Una palla di marmellata tenuta con l’elastico. Rino Formica usò quest’espressione nell’aprile del 1989 per prevedere l’imminente e inevitabile caduta, avvenne nel giro di tre mesi, del governo presieduto da Ciriaco De Mita. L’instabile e rissosa alleanza della Dc con il Psi di Bettino Craxi faceva da fragile e impotente cornice ai grandi cambiamenti la cui onda lunga sta ancora sommergendoci. Era l’anno in cui crollò il muro di Berlino. L’anno nel quale Achille Occhetto annunziò il cambio di nome del Pci. L’anno nel quale la neonata Lega, in occasione delle elezioni europee, ottenne in Lombardia un imprevisto 8,1 per cento che divenne il 18,9 alle amministrative. Il vecchio sistema dei partiti era in agonia. E i suoi rantoli continuano ad echeggiare nell’aria mentre si valutano gli effetti della nuova tornata elettorale.
Palla di marmellata può essere la definizione adatta anche per l’attuale esecutivo. Ma forse sarebbe riduttivo usare quest’immagine per descrivere solo i rapporti di forza tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Ad essere trattenuta unicamente da un inutile elastico è l’intera situazione politica. La lunga transizione non è terminata e i suoi esiti finali non sono prevedibili. Con buona pace degli opinionisti, perenni ospiti dei dibattiti televisivi, che litigano sugli epifenomeni, si affannano a spiegare il giorno dopo quello che non avevano capito il giorno prima e distribuiscono a raffica un’arrogante confusione. Come don Ferrante rischiano di essere travolti da quella peste di cui negano l’esistenza.
Se i punti di riferimento e gli alleati del trionfatore di domenica 26 maggio sono Marine Le Pen e Nigel Farage, la nuova tragedia italiana è solo al primo atto. Lo scontro con l’Unione sarà ancora più duro e la nostalgia della lira riprenderà linfa. Quando le parole d’ordine sono meno immigrati e meno tasse, anche tutto il resto funziona per sottrazione, in una folle corsa al ribasso di regole, doveri e diritti, una discesa negli inferi della tribalità ammantata di nazionalismo. E se nel giro di quattro anni i consensi tributati a Matteo Renzi sono stati sostituiti da quelli ora affidati al ministro degli Interni, vuol dire che la volubilità dell’elettorato è attratta come una calamita dall’uomo forte di turno capace di interpretare paure e speranze. Un infantilismo politico e una regressione culturale da far spavento.
Il Pd è in ripresa e questa è una buona notizia per tutti coloro i quali, a prescindere dalle opinioni personali, sanno che un’opposizione forte ed autorevole è condizione essenziale per il buon funzionamento del gioco democratico. Le liste di Nicola Zingaretti hanno mietuto successi soprattutto nelle grandi città, conferma di un partito che attrae più i bourgeois che la plebe. Ci vorrebbe un novello Menemio Agrippa. I Cinquestelle, perdendo enormi pezzi sia a destra sia a sinistra, restano un’incognita. Si scioglieranno al sole come fu per l’Uomo Qualunque?
La palla di marmellata tracima come un colossale blob. E a proposito di Rino Formica e della sua profezia sulla fine del governo De Mita, fa sorridere che il vecchio Ciriaco sia stato rieletto sindaco di Nusco esattamente trent’anni dopo la sua uscita da palazzo Chigi. Gli intellettuali della Magna Grecia non si arrendono.
Marco Cianca