Una delle cose che insegnano i politologi è l’importanza di controllare il significato che viene dato alle parole. Quasi sempre, infatti, questo significato, man mano che il dibattito politico prosegue, scivola e la direzione verso cui scivola è decisiva nel determinare l’orientamento dell’opinione pubblica. Ad esempio, “garantire la sicurezza” significa assicurare la protezione di una polizia efficiente o lasciare che ognuno si tenga una pistola in casa?
La lunga vicenda ucraina ne è un caso di scuola. Quasi dall’inizio abbiamo visto il successo di una campagna martellante che è, in buona misura, riuscita a cambiare il contenuto della parola “pace”, dall’originario “accordo fra belligeranti” in “resa all’invasore” e ad individuare negli aggrediti i responsabili della guerra.
Lo stesso scivolamento è in atto nello scenario aperto dai piani di ritiro dall’Europa e dalla Nato dell’America di Trump. Spiccano tre parole: riarmo, difesa, pace.
RIARMO. Tecnicamente, riarmo significa riprendere le armi, ma, nella lettura che viene data sia a destra che a sinistra (dai 5Stelle come dalla Lega) diventa smania bellicista. E, invece, il risultato vero è, piuttosto, paradossalmente, un disarmo.
La chiusura dell’ombrello Nato, con il ritiro delle truppe americane dall’Europa è più che una ipotesi. I testi delle conversazioni fra i vertici politici e militari americani, a proposito degli attacchi sullo Yemen, rivelati al pubblico dal clamoroso infortunio comunicativo del Pentagono, illustrano bene l’insofferenza della nuova Casa Bianca verso l’alleato europeo. La cosa è sufficientemente seria da avere indotto le diplomazie di Francia, Gran Bretagna e Germania ad aprire discussioni riservate con gli Usa sui tempi del ritiro: almeno cinque anni, chiedono Parigi e soci (l’Italia non compare), per darci il tempo di prepararci a fare da soli.
Ma, in termini concreti, che significa ritiro? In soldoni, significa che in Europa ci sono oggi – per semplificare – cento carri armati, di cui 85 sono americani. Domani, questi 85 non ci saranno più. Il “riarmo” contestato significa sostituire gli 85 tank americani con 85 tank europei. Si tratta, quindi, di mantenere una capacità militare, non di aumentarla come si vorrebbe nella lettura bellicista del riarmo. Peraltro, molto probabilmente, l’Europa non sarà in grado di mettere in campo davvero quegli 85 carri che si portano via gli americani. Andrà bene se arriverà a 60. Il “riarmo” addebitato a Ursula von der Leyen è, in realtà, una riduzione delle capacità militari: un parziale disarmo, rispetto alla situazione attuale, con buona pace di Conte e Salvini.
DIFESA. Un riarmo/disarmo per fermare chi? Quale minaccia? E’ improbabile che nei piani di Putin ci siano i cosacchi (che, fra l’altro, vengono proprio dal Donbass ucraino)che abbeverano i cavalli nelle fontane di San Pietro o sulle rive della Senna. Tuttavia, il boss del Cremlino ha più volte chiarito, oltre ogni dubbio, che Mosca non punta solo a recuperare i territori irredenti del Donbass, ma l’ambizione è ripristinare il raggio di influenza dell’impero sovietico, ripresentato in chiave nazional-religiosa. Facile pensare che il prossimo obiettivo sia la Moldavia. Ma cosa succede se le mire si spostano su quelle che sono le radici baltiche della nazione russa, risolvendo anche, una volta per tutte, il pasticcio della enclave russa di Kaliningrad? Estonia, Lituania, Lettonia fanno parte non solo della Nato, ma anche della Unione europea. Cosa succederebbe se venissero aggredite? L’Europa dovrebbe scendere in campo per difenderle, oppure no? E, nel caso, con quali forze: i 15 carri armati che sono rimasti dopo la partenza degli americani? O ci preoccupiamo solo delle fontane di San Pietro e gli altri si arrangino?
PACE. E’ la parola più stropicciata. Si può risalire molto indietro per dargli senso: alle Leggi di Platone (“se vuoi la pace, prepara la guerra”) o ancora più indietro alle favole di Esopo (il lupo e l’agnello). Il punto è che la pace esiste solo fra due che si rispettano e non è il frutto di una buona disposizione e qualche piccola convenienza. Altrimenti questa pace è solo una fragile tregua, in attesa di occasioni propizie.
Maurizio Ricci