Niccolò Moriconi, cantante, pur avendo scelto il nome d’arte Ultimo, pensava di essere il primo. Il televoto lo aveva premiato con il 48,8 per cento ma poi il giudizio della sala stampa e quello della giuria d’onore hanno ribaltato il responso facendo vincere il rivale Mahmood, madre sarda e papà egiziano. “Non è il festival scelto dal popolo”, l’accusa mossa dallo sconfitto che ha subito cavalcato l’onda lunga del risentimento sociale contro i magheggi dei giornalisti e degli intellettuali. Matteo Salvini non ha dubbi su quale sia la canzone italiana più bella, sottolineando l’aggettivo nativista. E Luigi Di Maio ringrazia ironicamente Sanremo “perché quest’anno ha fatto conoscere a milioni di italiani la distanza abissale che c’é tra popolo ed élite”.
A nulla valgono le spiegazioni sul rispetto del regolamento, certo bizzarro e da cambiare, ma che tiene conto di un possibile uso distorto del televoto (ha un costo e quindi può essere influenzato da chi decide di investire su un certo disco) e quindi cerca di riequilibrarlo con il giudizio degli esperti e con un vaglio di qualità. Precisazioni inutili perché ormai la stragrande maggioranza della gente pensa che Ultimo sia stato scippato in spregio alle decisioni e al sentimento nazionalpopolare. Il sospetto, più o meno dichiarato, è che lo abbiano fatto apposta, arroganti agenti del meticciato e del multiculturalismo, una provocazione contro le politiche immigratorie del governo. D’altro canto, dalla giuria del festival al Fondo monetario internazionale passando per la Banca d’Italia e la Corte Costituzionale, tutto ciò che odora di ristretti gruppi e di interessi inconfessabili va demonizzato. Non è più prevista alcuna stanza di compensazione, tutto deve essere diretto e immediato.
Guy Verhofstadt, ex premier belga e capo dei liberaldemocratici, ha accusato Giuseppe Conte di essere “il burattino” di Salvini e DI Maio. “Che alcuni burocrati europei ci insultino è vergognoso: Preparino gli scatoloni”, l’immediata replica del ministro degli Interni. Fuoco a palle incrociate contro le lobby e i comitati d’affari, “bifolchi e buzzurri”. Conte ha insistito nel dire che “l’Europa deve ascoltare il popolo”. Verhofstadt ha avuto buon gioco nel replicare che lui è stato eletto e il presidente del consiglio italiano no. Già perché esistono tanti popoli, non solo il nostro. E tutti votano. E gli interessi possono essere contrapposti. E portare a sanguinosi conflitti. Richard Wagner, quando era ancora ammaliato dalle idee della rivoluzione francese e dall’internazionalismo, scriveva manifesti contro la “vanità” del nazionalismo.
E’ il paradosso dei paradossi. I sovranisti, malati di complottismo, vittime del Grande Complotto. Si mette all’indice il nemico di turno e si pretende di alzare muri, veri e psicologici, per difendere se stessi e la propria tribù, quando in realtà stiamo diventando entità indistinte nel mare magnum dell’interconnesione. L’anno prossimo dovrebbe fare il suo esordio il sistema 5G, la rete di quinta generazione, costruita, come ha scritto il New York Times, “per servire i sensori, i robot, i veicoli che si guidano da soli e gli altri dispositivi che trasmetteranno enormi quantità di dati e permetteranno di gestire fabbriche, cantieri, intere città senza ricorrere all’intervento umano”. Non solo: “Consentirà anche un uso maggiore della realtà virtuale e dell’intelligenza artificiale”. Scompariranno le vecchie classi dirigenti, con buona pace degli odiatori seriali, ma dietro la back door ci sarà sempre qualche oscuro burattinaio. Forse il televoto sostituirà le urne e un I like prenderà il posto delle elezioni. Illusi di essere liberi e di contare ma schiavi decerebrati al servizio di oscuri pupari, di multinazionali, di trafficanti di armi e di droga, di signori della guerra, di autocratici demagoghi. Eccole, le nuove élite. Tutti seduti sugli spalti di un virtuale Colosseo, ad alzare e abbassare il pollice, convinti di contare e di decidere, ma alla fine quel che prevale è la volontà dell’imperatore di turno e della sua corte. Un mondo disumano, senza memoria e senza cultura.
Aveva ragione Ray Bradbury. Impariamo a memoria un libro. Appuntamento nei boschi, per declamarlo a voce alta.
Marco Cianca