di Pietro De Biasi, direttore relazioni industriali dell’Ilva
L’accordo pilota raggiunto ieri in Renania Westfalia tra l’IGM e l’associazioni degli imprenditori metalmeccanici tedeschi Gesamtmetall per il rinnovo del contratto in scadenza il 30 aprile prossimo, suggerisce alcune considerazioni nel confronto con la situazione italiana.
Innanzitutto il contenuto dell’accordo: per il periodo 1 maggio 2010-31 marzo 2011 le parti hanno concordato di prorogare gli attuali stipendi tabellari (cioè aumento zero), prevedendo 2 una tantum per complessivi € 320; per il periodo successivo, 1 aprile 2011-31 marzo 2012, hanno previsto un aumento pari al 2,7%, con la possibilità mediante un semplice accordo aziendale (ciò in Germania vuol dire senza la partecipazione del sindacato) di posticiparlo di 2 mesi. Inoltre è stata concordata la possibilità, sempre tramite accordo aziendale, di ridurre l’orario di lavoro fino a 28 ore settimanali (da 35), retribuendone 29,5, al fine di evitare licenziamenti collettivi. L’IGM ha accettato infine di riproporzionare 13^ e 14^ sulla retribuzione mensile per i cassaintegrati (Kurzarbeiter), abbassando in questo modo i costi per le aziende (fino ad oggi queste voci supplementari della retribuzione non venivano inserite nel calcolo dell’ indennità di cassa integrazione ma pagate separatamente a carico delle aziende). Il costo della cassa (Kurzarbeit) per le imprese che all’inizio della crisi era più di un terzo del normale costo orario è stato così progressivamente ridotto, prima con un intervento normativo (riduzione del costo contributivo), poi con quest’intesa tra le parti sociali, a ca il 15% del costo orario, non più così distante dai valori italiani (la nostra cassa integrazione con un costo a carico dell’impresa sotto il 10% resta il più “generoso” ammortizzatore sociale di questo tipo nel panorama europeo. Non va però sottaciuto che il valore dell’indennità di cassa in Germania (Kurzarbeitergeld) resta, nonostante la limatura operata dal rinnovo contrattuale, più alto che in Italia.
Cosa suggerisce quest’accordo?
In primis è facile osservare che in una situazione di grave crisi per il settore metalmeccanico tedesco, crisi del tutto comparabile con lo stato del comparto in Italia, le parti sociali hanno raggiunto un accordo con grande anticipo sulla scadenza contrattuale, dopo solo due incontri preliminari. Anche in Italia l’intesa è stata siglata in anticipo e dopo una trattativa insolitamente breve, a paragone degli abituali snervanti bizantinismi, ma a prezzo di una drammatica rottura del fronte sindacale.
Nel merito del contenuto dell’intesa non si può non rilevare la superiore “flessibilità” delle parti contraenti. L’IGM è entrata nella trattativa rinunciando a precisare una richiesta economica, segnalando così la disponibilità, fin ad oggi inaudita, alla Null-Runde per il 2010, e concentrando la piattaforma sulla difesa dell’occupazione, in sintonia con le esigenze e le preoccupazioni dei lavoratori tedeschi. Questa impostazione non si è tradotta però in una sterile e sostanzialmente propagandistica richiesta di un blocco generalizzato dei licenziamenti, ma nella ricerca di soluzioni concordate che permettano concretamente di ridurre il ricorso all’extrema ratio. La differenza di approccio rispetto alle posizioni, solo apparentemente simili, della FIOM in Italia non potrebbe essere più evidente e segna plasticamente la differenza tra un sindacato autorevole ed un’organizzazione che cerca di nascondere la palese crisi della sua capacità negoziale con una deriva “politicista” che in realtà non fa altro che aggravarne la crisi stessa.
Altro elemento che va sottolineato è la differenziazione degli aumenti contrattuali: in Germania, 0 nell’anno di crisi e 2,7%, molto più dell’inflazione prevista, nel periodo di auspicata ripresa; in Italia i vincoli dell’accordo interconfederale, ancorato al totem dell’inflazione, rendono molto ardua, se non impossibile, una risposta contrattuale coerente con la congiuntura economica. E’, peraltro, vero che il modello italiano affida alla contrattazione aziendale il compito di valorizzare e differenziare le diverse condizioni di produttività, redditività etc., ma questo è ben lungi da aver trovato un’applicazione coerente e funzionale agli obiettivi che si prefigge; basti pensare, solo a titolo di esempio, che la contrattazione aziendale si applica prevalentemente nella grande impresa, dove cioè l’andamento complessivo del settore si riflette con maggior aderenza, e molto meno nelle PMI, dove davvero spesso l’amplissimo spettro delle diverse situazioni abbisognerebbe di un indicatore più sensibile del mero andamento del settore e dell’andamento generale dei prezzi.
Un’ ultima considerazione va fatta sugli strumenti concordati per meglio gestire le criticità occupazionali. I contraenti metalmeccanici tedeschi si sono preoccupati di alleggerire i costi degli ammortizzatori sociali per le imprese anche al prezzo di qualche ulteriore taglio a carico dei dipendenti (ricalcolo 13^e 14^ all’interno del Kurzarbeitgeld, riduzione orario di lavoro con riduzione retributiva quasi proporzionale) ampliandone così l’utilizzabilità; facilitati in questo compito dal livello dell’indennità di cassa. La situazione è diversa in Italia. Come detto, il nostro paese è dotato del più ampio sistema di protezione degli occupati esistente in Europa: cassa integrazione, riduzione orario di lavoro sovvenzionata (contratti di solidarietà), limitazioni molto stringenti ai licenziamenti, sia collettivi che individuali (con all’interno di ciò una forte differenziazione tra grande e piccola azienda, tra lavoratori a tempo indeterminato e gli altri). Di contro mancano quasi completamente forme di assistenza e di welfare to work agli inoccupati (nonostante che il basso tasso di occupazione sia un’autentica zavorra alla crescita economica) e, parzialmente, ai disoccupati. Eppure il dibattito e le misure assunte restano sostanzialmente concentrati sulla popolazione occupata; ne è un esempio lo sviluppo della cd. bilateralità tra le parti sociali, un istituto sostanzialmente corporativo volto ad ulteriormente rafforzare le protezioni e l’assistenza ai lavoratori occupati. In questo senso sia il recentissimo avviso comune sulla Formazione, sia lo stesso contratto metalmeccanico con l’istituzione del cd. Organismo bilaterale nazionale, finalizzato, almeno negli auspici sindacali, a rafforzare il “welfare di settore”, sono un chiaro indice di questa tendenza. Il risultato immediato è duplice: il cuneo contributivo a carico delle aziende, e dei lavoratori italiani, che è addirittura maggiore di quello tedesco, viene in prospettiva ulteriormente appesantito dai costi della bilateralità; il necessario riequilibrio all’interno del nostro sistema di welfare viene, non solo rimandato a tempi migliori, ma reso di fatto ancora più arduo ed oneroso.