Sul piano del tavolo di legno chiaro è appoggiato, fra altre cose, un documento di una dozzina di pagine. Titolo: “Linee guida per la contrattazione di secondo livello nella categoria dei metalmeccanici”.
Siamo a Roma, nell’ufficio del segretario generale della Fiom, una stanza luminosa nella storica sede Flm di corso Trieste. Qui hanno lavorato, dagli anni 70 del secolo scorso, Bruno Trentin, Pio Galli, Sergio Garavini, Angelo Airoldi, Fausto Vigevani (che però preferì la stanza accanto), Claudio Sabattini, Gianni Rinaldini e Maurizio Landini. Da qualche giorno, l’inquilino della stanza d’angolo, in fondo al corridoio del terzo piano, è cambiato di nuovo: adesso è Francesca Re David, la prima donna eletta alla guida della Fiom dalla sua fondazione, avvenuta a Livorno nel giugno del 1901.
Allora, Re David, per capire che cosa farà la Fiom nei prossimi due, tre anni, converrà forse partire da questo documento che è stato varato dalla vostra Assemblea nazionale nel giugno scorso. Lo dico perché mi par di capire che una caratteristica di fondo del contratto rinnovato a novembre 2016 sia proprio quella di aprire verso una nuova fase di contrattazione di secondo livello. Mi immagino quindi che, da qui in avanti, vedremo una Fiom che dedicherà molte delle sue energie per lanciare prima e sostenere poi la propria iniziativa rivendicativa a livello aziendale. Starei per dire, una Fiom che risindacalizza la propria azione. E’ così?
“La Fiom ha l’ambizione di essere un sindacato confederale e dunque generale. In altre parole, siamo un sindacato che ha sempre cercato di evitare chiusure corporative e continuerà a impicciarsi di tante cose. E d’altra parte, non abbiamo mai smesso di cercare di portare l’attività rivendicativa anche là dove ci veniva impedito di portarla, come dentro gli stabilimenti della Fca. Però è vero che siamo entrati in una fase in cui, avendo finalmente riconquistato un contratto unitario, possiamo e, direi, dobbiamo ripartire con un’azione di contrattazione diffusa, più diffusa possibile.”
“Infatti, il contratto del novembre scorso è costruito in modo tale che non solo apre a una nuova tornata di contrattazione aziendale, ma spinge verso di essa. E ciò per due motivi. In primo luogo, i sindacati sono chiamati a stimolare e monitorare l’applicazione, a livello d’impresa, di diverse norme introdotte col nuovo contratto nazionale, a partire da quella che sancisce il principio della formazione professionale come diritto soggettivo dei lavoratori. In secondo luogo, il contratto nazionale si propone di tutelare direttamente il potere d’acquisto delle retribuzioni, evitando che venga eroso dall’inflazione qualora essa si producesse, ma assegna alla contrattazione di secondo livello il compito di accrescere tale potere d’acquisto per mezzo dei premi di risultato da conquistare in azienda. Insomma, ci sarà molto da fare.”
Quindi, su quali linee intendete muovervi per sviluppare la vostra iniziativa contrattuale nelle aziende?
“Prima di entrare nel merito dei contenuti del contratto del novembre scorso, nonché degli spazi che tali contenuti possono aprire e dei problemi che possono derivarne, mi preme fare due o tre considerazioni di ordine generale.”
“Vorrei ricordare, innanzitutto, che già all’inizio della trattativa per il nuovo contratto nazionale, a fine 2015, la Federmeccanica chiarì che era interessata solo a un accordo con tutti e tre i maggiori sindacati della categoria: Fiom, Fim e Uilm. Altrimenti, senza la firma di tutti e tre, non se ne sarebbe fatto nulla. Ebbene, questo fatto, di per sé, ci dice che la Fiom è un sindacato veramente rappresentativo e che la Federmeccanica è in grado di apprezzare il livello della sua effettiva rappresentatività; e ciò anche se ancora non si è trovato modo di applicare le regole di misurazione della rappresentatività stessa previste dal Testo Unico del gennaio 2014.”
“In secondo luogo, vorrei sottolineare che nel corso di questa trattativa c’è stato un reciproco riconoscimento della pari dignità delle parti trattanti. Quel riconoscimento che, nei confronti della Fiom, era venuto meno già nella trattativa del 2001 e poi in quella del 2009. E questa è stata la causa più profonda che, già nel 2001, ci impedì di firmare l’intesa contrattuale. Al di là di quei 18 euro mensili mancanti di cui tanto si discusse allora, il fatto è che ci trovammo in una condizione inaccettabile perché, secondo noi, non c’erano due parti che si confrontavano su un piano di parità.”
“Ma c’è poi un terzo punto, non meno importante dei primi due. Il fatto di aver firmato un contratto nazionale che, come dicevamo, rinvia al secondo livello sia per l’applicazione pratica di diversi princípi in esso contenuti, sia per l’apertura di una stagione di contrattazione diffusa a livello aziendale, ci dice che questa intesa ha fatto propria la logica dei due livelli contrattuali. Ebbene, questo fatto di per sé sconfigge il modello Fca che è basato, invece, su un unico livello contrattuale, quello del gruppo Fca.”
Insomma mi par di capire che, anche a qualche mese di distanza dal novembre del 2016, guardate al nuovo contratto con una certa soddisfazione.
“Si, direi con soddisfazione anche se, certo, senza trionfalismi. Prima che altri ci diano la pagella per dirci se stiamo stati più o meno bravi, o se non lo siamo stati per nulla, credo si debba tenere conto, per una valutazione ragionevole del contratto, di tre elementi di contesto. Primo, questo contratto è stato rinnovato nel mezzo di una crisi che c’era e continua tutt’ora a manifestarsi e a produrre pesanti effetti, specie sull’occupazione. Secondo, questo contratto, come del resto quelli delle altre categorie, è stato rinnovato in assenza di un sistema di regole condivise sulla contrattazione, definite a livello confederale. E mi pare evidente che questi due fattori abbiano reso più difficile il confronto fra le parti.”
“Ma c’è poi anche un terzo fattore che, da un lato, ha avuto e avrà un’influenza significativa sulle trattative contrattuali anche se, dall’altro, è stato poco citato nel dibattito sul nostro contratto. Mi riferisco alla legislazione fiscale che, da qualche anno a questa parte, ha acquisito una natura che definirei intrusiva rispetto all’attività contrattuale. Noi, come Fiom, abbiamo ovviamente i nostri princípi. Ma, a partire da questi princípi, dobbiamo tener conto non solo delle misure di defiscalizzazione degli aumenti retributivi o, comunque, degli incrementi di reddito in forma non monetaria conquistati nella contrattazione aziendale, ma anche, e perfino, delle circolari dell’Agenzia delle entrate che definiscono criteri di valutazione anche molto ravvicinata dei premi di risultato pattuiti in azienda.”
Visto che siamo in argomento, per tornare alla mia domanda sulle vostre prossime iniziative a livello aziendale, potremmo ripartire da qui, e cioè dal rapporto fra retribuzioni e negoziati di secondo livello.
“Come abbiamo già detto, per ciò che riguarda il salario erogato in forma monetaria, l’ultimo rinnovo assegna al contratto nazionale solo una funzione di recupero, di anno in anno, dell’inflazione che si fosse determinata nell’anno precedente. La redistribuzione della ricchezza prodotta è invece affidata, in larga misura, alla contrattazione di secondo livello. E si può quindi dire, in primo luogo, che l’efficacia di questo aspetto redistributivo del contratto dipenderà dalla diffusione effettiva della contrattazione aziendale.”
“C’è però una cosa che credo sia bene precisare. A proposito del nostro nuovo contratto, si è parlato molto del welfare contrattuale e, in particolare, dei cosiddetti flexible benefits che dovranno essere erogati dalle singole aziende. Credo di poter dire, però, che, almeno in alcuni casi, questi discorsi sono stati viziati da qualche eccesso ideologico mentre, in altri casi, si è fatta un po’ di confusione, specie per ciò che riguarda l’articolazione del welfare contrattuale tra i due livelli, quello del contratto nazionale e quello degli accordi aziendali.”
“Da questo punto di vista, è importante chiarire che i flexible benefits non hanno fatto adesso, con questo contratto, la loro prima comparsa nello scenario metalmeccanico. Infatti, i flexible benefits esistevano già, ma solo a livello aziendale. In altre parole, questi benefits erano il frutto di precedenti accordi realizzati, prevalentemente, in alcuni grandi gruppi o in alcune grandi imprese, o, quanto meno, in aziende di medie dimensioni. Il che poi significa, in pratica, in aziende del Centro-Nord. Al Sud i flexible benefits erano conosciuti solo dai dipendenti di qualche grande gruppo nazionale.”
“Con il contratto, abbiamo esteso i flexible benefits a tutti i lavoratori, e cioè sia a quelli del Nord che a quelli del Sud e delle isole, sia a quelli dei grandi gruppi che a quelli delle imprese minori. Tali benefits dovranno essere pari a un controvalore di 100 euro nel primo anno, ovvero nel 2017, di 150 euro nel 2018 e, infine, di 200 euro nel 2019. E per questo aspetto, come si vede, il contratto nazionale mantiene una funzione redistributiva, ovvero una funzione volta a ritoccare all’insù il reddito dei lavoratori.”
In pratica, in cosa consistono questi flexible benefits?
“Si tratta di cose anche molto diverse. Tanto per fare qualche esempio, si va dai buoni pasto, ai buoni benzina, a buoni per l’acquisto di libri scolastici, oppure a sconti su palestre sia per i lavoratori che per i loro familiari, a partire dai figli. C’è chi fa distinzioni qualitative fra queste cose, considerando positivamente i libri e negativamente i buoni benzina. Ma io penso che, in ultima analisi, sempre di reddito si tratti. E sottolineo che questi benefits, grazie al contratto, saranno estesi anche ai lavoratori interinali che fossero presenti nelle aziende. ”
“Il punto che mi premeva chiarire, però, è un altro. Come ho detto, il contratto nazionale ha fissato il valore dell’ammontare dei benfits che le imprese metalmeccaniche dovranno erogare annualmente ai propri dipendenti dal 2017 al 2019. Sottolineo che si tratta di valori definiti dal contratto nazionale. Tali valori, però, devono concretizzarsi in scelte precise relative a opzioni come quelle che ho appena ricordato; scelte che devono essere effettuate a livello aziendale nel confronto che dovrà svilupparsi fra la singola impresa e la rappresentanza sindacale unitaria in essa presente. Ora, in base alla normativa attuale, il reddito ricevuto sotto forma di flexible benefits è comunque equiparato a premi aziendali ed è dunque meno gravato, sotto il profilo fiscale, di quello ricevuto in forma monetaria in base a quanto eventualmente previsto dai contratti nazionali. E poiché, come ricordavo prima, tali benefits erano presenti solo nelle aziende più ricche, alla fine accadeva che i lavoratori meglio retribuiti erano premiati da sgravi fiscali e contributivi di cui non potevano godere i lavoratori che ricevevano redditi più contenuti. Chi guadagnava di più, insomma, era meno gravato, percentualmente, di tasse e contributi previdenziali di quanto non lo fosse chi guadagnava meno. Ecco perché abbiamo ritenuto giusto fare, con il contratto nazionale, un’opera di equiparazione che desse a tutti i metalmeccanici gli stessi vantaggi. Quindi, flexible benefits per tutti. D’altra parte, in base a questa stessa normativa, alle aziende queste forme retributive costano meno e, a parità di costo, le aziende stesse possono quindi dare di più ai loro dipendenti. Ed ecco spiegato perché i lavoratori apprezzano tali benefits, indipendentemente dal loro orientamento politico o sindacale.”
Questo per ciò che riguarda il rapporto fra contratto nazionale e forme retributive da esso derivanti. Invece sul premio di risultato, ovvero sulla contrattazione aziendale delle retribuzioni, cosa si può dire?
“Qui ci sono diversi problemi. Il primo punto è che, come ho già detto, alla contrattazione di secondo livello è affidata la possibilità di ottenere una crescita netta del reddito monetario dei lavoratori. E per comprendere questo punto bisogna ricordarsi che la normativa vigente prevede una significativa defiscalizzazione del premio di risultato. Ciò accade, però, se vengono rispettati dei criteri fissati dalla legge, fra cui il carattere variabile, ovvero non in cifra fissa, degli aumenti retributivi. Aumenti che vanno rapportati, come accade del resto da un quarto di secolo, a determinati parametri concordati nelle intese aziendali.”
“Sempre al livello aziendale, oltre agli aumenti retributivi di natura monetaria, possono essere contrattate anche ulteriori quantità di flexible benefits. Questi ultimi, come si è già detto, godono – per così dire – di una decontribuzione previdenziale che si aggiunge alla defiscalizzazione. Sarà quindi necessario che ai lavoratori vengano fornite informazioni precise sulle conseguenze di tutto ciò. Anche se, in un primo momento, questi ulteriori benefits potranno sembrare loro più abbondanti, e quindi più attraenti dei soldi liquidi, al momento in cui i lavoratori stessi potranno andare in pensione tali benefits si tradurranno in una minore quantità di contributi versati. Specie per i lavoratori più vicini al pensionamento, la sostituzione di aumenti monetari con flexible benefits è quindi destinata ad avere effetti non positivi sui loro trattamenti pensionistici. Il salario aggiuntivo derivante dalla contrattazione aziendale, invece, pur detassato, comporta il pagamento dei relativi contributi previdenziali e quindi, in futuro, si rifletterà sull’ammontare della pensione.”
Fin qui abbiamo parlato di retribuzioni e flexible benefits. Ma nel contratto c’è anche altro. Un aspetto che ha colpito positivamente i commentatori è quello del diritto soggettivo alla formazione professionale.
“Infatti, questo non è un contratto che estende a tutti i metalmeccanici gli accordi separati del passato con la loro logica. Al contrario, è un’intesa che porta con sé dei nuovi contenuti normativi, che giudichiamo molto importanti, e che introduce anche elementi sperimentali.”
“Tra questi c’è, indubbiamente, la questione della formazione continua. Ora qui il punto non è che, prima del nostro contratto, le imprese non facessero formazione professionale per i propri dipendenti. La facevano, ma secondo i propri piani. Poteva quindi accadere che facessero 100 ore per un lavoratore e 0 per un altro. Il diritto alla formazione continua come diritto soggettivo del lavoratore è una novità assoluta, anche se, per certi aspetti, si inserisce in una tradizione metalmeccanica che risale alla conquista delle 150 ore. Con la conquista di questo diritto si afferma un principio fondamentale volto, anche qui, a includere tutti i metalmeccanici dentro un certo standard di opportunità. E devo riconoscere il ruolo positivo che è stato assunto da Federmeccanica rispetto a questa tematica. Non credo che sia facile per loro convincere ogni impresa a organizzarsi per fornire, nel triennio 2017-2019, 24 ore di formazione a ognuno dei loro dipendenti.”
“D’altra parte, si tratta di una scommessa che riguarda sia i lavoratori che le imprese. Il punto è: come stare dentro a una fase di innovazione spinta? Noi crediamo che servano lavoratori più professionalizzati e rappresentanze sindacali più consapevoli dei problemi e delle scelte aziendali. Nel corso della trattativa, ci siamo impegnati dunque per costruire un contratto che tornasse a far crescere la capacità sindacale di partecipare alla vita delle imprese, discutendo del sistema degli orari così come del che cosa e come si produce. Non per caso, quindi, abbiamo puntato a ottenere un rafforzamento e un aggiornamento dei diritti di informazione conquistati negli anni 70 e contenuti nella prima parte del contratto. Ora si tratta di passare dalle parole ai fatti, cominciando a utilizzare questi strumenti nel vivo della realtà quotidiana delle imprese, rimettendo al centro la prestazione del lavoratore.”
Il concetto di welfare contrattuale è molto ampio. Comprende il diritto alla formazione professionale di cui abbiamo appena parlato, i flexible benefits che abbiamo visto prima, ma anche tematiche come quelle della previdenza complementare e della sanità integrativa.
“Per ciò che riguarda la previdenza complementare il discorso è più semplice. Si tratta di un’esperienza consolidata, che è stata avviata col contratto nazionale negli anni 90 e che adesso esce rafforzata dal rinnovo contrattuale. Fra l’altro, oltre alla crescita dei contributi a carico delle imprese, sancita dal contratto, i lavoratori possono anche scegliere di tradurre i flexible benefits in aumenti della conrtribuzione al fondo Cometa che è già loro carico. Più complesso il discorso relativo alla sanità integrativa. Il nostro contratto nazionale, qui, è arrivato dopo una serie di accordi aziendali che avevano affrontato la materia. Nella trattativa, anche rispetto a questa problematica, abbiamo seguito un criterio inclusivo. Non per caso, l’accordo non riguarda solo i dipendenti attivi nelle imprese metalmeccaniche, ma anche i loro familiari, i lavoratori a tempo determinato e quelli in Cassa integrazione, nonché quelli in mobilità, o comunque non più occupati, per il primo anno dopo l’uscita dal posto di lavoro.”
“Adesso siamo davanti a una doppia sfida. Da una parte, dobbiamo batterci con tutta la Cgil affinché vengano difesi il valore e la funzione del Sistema sanitario nazionale. Dall’altra, dobbiamo lavorare affinché, Regione per Regione, l’assistenza sanitaria integrativa, pagata dalle aziende, venga costruita in modo tale da arricchire l’offerta della sanità pubblica, senza contrapporsi ad essa. Si tratta di un terreno tutto da sperimentare, eventualmente anche assieme ad altre categorie, e anche usando le modalità della contrattazione sociale.”
A questo punto mi viene in mente una famosa battuta del generale de Gaulle: “Vasto programma”. Fim, Fiom e Uilm ce la faranno ad affrontare dei compiti così impegnativi?
“Per prima cosa osservo che, questa volta, il nostro è tornato ad essere un contratto unitario, e questo è stato un gran passo avanti. Ovviamente, non siamo in una fase di unità sindacale, come ai tempi della Flm. La nostra è un’unità che va costruita di volta in volta, passo dopo passo. Sappiamo benissimo, infatti, che non la pensiamo allo stesso modo su tutto. Ma sappiamo anche che più siamo uniti e più siamo forti. E che dobbiamo portare al secondo livello, nelle centinaia e migliaia di imprese in cui siamo presenti, quell’unità che siamo riusciti a ricostruire nella trattativa per il contratto nazionale.”
“Ma, davanti a noi, non c’è solo un problema di unità fra diverse organizzazioni sindacali. C’è anche, se non di più, un problema di rapporto fra il centro nazionale, quello che agisce e opera a partire da questo palazzo, e i territori. Credo che questo sia il grande compito in cui dobbiamo impegnarci, da subito, per poter poi vincere la sfida della contrattazione aziendale: quello di costruire un’intelligenza collettiva che tenga insieme centro e periferie. E qui si porrà, anzi già si pone, anche un problema di formazione sindacale. Dobbiamo accrescere le nostre capacità collettive per trarre tutto ciò che si può trarre da questo nostro contratto.”
@Fernando_Liuzzi