Valorizzare la contrattazione aziendale, la partecipazione dei lavoratori alle decisioni d’impresa, procedere all’applicazione dell’accordo del 28 giugno risolvendo il problema della rappresentanza sindacale, chiarire i ruoli delle parti sociali e del governo rispetto allo sviluppo del paese e alla crescita della produttività. Ma anche “ripensare” le relazioni industriali e la contrattazione come strumenti veramente utili alla crescita e non come percorsi obbligati. Sono questi i punti più importanti condivisi ieri nel corso dell’incontro organizzato dalla Scuola di relazioni industriali di Telecom a Roma a cui hanno partecipato il vice ministro del Lavoro, Michel Martone, il direttore delle relazioni sindacali di Confindustria, Pierangelo Albini, il segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini e il coordinatore di segreteria generale della Cgil, Gaetano Sateriale.
Dal convegno è emerso che la vera sfida è quella di smontare quello che non funziona e non di difendere quello che c’è. In questo le relazioni industriali possono fare la loro parte, ma è necessario l’indirizzo pubblico per stabilire le linee guida sulle quali procedere. Le parti sociali, in questo caso rappresentate da un esponente di Confindustria e da due sindacalisti di Cgil e Cisl, hanno ribadito la volontà di far la loro parte per contribuire alla crescita e questo ha trovato il consenso del vice ministro Martone. Nello stesso tempo hanno sottolineato la “negligenza” del governo al quale chiedono di fare la sua parte, ma di ascoltarli, perché la produttività non è un tema astratto, né la sua crescita può dipendere solamente dalle decisioni di imprese e sindacati. Per un vero cambiamento è necessario cominciare a fare un ragionamento di prospettiva e non procedere con interventi fondati sulla logica di rimediare all’ultimo minuto. E’ necessaria una politica industriale, servono infrastrutture e interventi mirati. “Lo Stato – ha detto Albini – si mangia tutto quello che guadagniamo. Non può continuare a costruire scivoli come gli ammortizzatori sociali ma deve intervenire su politiche attive del lavoro. Anche la riforma Fornero è stata una delusione, un “manuale del questurino” come lo ha definito Albini, perché in essa non c’è un’idea condivisa sul futuro dell’Italia, ma solo un sacco di divieti e barriere e non lascia respiro”.
I protagonisti delle relazioni industriali devono essere “utili” a qualcosa, ha detto Albini, attraverso la contrattazione, che non va fatta perché scade la validità degli accordi, ma perché può contribuire alla crescita. Sul tema della contrattazione imprese e sindacati sono d’accordo che bisogna ripartire dall’accordo del 28 giugno e procedere con una valorizzazione del secondo livello e un alleggerimento del contratto nazionale. Infatti, ha spiegato Sateriale, “se nelle singole imprese ci sono problemi reali è lì che vanno risolti, lì c’è la sfida vera. Noi vogliamo che il secondo livello sia il cuore della contrattazione”. E per fare questo, aggiunge, è necessario snellire il contratto nazionale, mantenendo però la certezza dei due livelli, con un contratto nazionale che dia garanzie uguali per tutti in merito ai diritti e all’incremento salariale, e un contratto aziendale che distribuisca il salario di produttività legato ai risultati che è possibile raggiungere.
A livello aziendale, infatti, le relazioni sindacali possono creare opportunità, dice Santini, per aumentare la qualità, la competitività e la redditività e lo possono fare meglio sollecitando il livello di partecipazione tra imprese e lavoratori a questi processi. La contrattazione poi, aggiunge il sindacalista, dovrebbe dare più peso al salario di produttività e addirittura, per reggere la competizione, si potrebbe anche pensare di rinnovare prima gli integrativi aziendali e poi procedere con i rinnovi dei contratti nazionali che rimangono il punto di riferimento per tutte quelle aziende in cui non si negozia il secondo livello.
Francesca Romana Nesci