Qualcosa si muove nello stagno delle relazioni industriali. Le principali organizzazioni datoriali e confederazioni sindacali sembrano pronte ad avviare concreti negoziati tra loro, per arrivare a una proposta comune sul tema spinoso e difficile della rappresentanza. Si sono mosse per far fronte a una iniziativa molto discutibile del governo che avrebbe potuto generare grandi difficoltà al sistema della contrattazione. In campo c’è tutto il Gotha della rappresentanza datoriale, Confindustria, Confcommercio, Abi, Ania, Confcooperative, Legacoop, assieme a Cgil e Uil. Alle quali si è poi unita anche la Cisl. Mancano solo le associazioni dell’artigianato, ma non è da escludere che anche queste organizzazioni presto si aggiungano al gruppo, considerando l’importanza della novità e i pericoli che potrebbero correre a restare in disparte. Nulla impedisce infatti che, una volta avviato il confronto sul tema specifico della rappresentanza, i soggetti coinvolti allarghino l’analisi fino a discutere di un nuovo, da troppo tempo invano atteso, patto sociale che metta sui giusti binari il sistema della contrattazione. Non è un caso se la Cisl ha già manifestato la sua disponibilità a trattare il tema della rappresentatività.
Tutto ciò si deve al tentativo esperito dal governo di rendere meno limpide le relazioni industriali. L’iniziativa è partita dalla revisione delle norme che regolano gli appalti pubblici. L’esecutivo ha presentato un disegno di legge per modificare le regole esistenti. Queste stabilivano che l’impresa appaltante indicasse il contratto collettivo e questo fosse poi applicato anche alle imprese subappaltanti. Il governo ha pensato bene di modificare queste regole prevedendo, tra le altre cose, che fosse possibile applicare anche un altro contratto, purché comparabile nelle tutele concesse e soprattutto firmato da organizzazioni comparativamente rappresentative. E per accertare questa caratteristica il governo ha deciso che si dovesse fare riferimento ad alcuni criteri: il numero dei lavoratori associati, il numero delle imprese associate, il numero dei contratti sottoscritti, la presenza di rappresentanti di tali organizzazioni nel Cnel.
Tutte indicazioni apparentemente valide, in realtà assolutamente non in grado di assicurare certezza e quindi applicabilità della norma. Non esiste infatti certezza sul numero degli iscritti a un sindacato e non esistono sistemi di certificazione da parte di enti terzi. Non è valida la generica indicazione di imprese senza distinguerne il peso che il numero degli occupati assicura. La diffusione territoriale non è un’indicazione valida se non si chiarisce cosa si intenda per diffusione, perché potrebbe bastare magari anche un collegamento con uno studio professionale di consulenza del lavoro. Lo stesso vale per il numero dei contratti collettivi sottoscritti, perché non c’è nessuna difficoltà a firmare un accordo fantasma, come dimostra l’abnorme crescita dei contratti collettivi depositati agli uffici del Cnel.
Queste indicazioni sono molto pericolose, tanto è vero che Michele Tiraboschi, in un report pubblicato da Adapt, ha affermato che è possibile producano “danni rilevanti” al sistema della contrattazione, perché darebbero “spazio e legittimazione a soggetti privi di effettiva rappresentatività”. Alessandro Genovesi, che in Cgil è il responsabile di contrattazione inclusiva, appalti e lavoro nero, ha scritto in un articolo per Il diario del lavoro che le modifiche del governo porterebbero “caos e dumping contrattuale, eliminando certezze e qualità nei rapporti tra privati”.
Sono i motivi per cui Confindustria e le altre organizzazioni datoriali il 28 novembre hanno deciso di scendere in campo con una lettera inviata all’esecutivo, affermando che sono altri i criteri che possono stabilire la rappresentatività di un soggetto contrattuale e precisamente: la seniority dell’associazione in termini di presenza storica, il numero dei rapporti regolati nell’ambito di ciascun settore da ciascun contratto collettivo, l’appartenenza dell’associazione a organismi di rappresentanza europea o internazionale, la presenza nei contratti di forme di previdenza e assistenza sanitaria integrativa. Un’iniziativa insolita rispetto al passato, perché occorre tornare molto indietro nel tempo per trovare qualcosa di analogo, e tale da smuovere le acque consigliando a Cgil e Uil di avanzare la richiesta di un incontro alle parti firmatarie della lettera del 28 novembre, per definire una proposta comune da sottoporre successivamente alle istituzioni. Le quali, è evidente, in presenza di una pronuncia del genere non potrebbero girarsi dall’altra parte. Un’innovazione profonda nel campo delle relazioni industriali, capace di rimescolare le carte del sistema, indicando una via di equità e giustizia.
Massimo Mascini