Alessandro Riello, patron dell’Aermec, azienda – gioiello che produce condizionatori in Veneto, non usa mezzi termini per criticare il primo provvedimento del ministro Di Maio sull’occupazione: “Sono molto preoccupato per gli effetti del decreto dignità. Il mio timore è che faccia aumentare il lavoro nero e la precarietà, danneggiando allo stesso tempo le imprese”.
Veramente, dottor Riello, il decreto dovrebbe servire proprio a ridurla, la precarietà. Cosi dice Di Maio, e cosi dicono anche i sindacati.
Guardi, io trasformo in lavoro a tempo indeterminato tantissimi contratti a termine. Trovo la persona, la tengo per 18 mesi, 24 mesi, il tempo di formarla, vederla alla prova, e se funziona la assumo a tempo indeterminato. Quindi, chiamiamo le cose con il loro nome: si parla molto di populismo, be’, questo è un provvedimento populista, è l’essenza del populismo. Complica la vita ai lavoratori e alle imprese, senza dare risultati utili a nessuno. E finirà per deteriorare anche le relazioni sindacali nelle aziende. Tra un anno, quando tireremo le somme, scopriremo che l’effetto di questo decreto sarà difficile da gestire”.
Ma le assunzioni potra’ pur continuare a farle anche col decreto, no?
Il primo risultato del decreto sarà che si faranno contratti di soli 11 mesi. Di per sé, ridurre la durata dei contratti a termine da 36 a 24 mesi non è grave, va anche bene. In 24 mesi lo capisci se una persona fa al caso tuo. Ma per evitare la causale, scaduto il primo contratto sara’ più facile sostituire il lavoratore con un altro, invece di prorogarlo e rischiare di mettersi in un tunnel di problemi.
La causale è dunque la causa di tutti i mali?
Col timore dei conteziosi giudiziari le aziende cambieranno a raffica il personale alla prima scadenza. Nessuno vuole finire in tribunale. E il ricambio continuo sarà un problema per i lavoratori, ma anche per noi, che le persone le scegliamo, le tiriamo su, le istruiamo, le consideriamo risorse preziose.
Insisto: perché allora non assumerle già dopo i primi dodici mesi?
Perché oggi ci vuole un anno solo per iniziare a capire e a imparare il lavoro. L’operaio generico da noi non esiste più. Su 1800 dipendenti ne avremo sì e no una ventina di generici. Ormai anche il carrellista deve essere formato sulla tecnologia degli strumenti che usa. Per questo occorre del tempo.
Come la spiega questa scelta così poco gradita alle imprese da parte di Di Maio? Anche la Confindustria e le altre associazioni hanno espresso fortissime riserve, pur dopo aver fatto grandi aperture di credito al nuovo governo.
Me lo spiego solo come una sorta di reazione violenta dei 5Stelle al protagonismo di Salvini, che aveva preso tutto il palcoscenico. La miopia della nostra nuova classe politica è terribile, punta a fare uno spoil system estremo dei provvedimenti del precedente governo, distruggendo anche quanto di buono era stato fatto. E i provvedimenti sul lavoro erano ottimi, come dimostrano i dati sull’occupazione in costante crescita.
Anche gli altri imprenditori la pensano come lei?
Parlo con molti colleghi e posso dirle che qui in Veneto abbiamo tutti le stesse preoccupazioni. Ed è un peccato, perché le aziende che sono sopravvissute alla crisi oggi sono tutte in forte crescita. Si parla molto di precarietà del lavoro, di disoccupazione: ma qui da noi la realtà quotidiana è che facciamo una fatica boia a trovare persone qualificate, giovani preparati.
E per quanto riguarda il provvedimento anti-delocalizzazioni come la vede? Anche quello è da bocciare?
Mi pare più un provvedimento di facciata. E aggiungo una cosa: i miei concorrenti diretti sono ormai tutte multinazionali estere, alle quali importa poco la causale o non la causale, hanno insediamenti in tutti i paesi, possono andare a produrre dove vogliono. Ma la mia azienda, noi, che non abbiamo mai delocalizzato, che abbiamo scelto di sfidare il mondo per restare a produrre in Italia, ecco, noi oggi siamo molto delusi.
Nunzia Penelope