Negli ultimi anni il dibattito sulle retribuzioni in Italia è diventato sempre più centrale, sia per spiegare l’esodo dei giovani lavoratori – 325.000 espatriati negli ultimi dieci anni – sia per analizzare la reale capacità di spesa degli italiani rispetto ai cittadini di Paesi comparabili. Noi abbiamo considerato Spagna, Francia e Germania con l’Italia, con alcune riflessioni che con analisi più profonde potrebbero dare utili indicazioni anche alla politica.
Il rapporto annuale dell’Ocse del 2023 fornisce un quadro significativo: la retribuzione lorda annua media in Italia si attesta a 44.893 euro, con un aumento dell’1,8% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, nel panorama internazionale, l’Italia si colloca al 21° posto su 34 Paesi, lontana dalla media Ocse di 53.416 euro.
Certamente un quadro desolante per il Bel Paese che già spiega un importante motivo di insoddisfazione per gli italiani ma anche perché non siamo attraenti per i lavoratori talentuosi di tutto il mondo, che bene farebbero alla nostra economia. Un problema, quello della poca attrattività e della diaspora di talenti, anche più grave del già importantissimo problema della denatalità su cui sforzi importanti e infruttuosi si sono profusi.
Ma non è tutto qui, le cose potrebbero essere più complicate se ci convinciamo sia errato confrontarsi con gli altri semplicemente seguendo le retribuzioni al lordo, piuttosto sarebbe più utile prendere a riferimento i salari al netto.
Confrontare le retribuzioni nette tra Paesi infatti consente di avere un’idea più precisa del potere d’acquisto effettivo dei lavoratori. Il reddito netto rappresenta ciò che realmente rimane nelle tasche dei cittadini dopo tasse e contributi, influenzando direttamente la loro capacità di spesa. Tuttavia, questa analisi risulta complessa, poiché ogni sistema fiscale presenta aliquote, detrazioni e contributi sociali molto differenti. In Italia, per esempio, il sistema progressivo dell’IRPEF impone una pressione fiscale crescente sui redditi – con una progressività che si impenna sopra i 35/40.000 euro lordi annui -, riducendo significativamente il netto rispetto ad altri Paesi europei, soprattutto per le retribuzioni medio alte che decrescono in maniera più che proporzionale. Per esempio una retribuzione da 105.000 euro lorde annue è tre volte e mezzo– anche di costo – di una da 30.000 ma diventa poco più del doppio se si considera al netto.
Un altro elemento cruciale per il confronto è il costo della vita. In un Paese come l’Italia, dove il costo della vita varia considerevolmente tra Nord e Sud, anche il valore reale di una retribuzione netta può cambiare drasticamente. Milano e Roma, ad esempio, presentano costi più elevati rispetto a città come Napoli o Palermo, dove però l’accesso ai servizi pubblici è spesso meno efficiente. Analogamente, in Francia e Germania, il costo della vita è alto, ma generalmente bilanciato da stipendi medi più elevati e servizi pubblici di qualità superiore rispetto all’Italia. In Spagna, invece, il costo della vita è più basso rispetto agli altri Paesi citati, rendendo le retribuzioni nette più competitive nonostante salari lordi inferiori.
Un aspetto fondamentale da considerare nel confronto internazionale è il ruolo dei servizi pubblici e del welfare. In Italia, la sanità pubblica è gratuita ma presenta inefficienze e tempi di attesa lunghi, che spesso spingono i cittadini a rivolgersi al privato, riducendo ulteriormente il potere d’acquisto. La Francia, pur imponendo tasse elevate, offre un sistema di welfare generoso, con sanità pubblica efficiente, sussidi e istruzione gratuita. Anche in Germania il welfare è solido e garantisce pensioni adeguate, oltre a una sanità pubblica di alto livello. In Spagna, il sistema sanitario pubblico è di buona qualità e il costo dell’istruzione universitaria è generalmente inferiore rispetto all’Italia, rendendo il Paese più competitivo in termini di qualità della vita.
Un ulteriore fattore da non sottovalutare è l’evasione fiscale, particolarmente alta in Italia e, in misura minore, in Spagna. In questi Paesi, il lavoro sommerso alimenta un potere d’acquisto “parallelo” per chi evade tasse e contributi, ma a scapito di chi opera regolarmente. Questo fenomeno distorce il mercato e penalizza i lavoratori onesti, che si ritrovano a sostenere un peso fiscale sproporzionato e prezzi al consumo drogati da chi ha capacità d’acquisto superiore con un reddito nascosto al fisco. In Francia e Germania, grazie a controlli più rigorosi e a una cultura del rispetto fiscale più radicata, l’evasione è molto più contenuta. Questo garantisce una distribuzione della pressione fiscale più equa e un mercato del lavoro più regolare, evitando le distorsioni create dall’economia sommersa.
Guardando al confronto complessivo, la Germania si conferma il Paese più competitivo grazie a retribuzioni nette più alte, un welfare efficace e un mercato del lavoro equilibrato. La Francia, nonostante un costo della vita elevato, offre un mix vantaggioso tra redditi medi e servizi pubblici di eccellenza. La Spagna, con retribuzioni lorde più basse, compensa grazie a un costo della vita contenuto e a un buon livello di servizi. L’Italia, invece, soffre di una pressione fiscale elevata, di un sistema di welfare meno sviluppato rispetto in particolare ai Paesi del Nord Europa e di un costo della vita variabile, che la rendono meno attrattiva, soprattutto per i giovani professionisti.
Per migliorare la competitività e ridurre il divario con gli altri Paesi europei, l’Italia deve, oltre ad aumentare la produttività e quindi le retribuzioni lorde, intervenire sull’efficienza dei servizi pubblici e sulla pressione fiscale, cercando di alleggerire il peso che grava sui redditi medi e medio-alti. Solo così sarà possibile attrarre e trattenere i talenti, garantendo ai lavoratori un potere d’acquisto adeguato e una migliore qualità della vita.
Tuttavia, l’Italia ha molto altro da offrire, ed è fondamentale ricordarlo. Il nostro Paese è sinonimo di buon cibo, clima mite, arte, cultura e una natura straordinaria che pochi altri possono vantare. Questi elementi rappresentano un patrimonio unico, capace di attrarre non solo turisti, ma anche chi sogna di vivere in un luogo ricco di bellezza e tradizione.
Ma accanto a queste cose preziose, ci sono inefficienze croniche che non possiamo più ignorare: l’arretratezza digitale, una burocrazia esasperante, una giustizia lenta contrapposta a una criminalità organizzata affarista che continuano a scoraggiare chi vorrebbe investire o lavorare in Italia. Senza trascurare la debolezza nel difendere le nostre “eccellenze” dalle acquisizioni selvagge ad opera di Paesi più efficaci e conservativi rispetto al nostro. È qui che il nostro Paese deve fare un salto di qualità. Con una Pubblica Amministrazione e una politica che abbia una visione più a lungo periodo e sia più vicina a cittadini e imprese. Forse dovremmo imparare a essere più bravi nel “vendere” e “difendere” le nostre eccellenze e, allo stesso tempo, impegnarci per risolvere i nostri difetti strutturali.
Solo affrontando queste sfide potremo sperare che i giovani partiti in cerca di una vita migliore tornino, insieme a tanti altri talenti che potrebbero aiutarci a crescere nel reddito procapite, come non siamo mai riusciti a fare prima. La vera domanda è: la politica sarà capace di accettare questa sfida e cambiare il destino del nostro Paese?
Massimo Fiaschi