L’egolatria che ha spinto Matteo Salvini, complice anche la spiaggia del Papeete , i moyito e le cubiste a infrangere il muro del suono della razionalità politica è lo stesso impulso irrefrenabile che ha mosso Renzi a rompere con il PD.
Due scelte similarmente incomprensibili alla stragrande maggioranza dei commentatori politici perché, nel caso di Salvini la mancata concessione delle elezioni subito lo ha relegato al ruolo dell’oppositore che abbaia alla luna; e nel caso di Renzi la rottura è avvenuta senza alcuna ragione politica e in un momento in cui il PD, per la prima volta, si muoveva in una condizione di unanimità tra i membri della direzione
I due Dioscuri della politica italiana sembrano dunque vittime della loro hubris; di una tracotanza che esprime il tratto dionisiaco della loro imbarazzante personalità totalmente rivolta alla sacralizzazione del proprio sé.
Una visione della politica che accomuna i due duellanti che ardono dal desiderio di potere incrociare le armi in un salotto televisivo dove sfoggiare le loro capacità oratorie in una sfida Win-win e in cui si vince o si muore.
Una situazione veramente paradossale in cui due leader politici navigati agiscono d’impulso come due sovrani che tutto possono vivendo in uno spazio politico senza regole e in una sorte di stato di eccezione dove non esiste l’interdetto.
Viene dunque al nodo cultura e formazione politica di due politici post-moderni che sono cresciuti vedendo i programmi televisivi di Berlusconi o passando le domeniche pomeriggio sugli spalti degli stadi in tribuna d’onore.
Tutta altra storia il vissuto politico di due vecchi personaggi novecenteschi, Romano Prodi e Goffredo Bettini, usciti dalla teca del museo delle cere in cui dimorano, per sbloccare una situazione apparentemente senza uscita.
La nascita del governo giallo rosso infatti è stata sicuramente promossa da Renzi ma ha trovato la giustificazione politica nelle argomentazioni old style di questi due personaggi che hanno convinto Zingaretti a recedere dal gran rifiuto di provare a formare un governo di coalizione
E’ la rivincita della vecchia scuola di formazione politica in cui si leggeva Marx, Gramsci, Dossetti, Haltusser o Sweezy e si assumevano decisioni vitali per il proprio popolo solo dopo averne discusso nelle sedi appropriate.
Di quel mondo politico purtroppo è rimasto solo il metodo e non il popolo, ormai svaporato nell’astensionismo o nel voto ondivago tra 5 stelle e varie sinistre di lotte e di governo.
Eppure da lì’ una sinistra deve ripartire abbandonando al loro destino i peronisti che parlano in nome del popolo, che si atteggiano a superuomo e che intanto cercano sponsor e legittimazione tra quelli che contano: manager, industrialotti, speculatori finanziari e gente di mondo.
Un modello culturale consumistico, esclusivista e immiserito che nulla ha a che fare con la visione politica della sinistra in cui il collettivo deve avere preminenza sull’individuale, il pubblico sul privato e lo stile di vita dei dirigenti politici improntato alla sobrietà e alla riservatezza.
La sfida attuale rimane dunque politica e rivolta contro una destra regressiva e isolazionista ma affonda le sue radici in opposte visioni culturali che sono invece trasversali ai diversi schieramenti.
Questo ha dimostrato la vicenda attuale in cui è riemerso dalla naftalina quel pensiero apollineo desueto che considerava la politica una complessa e straordinaria arte della mediazione e dell’incontro tra valori e soprattutto tra visioni diverse del mondo.
Un messaggio che è suonato forte e chiaro e che ha marginalizzato Renzi costretto a un atto di superbia per non sprofondare nell’anonimato.
Roberto Polillo