GOVERNO
“Ce l’abbiamo fatta!” Così ha esultato Alessandro Di Battista nel suo intervento alla kermesse pentastellata messa in scena questa mattina, a Roma, davanti a una platea selezionata cui non potevano accedere giornalisti non invitati. Kermesse, peraltro, trasmessa in diretta dai canali social del MoVimento 5 Stelle. Scopo dell’iniziativa: presentare il “Reddito di cittadinanza” e spiegare al Paese i benefici della misura recentemente varata.
Sul palco si alternano: Luigi Di Maio – armato di slide e infografiche animate – che presenta, tra l’altro, un video di Gianroberto Casaleggio; il professor Mimmo Parisi, neoresponsabile dell’Anpal; il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che annuncia un passaggio di “carica” da “avvocato degli italiani” a “garante di un nuovo patto sociale”; il viaggiatore capo di 5 Stelle, Alessandro Di Battista; la senatrice Paola Taverna; gli economisti Pasquale Tridico, ordinario di Politica Economica all’Università di Roma Tre, e Lorenzo Fioramonti, oggi viceministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; la senatrice Nunzia Catalfo e l’onorevole Davide Tripiedi, rispettivamente membri delle Commissioni Lavoro di Palazzo Madama e di Montecitorio; l’onorevole Francesco D’Uva, capogruppo pentastellato alla Camera.
“Ce l’abbiamo fatta!”. Ma a far cosa, di preciso? Naturalmente, a realizzare una forma di basic income che fa parte dell’agenda fondamentale del MoVimento stilata dai fondatori Casaleggio e Grillo sei anni fa. Ma anche qualcosa d’altro.
Spiega Di Battista che “con la robotica e le tecnologie, il mercato del lavoro, così come l’abbiamo inteso, non ci sarà più e una serie di mestieri stanno già scomparendo. Il reddito è anche uno strumento per permettere a tanti cittadini di avere il tempo per rimettersi in discussione positivamente”. In che senso?
Sul punto ritorna, più avanti, il professor Tridico che spiega che, attraverso il reddito di cittadinanza, gli inattivi diventeranno attivi. E che, grazie alle politiche attive contenute nella misura, il reddito di cittadinanza sarà anche una leva per la crescita dei salari perché “finora non si è preso di petto il problema della rivoluzione industriale”. Ci si è concentrati, in Italia, su investimenti labour intesive, il lavoro meno pagato, mentre, ad esempio, in Germania, si sono spinti investimenti capital intensive. Quale sia l’esatto legame tra il reddito di cittadinanza e la qualità degli investimenti produttivi, allo spettatore non viene peraltro spiegato.
Quando è il suo turno, il professor Fioramonti, spiega che la disuguaglianza è un ostacolo alla produttività che in Italia è troppo bassa per un Paese Ocse. Con la “robotizzazione” – il termine è ricorrente negli interventi – serve sempre di più un sistema di formazione continua per consentire alle persone di reinventarsi il lavoro ogni cinque anni in media. Il reddito di cittadinanza porta questa capacità in Italia.
Certamente, grazie al lavoro di tanti economisti e di istituzioni come, ad esempio, l’Ocse si è diffusa la consapevolezza dell’enormità delle disuguaglianze e della concentrazione della ricchezza in un numero sempre più ristretto di mani che ha generato quel “pavimento colloso” che tiene troppi cittadini – in Italia come, del resto, in tutti i Paesi sviluppati – inchiodati alla base di un ascensore sociale che non funziona più e condannati alla povertà.
Quel che nessuno degli oratori ha spiegato è, però, quali, tra i meccanismi disegnati nel reddito di cittadinanza, diano impulso a nuove politiche industriali e quale sia il legame tra basic income e produttività. E dopo due ore di presentazione il dubbio rimane senza risposta.
Vittorio Liuzzi