Tra un mese ci sarà il congresso della Cgil, momento determinate per la confederazione.
Nicoletta Rocchi, segretaria confederale, spiega perché è stata presentata una mozione alternativa a quella guidata da Epifani, osservando che non c’è stata sufficiente sensibilità rispetto all’esigenza di un confronto profondo su alcune criticità dell’organizzazione.
Nicoletta Rocchi, perché si sono confrontate due mozioni?
Esisteva una lettura comune a tutta l’organizzazione sulla crisi e sui problemi che stanno colpendo il Paese. Eravamo tutti consapevoli dell’ineguaglianza della ridistribuzione della ricchezza e della scarsa crescita della produttività, oltre della forte caduta del pil rispetto alle medie europee. Alcuni però ritenevano necessaria una discussione per approfondire alcuni temi come l’aumento delle disuguaglianze, la mancanza di una dinamica sociale all’interno della società italiana, la flessibilità del mercato del lavoro che spesso si traduce in precarietà a danno soprattutto dei giovani. E pensavano che il congresso potesse essere la sede ideale per l’approfondimento di questi temi.
Era indispensabile questo confronto?
Sì, perché di fronte al problema della crescente ininfluenza della Cgil sia nei rapporti con il governo sia con le controparti, occorrono elementi di discontinuità che mettano in discussione una politica troppo tattica. Mobilitazioni e scioperi non bastano, perché altrimenti si è solo un’organizzazione di testimonianza. C’è il problema di una corrispondenza tra qualità e quantità dei risultati.
Voi criticate la strategia della confederazione?
Ci sono problemi acuti da risolvere, per esempio per la riforma della contrattazione. L’accordo di gennaio 2009 ha sancito una deviazione dei rapporti sindacali, non più basati sulla contrattazione collettiva, ma su un nuovo modello neo-corporativo che mira a indebolire il ruolo delle parti sociali.
E questo è stato solo un tassello di un progetto più generale di natura politica ed economica, di cui fanno parte la legge della certificazione estesa agli enti bilaterali, il processo di lavoro e il collegato lavoro che ha chiuso il cerchio, con il risultato di ridurre il ruolo del sindacato nella contrattazione.
A nostro avviso a questo punto si dovrebbe imporre una riflessione nella Cgil. Rimanere legati all’espressione “abbiamo fatto il possibile” è solamente una forma di autoreferenzialità, la risposta di una gerarchia chiusa. La necessità di una discontinuità rispetto al passato nasce dal bisogno di pensare al futuro. Se la Cgil subisce un accordo separato, la reazione non può essere solo una resistenza passiva.
L’avvio di questo dibattito non c’è stato, l’operazione non è decollata.
Purtroppo no. La maggior parte dell’organizzazione ha vissuto la nostra mozione come una prevaricazione di due grandi categorie, la funzione pubblica e i metalmeccanici, leggendola come una dialettica tra potentati e l’ha respinta. Ed è stato un peccato perché la confederalità si basa sul confronto e noi questo cercavamo, non certo giochi di potere. E invece c’è stato solo il computo delle reciproche forze attraverso il voto. Ma non era questo che serviva alla Cgil.
Certo aver ottenuto solo il 17% della confederazione è un risultato modesto.
A nostro avviso la mozione pesa di più, sia per come si sono svolte le votazioni, sia per gli accordi intercorsi con lo Spi. E poi in alcune realtà abbiamo avuto ottimi risultati.
Molti hanno visto convergere sulla vostra mozione forze non omogenee tra loro.
Il gruppo è eterogeneo, ma noi crediamo che la trasversalità sia un valore aggiunto. Infatti siamo d’accordo sui punti principali: gestione del mercato del lavoro, democrazia e rappresentanza sindacale, riforma della contrattazione, maggiore flessibilità e autonomia delle categorie nei rinnovi contrattuali. E soprattutto siamo concordi nel chiedere discontinuità sulla linea politica e una sorta di sburocratizzazione del sindacato.
Ora cosa succederà?
Non è chiaro. Bisogna vedere se ci sarà lo spazio al congresso confederale per una sintesi politica. La scelta è tra un governo unitario della confederazione e la divisione tra maggioranza e opposizione, che all’interno della Cgil non c’è mai stata. Tutto dipenderà dalle decisioni che verranno prese in quella sede. Non a caso tutti i congressi finora si sono conclusi con l’elezione del solo segretario generale e non delle segreterie.
E’ possibile un allungamento del mandato di Epifani?
Non ci sono le condizioni. La regola degli 8 anni è stata applicata in modo draconiano e poi sarebbe necessaria una modifica dello statuto. E non credo che questa soluzione sia nelle corde dello stesso Epifani.
Francesca Romana Nesci