La lunga crisi che si trascina dagli anni ‘90 ha desertificato il Sud, depauperandolo delle nuove generazioni, costrette come i loro avi a prendere la strada della migrazione, gettato fasce crescenti di popolazione nel pozzo nero della povertà e aumentato a dismisura le diseguaglianze. La nostra ricchezza residua, come ben messo in evidenza da Luca Ricolfi, sempre più poggia sullo sfruttamento dei lavoratori neri ridotti in schiavitù e sulle risorse residue accumulate dai nostri vecchi. Questa sorta di glaciazione, in cui con l’immiserimento si è perso il senso di comunità e di solidarietà, che pure erano stati valori fondanti della nostra società a partire dalla metà del secolo precedente, ha profondamente investito anche il nostro Servizio Sanitario Nazionale.
Sottrazione di risorse, cattiva gestione, dismissione di ospedali e chiusura di servizi, ingerenza della politica e riduzione degli organici sono state le premesse per una drammatica involuzione del sistema: caduta della qualità complessiva, massiccia delocalizzazione dei servizi verso il settore privato e mortificazione del personale sanitario con interventi legislativi che hanno ampiamente superato l’accanimento.
Quella che era un volta una professione in cui il medico era responsabile della presa in carico del paziente e dell’intero processo di cura si è trasformata in una sorta di lavoro “uniformemente generico” remunerato a prestazione oraria e piegato a un processo di “proceduralizzazione” spinta in cui i tempi predefiniti per ogni “atto” sanitario sono una riedizione del vecchio cottimo della fabbrica fordista.
Una sorte drammatica che ha radicalmente trasformato il profilo professionale del medico, un volta simbolo di sapere, saper fare e saper essere, in un’ anomica attività subordinata, in cui linee di attività, controllo di gestione e validazione dei risultati vengono decisi da una burocrazia che si fa vanto di una capacità gestionale che spesso non ha mostrato di avere.
Un’attenzione ossessiva alla quantità delle prestazioni fatte in cui non c’è spazio alcuno a valutazioni sulla qualità e appropriatezza dei servizi erogati e cosa più importante agli esiti di salute effettivamente conseguiti. Una gestione complessiva della aziende sanitarie in cui la partecipazione dei professionisti è un inganno e una mistificazione
E’ un punto di onore per il nuovo governo e in particolare del ministro della Sanità Roberto Speranza avere messo in agenda una profonda inversione di queste politiche restrittive, riaffermando con forza anche, al recente congresso sui 60 anni di vita del sindacato Anaao, che “l’universalità del servizio non è negoziabile” e che il governo avrebbe difeso la sanità come non succedeva da tempo.
Parole che non si udivano da tempo e che così dovrebbero essere declinate per essere conseguenti; implementazione del fondo sanitario nazionale (FSN), garanzia di effettiva esigibilità in tutto il territorio nazionale del Livelli Essenziali di assistenza sanitaria (LEA), eliminazione delle barriere di accesso ai servizi (superticket sanitari e lunghe file di attesa), contrasto alle ipotesi di autonomia regionale differenziata di stampo leghista e infine rivalutazione della risorsa umana
Le sfida che il nuovo governo ha di fronte sono queste e la prima occasione per passare dalle parole ai fatti è la Legge di Bilancio attualmente in discussione in Parlamento. Il Ministro Speranza ha così sintetizzato le novità importanti in esse presenti:
- Incremento del Fsn di 2 miliardi (una misura in realtà prevista dal governo Gentiloni e che comunque resta subordinata alla stipula di un nuovo Patto della salute tra governo e regioni che ora sembra avere finalmente imboccato la via dl rush finale, nonostante le consistenti riserve del MEF).
- Stanziamento aggiuntivo di 2 mld sull’edilizia sanitaria e l’ammodernamento tecnologico” (somme tuttavia non immediatamente disponibili perché ridistribuite su un lungo arco temporale).
- Abolizione del superticket (a partire dal 1° settembre 2010) con un risparmio per i cittadini di 560 mln di euro.
- Aumento del tetto di spesa per il personale con la messa a disposizioni di risorse per combattere la carenza di personale sanitario con un incremento sei volte superiori rispetto a quelle 2019 (il tetto rispetto alla quota incrementale del fondo sanitario di 2 milardi viene fissato non più al 5% ma al 15%).
- Applicazione della legge Madia anche ai precari della sanità permettendo così, attraverso lo scorrimento della graduatoria vigente degli idonei ai concorsi, la stabilizzazione anche ai precari in possesso dei criteri (tre anni) a tutto il 2019.
La finanziaria inoltre incrementa le risorse a carico dello Stato da destinare alla contrattazione collettiva nazionale per il triennio 2019-2021. Gli incrementi retributivi per il personale della Pubblica Amministrazione saranno del 1,3% nel 2019, del 1,9% nel 2020 e del 3,5% dal 2021 mentre per il personale dipendente e convenzionato del Ssn gli oneri resteranno (purtroppo) a carico dei bilanci delle relative amministrazioni ed enti; un limite non indifferente perché tali risorse dovranno essere reperite nell’ambito del FSN e dunque a scapito (come sostengono le regioni) di altre voci di un bilancio ancora inferiore alle necessità.
Di fatto comunque con tali stanziamenti e dopo la sigla da parte dl governo del contratto di lavoro del personale medico, avvenuta a novembre scorso con un incremento medio salariale di 190 euro mensili, la stagione dei blocchi contrattuali (durata per oltre dieci anni) sembra finalmente finita.
Rimangono ovviamente in piedi tutti i problemi accumulatosi in questo lungo inverno della sanità: le stratosferiche differenze interregionali con tre regioni collocate a un discreto livello e il resto d’Italia in una condizione allarmante; il sotto-finanziamento del sistema, l’esplosione della spesa sanitaria privata a diretto carico del cittadino che ora viaggia a quasi 40 miliardi di euro; la mancanza di un efficiente sistema di cure primarie; l’immiserimento professionale e le condizioni di sfruttamento del personale sanitario accompagnato a una profonda e crescente demotivazione.
Su questi temi il Diario del lavoro ha deciso di avviare una discussione pubblica invitando a uno stesso tavolo esponenti del sindacato, presidenti di regione, deputati, rappresentanti dell’imprenditoria sanitaria privata, la presidenza della Fnomceo e lo stesso ministro della Sanità Roberto Speranza che chiuderà i lavori.
ll convegno, che si terrà presso la prestigiosa sede romana del Cnel in Viale Lubin 2 il giorno 4 febbraio, vedrà una introduzione del Presidente Tiziano Treu, una mia relazione introduttiva sui temi in discussione a cui faranno seguito gli interventi dei discussant chiamati al confronto.
Un occasione per verificare, anche con il contributo delle forze di opposizione, la qualità e la consistenza delle iniziative che il governo in essere ha già messo in campo e le altre che intende promuovere per la sanità italiana a partire da quel piano straordinario di investimenti di 10 miliardi entro il 2023 che il premier Conte e il ministro Speranza hanno annunciato.
Roberto Polillo