“Né sfruttati, né bamboccioni” (editore Egea) questo il titolo del libro di Francesco Cancellato da qualche mese in libreria, ma che ha aperto un dibattito assente nell’agenda politica e mediatica del paese ovvero quella “generazionale”. L’Italia è un paese che invecchia sempre più, con tassi di natalità all’1.3%
Ripercorre in poco più di cento pagine, in maniera precisa e puntuale, le cause dell’ingessatura del nostro Paese. Cancellato, dal suo libro, lancia un appello per risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia, come recita il sottotitolo.
Grande assente di questo dibattito, vitale per il Paese, la Politica, impegnata più sulla ricerca del consenso elettorale di breve periodo che su scelte politiche di ampio respiro.
Cancellato, inanellando una serie di numeri e indicatori, certifica come le scelte della politica nel corso degli ultimi 30 anni sono state tutte orientate alla tutela del presente a scapito del futuro e dei giovani. Non è un caso se per le pensioni spendiamo il 15% del pil, ovvero il 33% della spesa pubblica e il 28,6% della spesa sociale. Quattro volte quanto spendiamo in istruzione.
Il nostro sistema scolastico, come racconta il direttore dell’Linkiesta.it, in passato prevedeva un collegamento virtuoso tra istituti tecnici e fabbisogni dell’industria e del lavoro, un collegamento che si è via via allentato, mutando anche il ruolo degli istituti tecnici, sempre più simili ai licei, mentre le università sono sempre più disallineate con l’offerta di formazione e che richiede il mondo del lavoro. ll conto che rischiamo di pagare per questa situazione, rischia di essere salato. Siamo alla vigilia di Industry 4.0 e di grandi cambiamenti, l’Italia, seconda manifattura d’Europa, avrebbe bisogno di professionalità per macinare PIL e ricchezza che invece mancano.
Il potenziamento degli ITS, per l’autore è fondamentale per riallineare mondo della scuola e del lavoro. Oggi sono poco più di 8.000 i diplomati degli ITS contro i 900.000 della Germania. Un divario che spiega i nostri ritardi in competitività e innovazione, un lusso che non possiamo più permetterci, che si traduce in quella che Cancellato definisce educational mismatch, la versione italiana dello skill mismatch, ovvero lo scollamento tra la formazione dei giovani, le loro aspettative ed esigenze del mercato del lavoro e delle imprese. Un bel guaio: “un paese che produce pochi laureati e da cui i laureati emigrano, è un paese che ne produrrà fisiologicamente meno e da cui i laureati emigreranno sempre più. E meno cervelli ci saranno più gli investimenti esteri – in assenza di altri stimoli (…) – diminuiranno. E più gli investimenti diminuiranno, più accumuleremo ritardi in tecnologia e innovazione rispetto agli altri paesi industrializzati. E maggiore sarà il gap tecnologico, meno la nostra economia avrà bisogno di figure professionali ad alta scolarizzazione. E meno ne avrà bisogno, meno ne formerà, o investirà per formarle, sapendo che una volta formate se ne andranno”.
Un quadro aggravato anche dalla previsione del World Economic Forum: il 65% dei bambini che hanno iniziato le scuole elementari nel 2017 farà un lavoro di cui, oggi, non conosciamo nemmeno il nome. Non possiamo pensare di prepararci al futuro con questo scollamento tra mondo della scuola e mondo del lavoro.
In un Paese come il nostro dove i ragazzi smettono di studiare prima e iniziano a lavorare dopo rispetto ai coetanei europei, occorrerà una rivoluzione culturale per fare della lifelong learning il valore aggiunto per le competenze delle persone e, quindi, per la competitività del nostro sistema.
La formazione deve tenere insieme i bisogni delle persone con le traiettorie di sviluppo delle imprese. Un percorso che può guidare la riscossa di un Paese come il nostro che, come ci ricorda il demografo Alessandro Rosina, vedrà il numero dei settantacinquenni superare quello dei trentacinquenni: una vera e propria bomba a orologeria che rischia di far deflagrare il nostro stato sociale e il nostro futuro, specie se non sapremo costruire un welfare moderno che risponda ai nuovi bisogni e ai nuovi lavori, tenendo insieme crescita e aumento della natalità.
Con l’ultimo contratto nazionale dei metalmeccanici, è stata aperta la frontiera dei flexible benefits che consentono di dare una risposta collettiva alle esigenze individuali delle persone e delle loro famiglie. Certo, occorre indirizzarne la spesa verso una dimensione sociale e collettiva, come ricorda il pedagogista Jhonny Dotti, per costruire un welfare inclusivo e attento alle disuguaglianze, che trovi realizzazione all’interno di circuiti virtuosi fatti di imprese, servizi e cooperative campioni di sostenibilità sociale, economica e ambientale. Solo così si potrà incidere nelle scelte politiche e fare cultura tra le persone, disegnando nuovi orizzonti di speranza.
Esistono già esempi virtuosi in questo senso come la fantastica esperienza della NCO, la Nuova Cooperazione Organizzata, la rete di cooperative casertane che sta riscattando i terreni confiscati alla camorra promuovendo un nuovo di modello di sviluppo sostenibile, attento alle persone e al territorio. Realtà nata attorno alla legge campana sui budget di salute, lo strumento ideato dallo psichiatra Angelo Righetti, già collaboratore di Franco Basaglia, che reindirizza le risorse utilizzate per l’assistenza passiva dei malati e dei disagiati verso forme attive di lavoro e reinserimento sociale, coniugando cura della persona, economia civile e benessere.
Dentro questo contesto può trovare risposta la voglia dei giovani, emersa dalla ricerca sui Giovani svolta da Fim Cisl e Istituto Toniolo, di partecipazione e impegno, dando loro protagonismo per realizzarsi e costruire il proprio futuro.
Certo, è tutto molto difficile in un Paese che deve fare i conti con un debito di 2.300 miliardi, più 76 di interessi. Cancellato auspica la ripresa della spending review e la lotta ai diritti acquisti che per noi rappresentano dei privilegi se non sono per tutti. E di privilegi si muore perché non esistono diritti senza la responsabilità verso gli altri. Se oggi il livello occupazionale è tornato ai livelli pre-crisi ma il PIL è 5 punti sotto, significa che la produttività è negativa e che, quindi, sono bassi salari e competitività.
Bisogna spingere sulla contrattazione territoriale e aziendale, sulla partecipazione organizzativa dei lavoratori, per migliorare la produttività e redistribuirne i guadagni, favorire l’innovazione e rafforzare gli investimenti; fenomeni ripartiti grazie al piano Industria 4.0 come dimostrano i dati UCIMU (Unione Italiana Costruttori Macchine Utensili) sulla vendita di macchinari. Parallelamente, occorre allineare il sistema scolastico alle esigenze future delle imprese, contrastando la disoccupazione giovanile e l’arretramento delle competenze.
Cancellato offre grandi spunti di riflessione lasciando aperto il campo delle soluzioni. Attorno a questi temi, infatti, devono trovare alleanza tutti quei soggetti, persone e associazioni che, da posizioni diverse, possano mettere in campo tutto il coraggio e la creatività necessarie per costruire soluzioni efficaci e di prospettiva.
Andrea Donegà – segretario generale Fim Cisl Lombardia