le fasce più in difficoltà ne avranno un beneficio tutti quanti.
Quindi occorre conferire più centralità alle amministrazioni cittadine?
Sicuramente sì. Però, ed è il motivo per cui noi da settembre torneremo a mobilitarci e a scioperare, il Governo fa l’opposto: invece di dare risorse, opportunità e produrre progetti di prossimità, si Governo continua a tagliare, producendo una diminuzione dei servizi ai cittadini, e le amministrazioni devono farvi fronte da sole. Magari l’ultimo taglio non ha diminuito il numero di risorse per le case, ma ha tolto le risorse per l’assistenza domiciliare, tolto le risorse per aprire un asilo, ha tolto le risorse per garantire la manutenzione ordinaria di un parco. Una città complessa e con le contraddizioni e difficoltà come Roma non può essere gestita attraverso un altro ente locale. Quindi, come avviene in tutto il mondo, vanno riconosciuti a Roma i poteri che merita e la possibilità di affrontare tutte le difficoltà di una Capitale e, in generale, dare più possibilità agli enti territoriali di poter svolgere la loro attività.
Guardando alla storia recente della città, c’è un rischio concreto che anche stavolta alcuni interventi non saranno strutturali?
Purtroppo sì, il Governo non ha previsto le risorse perché questo avvenga, continuando a guardare soltanto all’emergenza dello svolgimento dell’evento e non gli effetti che avrà nel lungo termine per la città, dal punto di vista urbanistico, sociale, dei costi e della ricchezza.
Perché Roma in tutti questi anni si è trovata decentrata dal tessuto produttivo e non si è riuscita a cogliere le occasioni per provare ad arginare i suoi problemi endemici?
Sono tanti fattori. Uno è il mancato riconoscimento delle risorse a livello nazionale. L’altro è legato al modello di sviluppo produttivo e quindi alla capacità e alla qualità delle aziende. Come detto, la precarietà è il primo problema della nostra città, ma se un è contratto precario non è perché lo sceglie un lavoratore, ma perché l’azienda lo propone. La questione riguarda qualità del tessuto produttivo. E poi sono state fatte delle scelte sbagliate, cioè non si è investito in quei settori che guardano all’innovazione, a una maggiore redditività, ad allargare e accrescere la dimensione di impresa. Sono concause che hanno fatto scegliere più una via comoda che è quella di sostenere la rendita sia finanziaria sia economica ma anche di posizione, invece che scommettere su tutti quei valori aggiunti che ha la nostra Capitale. Tutti questi elementi hanno prodotto una città che rimane seduta sulle sue grandi potenzialità e non è riuscita ad affrontare né trasformazioni, pensiamo alla sfida urbanistica di come cambiata la città, né le trasformazioni che riguarda il tessuto produttivo.
Quindi il fatto che Roma con il Giubileo potrebbe finalmente rimettersi al pari con le altre città europee, in termini di qualità della vita e dei servizi, resta una speranza più che una prospettiva?
Sarebbe sciocco dire che con il Giubileo si recuperano in un solo anno 20 e passa anni di errori. Quello che noi auspichiamo è che si metta in moto un processo di buon lavoro che ci porti, magari nel 2033 quando ci sarà il prossimo Giubileo per il bimillenario della morte di Gesù Cristo, a essere al pari con le altre città europee, ad aver fatto i conti con i problemi e aver trovato soluzioni strutturali che cambiano concretamente la vita di chi lavora e di chi vive nella città.
Ha detto che siete un sindacato di strada. Proprio in virtù di questa vostra identità come si struttura e com’è il dialogo con le istituzioni cittadine?
La nostra è una continua richiesta di partecipazione e di concretezza. Siamo ossessionati dalla necessità di dare risposte ai cittadini, e dunque abbiamo un ruolo molto proattivo: non stiamo ad aspettare le convocazioni o a bussare alle porte per avere spazi perché le nostre idee vengano ascoltate affinché la sofferenza delle persone che rappresentiamo trovi una risposta. Quindi più che un rapporto di riconoscimento istituzionale, noi puntiamo a un percorso partecipativo perché un’organizzazione ramificata e rappresentativa come la nostra non soltanto può ottenere dei risultati per i propri associati, ma può essere un agente di partecipazione trasformativa. Noi ci intendiamo così: da una parte esercitare il nostro ruolo, ma dall’altra aiutare perché il nostro obiettivo conclusivo è quello di vivere una città più accogliente e sostenibile. Non abbiamo solo una missione istituzionale, ma siamo agenti di cambiamento dello status quo che non ci piace e che fa soffrire le persone.
Quindi il rapporto con Gualtieri e la sua squadra è tutto sommato positivo?
È un rapporto dialettico basato sulla nostra determinazione e pressione. Ci piacerebbe un progetto più condiviso e infatti il Patto per il lavoro dovrebbe essere questo: avere una base condivisa per un nuovo modello di sviluppo senza dover essere sempre noi a proporre mozioni, attività e priorità di azione. Veniamo da una fase di sindacato nel territorio di strada che ci ha visto protagonisti negli ultimi 100 giorni di due grandissime raccolte firme: una che ha portato a Roma e nel Lazio più di 100.000 cittadini a sottoscrivere i quattro referendum sul lavoro, e l’altra che in questi giorni ci ha sommerso di cittadine e cittadini che vogliono fermare l’autonomia differenziata. Noi siamo per il giusto ruolo degli enti territoriali di prossimità e contro chi vuole invece distruggere la Costituzione e il lavoro. Il primo obiettivo dell’Autonomia Differenziata è quello di distruggere i contratti nazionali, che sono la leva principale per garantire le lavoratrici e i lavoratori nel nostro Paese. Quindi non solo attività istituzionale, ma anche attività tra le persone. E notiamo che quando il messaggio è chiaro, la gente partecipa e vuole dare una mano per cambiare le cose.
Elettra Raffaela Melucci