Sono passati solo dodici mesi (ma sembrano secoli) da quando le piazze d’Italia si riempivano per acclamare un Matteo Renzi ancora alle prese con le primarie del Pd ma gia’ nel ruolo di salvatore di un paese allo sbando, di una politica delegittimata. Era la fine del 2013, c’era il governo Letta, il Pd era retto da Pierluigi Bersani, e i sindacati più o meno silenti, ridotti a comparse sulla scena politica incandescente. Oggi, a un anno di distanza, il quadro e’ rovesciato. Renzi e’ leader del Pd e capo del governo, e le piazze si riempiono ancora, ma non per lui: piuttosto, contro di lui, mentre i protagonisti della scena sono tornati ad essere, assolutamente a sorpresa, proprio i sindacati. A restituire loro ruolo ed efficacia e stato lo stesso Renzi: che pur a capo di un partito/governo di centro sinistra, ha conferito il ruolo di nemico numero uno alle organizzazioni dei lavoratori.
Mai, nella storia, un premier aveva usato toni d’accusa così pesanti nei confronti di sigle storiche come la Cgil, o la Uil, rea di aver appoggiato con la propria partecipazione lo sciopero generale proclamato da Susanna Camusso. Nemmeno Silvio Berlusconi, ai suoi tempi, era stato altrettanto violento nella scelta delle parole. Le ultime di Renzi risalgono a ieri sera: parlando al comizio per le regionali dell’Emilia Romagna, il premier ha accusato il sindacato di ‘’perdere tempo a trovare scuse per scioperare. Scioperi contro di noi, scioperi politici’, accomunando poi Susanna Camusso a Matteo Salvini, leader della Lega e protagonista di discutibili iniziative dal sapore populista. Parole che perfino un quotidiano certamente non nemico del premier ( e per contro, mai troppo tenero coi sindacati) come La Repubblica, ha sentito il bisogno di stigmatizzare. Un breve e durissimo editoriale in prima pagina sul quotidiano diretto da Ezio Mauro, rimarca proprio il ‘’linguaggio’’ a cui attinge Renzi, affermando che ‘’dileggia il sindacato, banalizza le ragioni della protesta, svaluta insieme con lo sciopero una storia legata alla conquista e alla difesa di diritti che tutelando i più deboli contribuiscono alla cifra complessiva della democrazia di cui tutti usufruiamo”. Si chiede Repubblica: ‘’che idea ha il segretario del Pd della sinistra che guida? Un partito che voglia parlare all’intera nazione deve ospitare culture diverse al proprio interno, e tocca al leader garantire spazio e legittimità. Sapendo che prima o poi si voterà, e i suoi avversari non saranno Camusso e Landini, ma Berlusconi e Verdini’’.
Ecco, proprio qui sta il succo, e infatti ce lo chiediamo anche noi. Di fatto, Renzi si sta mettendo contro una bella fetta di paese: quella fetta rappresentata non tanto da una decina di milioni d’ iscritti ai sindacati ( e il paragone con i poco più di 100 mila iscritti al Pd e’ ovviamente impietoso), quanto da milioni di operai che stanno perdendo il lavoro e che non vedono soluzioni all’orizzonte, come quelli della Ast di Terni, dell’ Ilva di Taranto, di Termini Imerese, della Twm di Livorno; di impiegati statali cui non e’ rinnovato il contratto da sei anni; di cittadini del nord sommersi dal fango e dalle alluvioni ormai quotidiane; di famiglie che non arrivano alla fine del mese e che vedono diminuire i servizi e aumentare le tasse; di abitanti delle periferie costretti a spietate guerre tra poveri da una demenziale gestione dei centri di raccolta degli immigrati.
E vale la pena di metterci, in questo elenco dello sfacelo, anche gli abitanti di Casale Monferrato, cittadina un tempo ridente e ormai cimitero a cielo aperto, dove oggi si celebra il lutto cittadino a causa della sentenza che lascia impuniti i vertici della Eternit, responsabili di tremila morti e 280 milioni di danni a spese dello Stato. Impuniti non perché assolti, ma per sopraggiunta prescrizione: e questa, a sua volta, non perché il processo sia andato per le lunghe, come ha fatto intendere un po’ furbescamente Matteo Renzi su Twitter (ma davvero un premer può commentare una tragedia simile con un tweet?), quanto perché nessun partito, nessun governo, ha mai dato seguito a una proposta di legge di qualche anno fa sui disastri ambientali, che avrebbe consentito, oggi, di punire adeguatamente i colpevoli. Ecco, queste sono le questioni che riempiono le piazze d’Italia, queste sono le questioni per cui il clima nel nostro paese si fa ogni giorno più acceso, pesante, pericoloso. Un contesto ad alto rischio, nel quale il ruolo della politica -della politica al governo, ma non solo- dovrebbe essere quello di rassicurare, placare, unire. E non istigare, dividere, fomentare.
E dunque, attaccare i sindacati, in tutto questo disastro, che senso ha? Passi che lo faccia il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, che sullo sciopero ha ironizzato con una battuta di gusto discutibile. Ma Renzi? Il capo del Pd, della sinistra, del futuro partito della nazione? Quale perversa sindrome da autolesionismo ripetuto ha colpito colui che fino a pochi mesi fa era visto dal 40,8% del paese come il salvatore? E se anche non fosse la sinistra, ma la vecchia Dc, il modello che il premier ha in mente, come suggeriscono alcune interpretazioni, per quanto giovane Renzi dovrebbe ricordare -o perlomeno aver appreso- che la Dc era comunque un partito inclusivo, pure troppo: nel corpaccione della Balena Bianca c’era spazio per tutti, perfino per i sindacati. Nell’Italia di Renzi, invece, gli spazi diventano sempre più stretti per chiunque non la pensi come lui; con la logica conseguenza che prima o poi, inevitabilmente, sara’ il suo consenso a restringersi.
(Post scriptum. Anche i sindacati, ovviamente, hanno le loro colpe e responsabilità. E commettono qualche errore. Anche, diciamo così, di gusto. Per esempio, forse la battuta di Maurizio Landini sul rapporto tra il ”popolo degli onesti” e il governo Renzi -sia pure successivamente corretta, con tanto di scuse- poteva essere evitata. Cosi’ come, forse, non e’ stata una grandissima idea quella di proclamare lo sciopero generale in una delle date più nere di questo paese, il 12 dicembre, 45esimo anniversario della strage di Piazza Fontana).
N.P.