Quanti episodi come quello di Riace (dall’arresto di Lucano al decreto di “deportazione” – non saprei come altro definirlo – del Ministro degli Interni), quante provocazioni studiate contro l’Unione Europea per attuare il famoso Piano B di Savona, quante leggi finanziarie basate sul rovesciamento della progressività fiscale a danno di lavoratori e pensionati e per favorire ulteriori forme di precarizzazione del lavoro (favorendo l’esplosione di partite iva, incentivate fiscalmente nei loro redditi rispetto al lavoro dipendente, altro che causali per il contratto a termine), quante risorse sottratte alle politiche industriali e alle grandi infrastrutture in una visione meramente “caritatevole” e pauperistica del pubblico che al Sud in particolare (ma non solo) – a fronte di una mancanza di diritti di cittadinanza (dalla sanità ai trasporti) – ripropongono ricette antiche basate sull’assistenzialismo mirato alla mera raccolta di consenso immediato…
Quante scelte mosse cioè solo dalla propaganda sovranista e divisiva servono, perché si possa affermare che questo Governo esprime una visione e una pratica politica che non lavorano nell’interesse del Paese, per una visione aperta e solidale dei rapporti politici e sociali in Italia ed in Europa, per la creazione di lavoro qualità, per il rilancio produttivo del Mezzogiorno, per la difesa reale cioè degli interessi che la Cgil e il sindacato confederale tutto hanno proposto e rappresentano?
Di fronte ad una visione di società espressa dal Governo dei nuovi sofisti (teorici per cui solo le apprensioni dei sensi e l’impressione soggettiva determinano il vero in quanto utile) quanto possiamo cavarcela con la logica del “giudicheremo provvedimento per provvedimento”, negando a noi stessi la natura reazionaria (che può anche avere consenso popolare) di questa cultura politica fatta alimentando rabbia, paure, sistematicamente impegnata a scavalcare corpi intermedi e a semplificare i processi democratici e i contrappesi istituzionali… tutta vocata a parlare alla pancia del Paese e non alla sua testa, alle sue energie migliori?
Perché se di fronte alle grandi trasformazioni tecnologiche e sociali, se di fronte ai grandi processi geo politici e militari anche noi rinunciamo a saper leggere e declinare in una narrazione complessiva ciò che avviene, oltre le mille pulsioni territoriali o coorporative che attraversano già da tempo luoghi di lavoro e quartieri, allora saremo presto travolti nella nostra essenza più vera: grande forza confederale che, partendo dagli interessi e dalla cultura del lavoro, punta a cambiare linguaggi e rapporti di potere sia fuori che dentro le fabbriche ed i cantieri perché consapevoli che la Costituzione deve, al contempo, vivere dentro e fuori i cancelli, fisici o digitali, del lavoro.
E la crisi e le difficoltà della rappresentanza politica democratica e progressista, che tanto ci riguarda con buona pace di chi teorizza una sorta di indipendenza dal quadro politico, non può – comunque la si metta – essere l’alibi per non esercitare la nostra funzione pedagogica e di azione che è, si autonoma nel programma e negli interessi, ma non neutrale per quanto riguarda valori, codici, alleanze.
Parte di un campo, che in natura è dato (la sinistra, riformista o radicale che dir si voglia, con il senso dell’oggi) e che rimane in campo!
La reazione che a partire dagli ultimi fatti di Riace va ampliandosi nel Paese sia allora solo l’inizio di una più generale azione di coinvolgimento e di allargamento delle alleanze, sul terreno sociale con
Cisl, Uil, il vasto mondo dell’associazionismo laico e cattolico; sul terreno produttivo con le associazioni datoriali, con le imprese più serie, con i ceti produttivi del Nord che vanno recuperati ad un’idea di governo democratico dell’innovazione e quindi della competizione, qualcosa di più dei pur positivi primi appuntamenti decisi unitariamente da Cgil, Cisl e Uil con i prossimi esecutivi unitarii sul Def; sul terreno politico con le tante forze al governo nei Comuni e nelle Regioni affinché si risponda con una nuova stagione di protagonismo dal basso degli enti locali per il ridisegno efficiente della macchina pubblica e del suo welfare.
In queste coordinate, che stanno uscendo anche dai nostri congressi territoriali della Fillea (edili, operai del legno, del cemento, dei materiali e anche molti disoccupati) – quando andiamo più nel profondo nelle discussioni con quadri e delegati – vedo chiaramente l’esigenza di sottrarci, come Cgil e come movimento sindacale unitario, ad una lettura superficiale, esasperatamente tattica nei confronti del Governo e delle sue forze politiche principali e di posizionare oggi uomini, donne, intelligenze, parole d’ordine in vista dei prossimi appuntamenti politici ed economici.
Perché questo chiede parte importante del nostro gruppo dirigente diffuso, in parte smarrito, in parte confuso, in parte arrabbiato e con cui però dobbiamo fare un nuovo patto: non girarci – nessuno, dal primo dei delegati all’ultimo dei funzionari – dall’altra parte, ma anzi confrontarci, far riflettere i nostri sulle contraddizioni in essere, ritornare ad essere sentinelle della partecipazione e – tramite essa –
cambiare senza rinunciare però ad una nuova funzione del sindacato confederale che è al contempo sociale, immersa nelle trasformazioni del lavoro e della produzione e nelle sue ricadute, ma anche culturale, “educativa” nel senso bello e pieno di questa parola. Lo abbiamo già fatto nel passato, grande forza popolare che quando scommette sulla intelligenza e senso della militanza dei suoi, sulla ricerca di ampie alleanze, riesce a sconfiggere sia derive sia rassegnazione.