Si fa gran parlare in questi giorni della necessità o meno di una legge che regoli la rappresentatività sindacale sulla scorta dei criteri del protocollo del 31 maggio 2013. Bene, a mio avviso, questa legge non andrebbe immune da una censura di incostituzionalità. Vi spiego il perché. Sono circa cinquant’anni che i sindacati si riconoscono reciprocamente rappresentativi per colmare una lacuna dell’ordinamento: la mancata attuazione del co. 4 dell’art. 39 Cost., che legittima alla sottoscrizione di contratti collettivi con efficacia erga omnes solamente i sindacati registrati.
La ragione è semplice. I sindacati hanno avuto timore che, con la registrazione, lo Stato, come nell’esperienza del corporativismo, ne avrebbe limitato l’autonomia. E così i sindacati, se non si fossero riconosciuti rappresentativi, difficilmente avrebbero potuto rivestire di efficacia generalizzata i contratti collettivi che di volta in volta avrebbero sottoscritto. Ora, il protocollo del 31 maggio, a ben vedere, dribbla il co. 4 dell’art. 39 Cost., perché non ne presuppone l’attuazione. Piuttosto, individua i criteri per misurare quella rappresentatività che i sindacati non hanno mai smesso di riconoscersi, se non per un parentesi di tempo a partire dal 2009, come palliativo alla mancata attuazione di questo comma della Costituzione. E infatti, se il co. 4 dell’art. 39 della Cost. fosse stato attuato, nè i sindacati avrebbero dovuto riconoscersi vicendevolmente rappresentativi, né a maggior ragione avrebbero dovuto, con l’accordo del 31 maggio, fissare i criteri per misurare questa rappresentatività. E questo perché avrebbero potuto senza ostacoli già sottoscrivere contratti collettivi applicabili a tutti i lavoratori.
Tutto sommato, però, il protocollo del 31 maggio, per la sua natura di accordo, soggiace alle regole civilistiche. E quindi al più potrebbe essere dichiarato nullo su domanda di chi vi abbia interesse: i sindacati minori, esclusi dalla partecipazione al tavolo delle trattative negoziali per assenza del requisito del 5% come media tra il dato associativo e quello elettorale, che il protocollo del 31 maggio fissa. Questi sindacati, però, difficilmente domanderanno qualcosa del genere. Perché, come un cane che si morde la coda, con un ritorno al vecchio sistema di accreditamento, rischierebbero di essere comunque messi da parte dagli imprenditori e dai sindacati, che questo protocollo hanno voluto. Perché i primi non li accrediterebbero; i secondi non li riconoscerebbero rappresentativi. Ma una legge è un’altra cosa. E di certo non potrebbe dribblare, al pari di un protocollo, il precetto espresso al co. 4, art. 39 della Costituzione, perché, altrimenti, si esporrebbe ad una censura di incostituzionalità.
Per questo, se si invoca una legge sui sindacati, allora occorre anzitutto una legge che attui questo famoso co. 4, o per meglio dire tracci la disciplina della registrazione dei sindacati perché questi possano registrarsi e quindi sottoscrivere contratti con efficacia verso tutti. A quel punto, però, accadrebbe una cosa strana: una legge sulla rappresentatività sindacale sarebbe inutile. Perché la legge in attuazione del co. 4, art. 39, Cost., abilitando i sindacati a sottoscrivere contratti collettivi con efficacia generalizzata, risolverebbe il problema monte. E quindi vanificherebbe la necessità di una legge sui criteri per misurare la rappresentatività che i sindacati, prima del protocollo del 31 maggio, si sono sempre reciprocamente riconosciuti per null’altro che per rivestire i contratti collettivi di questa efficacia. In questo senso, depone del resto la stessa formulazione del co. 4, dell’art. 39 Cost., che così dispone: “i sindacati (n.d.r. anzitutto) registrati hanno personalità giuridica. Possono, (n.d.r. a questo punto) rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categoria alle quali il contratto si riferisce”.
Insomma, leggendo e rileggendo questo comma, è chiaro che la questione della rappresentanza succede, e non precede, quella della registrazione dei sindacati. Attenzione, quindi, a non essere ristretti dallo spazio più grande, ma ad essere in grado di stare nello spazio più piccolo. Come direbbe il fondatore della Compagnia di Gesù.
Ciro Cafiero
Collaboratore della Cattedra di Diritto del lavoro presso la Luiss