Si è svolto venerdì 10 giugno a Villa Piccolomini un seminario organizzato da Il diario del lavoro in cui gli esponenti del mondo della produzione, del sindacato e della politica hanno approfondito i temi della rappresentanza e della rappresentatività. Diamo di seguito un’ampia sintesi degli interventi che si sono succeduti.
Il dibattito è stato introdotto da una relazione di Marco Marazza, professore di diritto del lavoro Università di Teramo, sulla panoramica del contesto legale nel quale si inserisce il tema oggetto della rappresentanza sindacale. Uno dei problemi principali che il sistema deve affrontare riguarda il fatto che esiste, ha sottolineato il giuslavorista, una pluralità di fattispecie di rappresentanza sindacale dalla quale deriva una pluralità di effetti.
Ad esempio, nel pubblico impiego esiste il criterio di maggiore rappresentatività finalizzata ad individuare i soggetti titolati a partecipare al tavolo negoziale, oppure titolati a costituire rappresentanze sindacali aziendali. Ma esiste anche il criterio di maggiore rappresentatività che autorizza i sindacati a presentare le liste per le Rsu, e il criterio di maggiore rappresentatività finalizzato alla stipulazione dei contratti collettivi. I sistemi applicati nel pubblico impiego non possono essere integralmente esportati nel settore privato per la fondamentale differenza del riferimento costituzionale nel quale operano le imprese private.
Nel privato abbiamo altrettante diversificate fattispecie della maggiore rappresentatività sindacale, tra le quali maggiore rappresentatività effettiva e sindacato maggiormente rappresentativo. Quella effettiva, richiamata dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, consente la costituzione di Rsa e quindi il godimento dei diritti riconosciuti dalla legge a queste rappresentanze. È effettivamente maggiormente rappresentativo il sindacato firmatario dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva.
Esiste poi il concetto di sindacato rappresentativo per essere titolare dei diritti di consultazione e informazione previsti dal nuovo decreto legislativo n.25 del 2007: in questo caso la legge demanda alla contrattazione collettiva il compito di individuare quali sono i soggetti destinatari degli obblighi di informazione e consultazione.
Il sindacato che si impone negozialmente alla controparte datoriale acquisisce rappresentanza effettiva. Poi abbiamo il vecchio concetto di rappresentatività sindacale, le associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative, la cosiddetta rappresentanza presunta, perché non si verifica la rappresentanza dell’associazione, ma quella della confederazione alla quale l’associazione aderisce. Infine c’è il concetto di sindacato comparativamente più rappresentativo, richiamato in casi di trasferimento d’azienda o nella stipula di particolari contratti, ma il concetto è più filosofico che reale.
In un quadro così frastagliato di fattispecie emergono alcuni punti sui quali misurarsi. Innanzitutto non esiste un concetto di maggiore rappresentatività utile per dirimere un conflitto inter-sindacale relativo alla stipulazione del contratto collettivo, che sancisce la generale applicabilità di un contratto collettivo, in particolare nei confronti dei lavoratori iscritti al sindacato dissenziente rispetto a quell’accordo. Questa regola manca perché non è stato attuato l’art.39, né questa regola può, nell’attuale quadro normativo e con l’attuale testo dell’art. 39, venire da un atto legislativo, salvo che non vengano emanate le leggi che regolamentano la registrazione dei sindacati e che questi si registrino secondo tali norme.
L’articolo 39 non esclude comunque che la regola della rappresentatività sindacale utile per governare il dissenso sindacale venga affermata da un punto di vista negoziale. Nulla esclude che siano gli stessi protagonisti delle relazioni sindacali a stabilire il principio per cui raggiunta una certa rappresentatività, il sindacato dissenziente si vincoli negozialmente ad accettare la regola approvata dalla maggioranza della coalizione. Questo porta a un contesto nel quale, senza doverci confrontare con dei profili di legittimità costituzionale ex articolo 39, negozialmente è possibile realizzare un impianto nel quale vi sia un’autolimitazione dei sindacati finalizzata ad accettare il criterio della maggiore rappresentatività della coalizione disponibile a sottoscrivere un determinato testo contrattuale. Queste regole possono essere declinate nel modo più vario, si può stabilire che la maggioranza è quella espressa dai sindacati o dai lavoratori per referendum, e si può stabilire qual è la rappresentatività sindacale sufficiente a far accettare ai sindacati dissenzienti le regole stabilite da altri. Insomma, si possono verificare diversi scenari, la regola principale è quella di definire queste regole al livello confederale, ma nulla vieta che siano definite dalla contrattazione nazionale di categoria o da quella aziendale.
Anna Rea, segretario della Uil Campania, ha incominciato il suo intervento parlando della decisione del segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, di disdire l’accordo del 1993 sulla contrattazione. Decisione nata da una forzatura dell’Abi che nella fase precedente alla trattativa per il rinnovo del contratto nazionale dei bancari ha deciso di procedere al rinnovo non secondo le regole del 2009 ma, con quelle 1993. Questa decisione, ha sostenuto, ha accelerato la discussione all’interno della Uil, che ha deciso come prima cosa di dare formale disdetta a quell’accordo che l’Abi intende utilizzare pur essendo stato superato dall’intesa del 2009. Questa decisione, ha detto serve per dare una scossa a tutti per uscire dall’empasse generale. Infatti, quell’accordo contiene anche delle norme sulla rappresentanza e sulla democrazia sindacale. Quindi il fatto di disdire quel patto è un modo per che dire che bisogna ricominciare a cercare un accordo su questi temi. Il primo passo, ha detto, è la certificazione degli iscritti da parte dell’Inps come era peraltro stato previsto nel 1993 e mai applicato. Oggi, ha detto Anna Rea, ci troviamo in una situazione paradossale nella quale alcuni sindacati delegano ai tribunali la risoluzione dei conflitti sulle regole e questo è inaccettabile.
Per il vicesegretario della Cisl, Giorgio Santini, è necessario partire dall’idea che la rappresentanza garantisce la legittimità della contrattazione. Nell’accordo dell’93, ha detto, si parlava anche di rappresentanza, cosi come nell’intesa tra le confederazioni del 2008, poi il filo si è spezzato. Il tema che oggi si pone, ha proseguito, è l’effettività degli accordi dopo che si è creata una situazione di stallo patologica e disastrosa che rischia di creare seri problemi alla tutela dei lavoratori. Santini non si spiega perché quell’accordo unitario sia poi stato lasciato cadere dal momento che fu, sostiene, un’intesa in cui le posizioni della Cgil prevalsero. La Cisl, ha ricordato, ha sempre preferito la certificazione degli iscritti ai voti, ma lo firmò. È necessario quindi ripartire da lì e far certificare gli iscritti da un ente terzo come l’Inps. La certificazione, ha detto, è un elemento importante che darà chiarezza. Secondo Santini, il rapporto tra gli iscritti e l’insieme dei lavoratori è una variante complessa e il fatto che l’auspicata diffusione delle Rsu in tutti i luoghi di lavoro non sia avvenuta come dimostra il persistere in molti settori delle vecchie Rsa, fa comprendere che qualcosa non ha funzionato. Per Santini, del resto, se la diffusione delle Rsu non è riuscita quando i rapporti non erano tesi, sarà difficile che questo avvenga adesso. È importante, dice, l’iniziativa di Confindustria che presto convocherà le parti sul tema della rappresentanza. Riguardo alle parole del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, che ha aperto alla possibilità di fare dirimere la questione a una legge, mutando così la tradizionale posizione del sindacato, Santini haspiegato che si tratta di un’extrema ratio.
Gaetano Sateriale della Cgil, ha iniziato il suo intervento ricordando che da tempo l’accordo del ’93 non c’è più. Questo accordo, ha sottolineato, era impostato su tre concetti fondamentali che non esistono più: il patto per la crescita attraverso la concertazione, ma il libro bianco del 2001 ha eliminato la concertazione; una struttura contrattuale, ma dal 2009 ce n’è un’altra; un sistema di rappresentanza basato esclusivamente su Rsu e dove non ci sono le Rsu, le Rsa.
Per questo prima di parlare di regole sulla rappresentanza bisognerebbe ripartire dal patto per la crescita. Nei futuri incontri con Confidustria per Sateriale bisogna ripartire da questo. La scaletta delle priorità deve essere: patto per la crescita, struttura contrattuale finalizzata a realizzare tale crescita, sistema rappresentanza e regole finalizzate a realizzare quella struttura contrattuale. Non sono ottimista che ci possiamo arrivare, ha commentato, perché sono 8 mesi che ci lavoriamo, nei quali abbiamo firmato molti documenti interessanti che sono rimasti nel cassetto.
Una legge sulla rappresentanza in assenza di un accordo, non sarebbe una soluzione molto credibile.
Anche nel merito dei rapporti tra le Confederazioni Sateriale si dichiara “non ottimista”, perché, ha detto, la Cgil ha provato a fare qualche proposta senza però avere risposte positive: su rappresentanze e regole, è stato risposto che c’era già il 2008, sulla struttura contrattuale finalizzata a un sistema più flessibile, che c’era già il 2009. Per il sindacalista poi bisogna risolvere la questione di fondo sulla derogabilità o meno: come stanno insieme i concetti di esigibilità e derogabilità? A suo giudizio, la soluzione potrebbe essere adottare un contratto nazionale più leggero, più in grado di fare da cornice, e contratti di secondo livello in grado di cogliere le differenze nei luoghi di lavoro. Se alla Cgil si dice sull’accordo del 2008 prendere o lasciare, sulle deroghe prendere o lasciare, diciamo lasciamo. Se si parte da lì per arrivare a delle modifiche condivise, siamo qua. L’accordo del 2008 sulla rappresentanza “non va più bene”, secondo Sateriale, perché da quell’intesa in poi c’è stato il “diluvio universale”. Dare la colpa alla Fiom, è una semplificazione un po’ forte, ha osservato, e parlare di nuove regole condivise a partire dall’esperienza Fiat fa sorridere, perché Fiat non ha mai fatto storia nel sistema delle relazioni industriali di questo paese. Sono pessimista perché credo si sia instaurato un clima di conflittualità inter-sindacale, invece che di competizione. Tutto il dibattito è concentrato su qual è il sindacato più grande. Serve a questo la certificazione, per determinare il peso degli iscritti. Se si vuole la competizione, facciamola. Il punto discriminante tre le confederazioni rimane il fatto che la Cgil vuole che i rappresentanti sindacali nelle aziende siano eletti dai lavoratori. Se dovesse prevalere la competizione inter-sindacale, la concorrenza e il conflitto, ha infine detto il sindacalista, non basterà la certificazione.
Secondo il segretario nazionale dell’Ugl, Nazzareno Mollicone, la rappresentanza è un tema molto importante che ha sempre visto l’Ugl in prima fila. Abbiamo da sempre, ha ricordato, chiesto l’applicazione dell’articolo 39 della costituzione. L’Ugl pur avendo una storia differente da quella di Cgil, Cisl e Uil, non ha mai fatto battaglie giudiziarie per contestare gli accordi fatti dai sindacati confederali e ha sempre accettato le intese firmate dai sindacati maggioritari, opponendo solamente critiche di natura sindacale. Mollicone ha anche detto di essere favorevole all’estensione del sistema delle Rsu laddove non ci siano in quanto questo è un sistema che funziona e che ha garantito l’elezione diretta della rappresentanza sindacale. L’esponente dell’Ugl ha poi aggiunto che dopo il 2008 non c’è stato solo la crisi nel mondo sindacale a causa dell’accordo separato del 2009, ma anche l’esplodere della crisi globale che ha portato un impoverimento mondiale e a un aumento della competizione da parte di paesi come la Cina o l’India in cui vi è alta produttività e costo del lavoro bassissimo e meno regolato che in Italia. Questi fattori, ha aggiunto, hanno portato a un aumento dell’importanza dei contratti aziendali, strumento con cui si cerca la quadratura del cerchio per far sopravvivere imprese esposte ad una concorrenza spietata. Ora, secondo Mollicone, questa accresciuta centralità dei contratti aziendali rende ancora più centrale l’esigenza della rappresentanza. Soprattutto perché oggi vi sono diverse posizioni su come reagire alla globalizzazione e quindi se ogni volta che si fa un accordo il sindacato minoritario che non ha firmato fa ricorso ai giudici per invalidare l’accordo, si crea una conflittualità permanente. L’unico modo per superare questo, dice, è sottoporre gli accordi al voto dei lavoratori e accettare il risultato che esce dalle urne. L’Ugl, ha aggiunto, è comunque per la difesa del contratto nazionale e per garantire l’effettiva rappresentanza sindacale pensa che si potrebbe arrivare a fare delle elezioni generali, simili a quelle politiche, in cui i lavoratori votano una rappresentanza sindacale.
Pierangelo Albini, vice direttore di Confidustria, ha distinto il sindacato dal partito. Perché, ha detto, il partito aggrega i consensi, il sindacato li rappresenta, hanno funzioni diverse. Vedo una grande riflessione sui modelli organizzativi della politica, mi sembra meno vivace la riflessione sui modelli organizzativi delle organizzazioni sindacali, tra cui anche Confindustria. Invece il tema sulla rappresentanza, ha detto, pone interrogativi su strutture, forme, ma c’è poca attenzione a queste suggestioni, alle trasformazioni, le realtà danno delle indicazioni e noi siamo poco capaci di leggerle. Questo perché manca partecipazione. E’ da chiarire, a suo giudizio, se la rappresentanza si esercita con una forma di delega piena o partecipata, e se poi la delega viene data da tutti i lavoratori o da quei lavoratori che partecipano più attivamente delle scelte e delle responsabilità e che sono gli iscritti ai sindacati. Sicuramente per Confindustria il tema della rappresentanza va lasciato al sindacato. Albini però si augura che il dibattito non sia miope. Perché in una società complessa e veloce, anche noi che siamo dall’altra parte del tavolo abbiamo bisogno di poter contare sulla rappresentatività di chi ci sta davanti. Ci sono però dei vincoli da rispettare. Tra questi, la rapidità delle relazioni sindacali. E’ necessario, ha detto, costruire un concetto di rappresentanza in grado di trasformarsi, seguendo la dinamicità dei tempi.
Per la Costituzione vale il principio dell’auto-riconoscimento. Negozio con chi mi da maggiore affidamento. Le leggi sono orpelli che complicano la vita dell’impresa, ai fini della contrattazione non vedo molte alternative. La possibilità di riscrivere l’art. 39 è una missione impossibile, ma anche l’attuazione è faticosa, forse le difficoltà sono maggiori.
Per Confindustria gli accordi valgono se sono rispettati. Sulla scelta tra Rsu e Rsa, Albini ribadisce che la scelta del ’93 per le Rsu è assolutamente ancora valida, perché dà voce al pluralismo e consente a tutti di avere una rappresentanza. La rappresentanza però deve essere unitaria, muoversi come un soggetto unico. Se c’è la maggioranza delle Rsu l’accordo è valido.
Albini poi ritorna a parlare di deroghe, sottolineando che l’accordo del 2009 è coerente con le regole perché, spiega, c’è un governo delle deroghe, e questo è preferibile a un contratto aziendale fuori dalle regole.
Sulla scelta tra Rsu e Rsa, Albini ha detto che capisce il sindacato che vuole la Rsa, perché in questa ha la delega, ma il sistema delle Rsa va ricondotto all’unicità che le Rsu danno. Con tre Rsa distinte, il concetto di rapidità va a spasso. Il sistema oggi ha la necessità di avere certezze, ha detto Albini, e il sistema della rappresentanza deve avere come obiettivo la sottoscrizione degli accordi e la loro applicazione. Quindi servono due cose, da un lato interrogarsi sui sistemi che possono consentire di avere un’interlocuzione con una rappresentanza significativa, da un altro garantire rapidità e certezza. Il referendum, secondo Albini, è uno strumento che il sindacato può utilizzare prima di fare accordi, non dopo.
Pierpaolo Baretta, capogruppo Pd alla Commissione Lavoro alla Camera, ha sottolineato che lo scenario è in movimento, come dimostra la vicenda Fiat. Mi auguro, ha detto, che quando l’incertezza del momento scemerà, i sindacati si concentrino per superare questa fase di conflittualità. Il deputato, rispondendo a Sateriale, ha detto che, se le tematiche di oggi sono il fisco e la crescita, bisogna allora combattere con più forza per la riduzione della pressione fiscale, mentre per favorire lo sviluppo non si possono presentare piattaforme sindacali troppo onerose. Per Baretta è necessario favorire un sistema di partecipazione dei lavoratori che li renda responsabili e che vada di pari passo con la concertazione. La politica, ha detto, deve intervenire solamente dopo che ci sia stato un accordo interconfederale. Solamente nel caso in cui ci fosse un fallimento sindacale, un intervento politico sarebbe necessario. Siamo, ha sostenuto, di fronte ad un bivio oggettivo. Infatti, se si dovesse trovare un accordo sulla certificazione, dopo si aprirebbero due scenari. Il primo è quello della competizione tra sindacati, mentre il secondo è quello della cooperazione per soluzioni condivise. Secondo Baretta, il sintema di rappresentanze del pubblico impiego, che tanto piace, è in realtà troppo impaludato, mentre in questo momento è necessario estendere il sistema delle Rsu. Secondo l’esponente politico la questione più urgente è affrontare la crisi del contratto nazionale. Baretta ha concluso dicendo che serve una riflessione sugli scambi Rsu-libertà di competizione e partecipazione-rappresentanza.
La partita dell’unità sindacale non è completamente perduta, ha detto Giuliano Cazzola, deputato del Pdl e vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera, i rapporti tra Cgil, Cisl e Uil in fondo non sono stracciati ovunque, si sono sottoscritti molti contratti unitari nelle categorie. Non sono pessimista sul futuro, ha detto, e spero che la situazione possa evolversi, molti soggetti mediatori lavorano in questa direzione, compreso lo stesso vertice di Confindustria che pure ha cercato di tener conto di un rapporto con la Cgil.
Parlando dell’art. 39, Cazzola ha detto che è un capolavoro di certezze giuridiche perché risolve tutti i problemi, rappresentanza, rappresentatività, personalità dei sindacati, efficacia orge omnes dei contratti. Però, sottolinea, l’articolo vive tra inapplicazione e irrilevanza. Questa norma, infatti, non ha possibilità di essere applicata, perché gli stessi sindacati esercitano da sempre diritti di veto. In un mondo teorico, secondo Cazzola, l’art. 39 andrebbe riformato. La proposta di modifica presentata dal senatore conferma il primo comma e modifica tutti gli altri. Individua i criteri di reciproco riconoscimento e autonomia contrattuale come viatico dell’azione delle parti sociali e un meccanismo di validità erga omnes affidato al governo, attraverso una legge delega.
E’ molto difficile risolvere con una legge la risoluzione di un conflitto che le stesse organizzazioni sindacali non sono mai state in grado di risolvere, ha detto. Conflitto che, secondo il deputato del Pdl, emerge anche all’interno delle Rsu che non sono un organismo unitario, ma fanno parte di Cgil Cisl e Uil. L’Italia, ha detto, ha il mito che la Costituzione non si tocca e invece il problema sulla rappresentanza sta proprio nell’articolo 39 che andrebbe cambiato, al massimo lasciato solo il primo comma. Su due fattori si potrebbe intervenire: i criteri del referendum e il collegamento tra il referendum e il contratto aziendale. Per quanto riguarda la possibilità di intervenire con una legge in assenza di un accordo tra le parti, Cazzola si dichiara favorevole, nonostante sia anche il governo contrario a un intervento.
Secondo Roberto Maglione di Finmeccanica il fatto di concentrare l’attenzione solo su elementi tecnici diventa un freno, mentre il problema di oggi è la competitività. Noi in Finemeccanica perdiamo la metà del tempo a mettere i sindacati d’accordo tra di loro. Un tempo, ha sostenuto, era la parte datoriale che tentava di dividere il fronte sindacale, oggi facciamo l’opposto. Nella nostra azienda l’unità sindacale è un valore e ci ha permesso di gestire in 8 anni 18 mila esuberi e altrettante assunzioni: alla fine con accordi unitari abbiamo assunto quante persone abbiamo mandato via. In un momento di crisi come questo, ha aggiunto, il valore dell’unità diventa ancora più importante. In particolare in questo momento stiamo cercando con i sindacati di modificare il sistema di inquadramento, che è fermo dagli anni settanta. Secondo l’esponente di Finmeccanica, il sindacato in questa fase sta passando dall’antagonismo alla partecipazione e questo passaggio va sostenuto.
Antonio Migliardi, capo del personale di Telecom Italia ha iniziato il suo intervento sottolineando l’importanza della rapidità di adattamento alle nuove condizioni dello scenario economico nel settore delle telecomunicazioni. “Sono molto preoccupato”, ha detto, “perché la riflessione sulle conseguenze della crisi globale non è entrata molto nel linguaggio del sistema di relazioni industriali. La ricchezza complessiva nel mondo si è ridotta. Questo ha accentuato l’asprezza della competizione”. La vicenda Fiat, a suo giudizio, rappresenta “non tanto una vicenda imprenditoriale singola, ma il sintomo di un cambiamento drammatico del recinto della competizione che si è realizzato per effetto del cambiamento delle regole della competizione globale”. “La rapidità con cui cambiano i perimetri” non si può sottovalutare. Il driver di cui tener conto non sono i modelli organizzativi, ma la competizione, le regole. Il vero fattore è il tempo. Il tempo, ha detto Migliardi, manda in crisi qualsiasi regola sulla rappresentanza sindacale ma anche delle imprese. A suo avviso, i sindacati devono risolvere il problema della rappresentanza tra di loro, non attraverso una legge. Anche per Migliardi, gli accertamenti del mandato devono essere fatti prima dell’accordo. Per quanto riguarda il tema delle Rsu, il capo del personale di Telecom ha detto che tifa affinché “il capitolo Rsu non passi agli atti troppo rapidamente”.
Secondo Cesare Damiano, deputato PD, le regole di rappresentanza hanno funzionato a condizione che ci sia un ombrello di copertura. Anche al tempo della concertazione e dell’unita sindacale, ha ricordato, c’era competizione, ma oggi si corre il rischio di andare verso una balcanizzazione. Secondo il politico è probabile che con la balcanizzazione delle relazioni industriali e con il progressivo passare ad un sistema aziendale le grandi associazione di interessi come Confindustria e i sindacati finiscano per indebolirsi. Il rischio, ha detto, è che un domani le aziende trattino con chi loro conviene e che nascano sindacati di comodo. Uno scenario come questo, ha proseguito, non conviene a nessuno. Damiano ha aggiunto di non essere d’accordo con Sateriale quando dice che la Fiat non ha mai fatto scuola. Per uscire dall’attuale empasse l’ex ministro del lavoro partirebbe dall’accordo del 2008. Bisogna, ha detto, combattere la balcanizzazione con regole di rappresentanza. Non è una strada facile, ma servirebbe ad evitare la sostituzione del contratto nazionale con quello aziendale.
Il punto chiave da cui partire, secondo Roberto Santarelli, direttore generale di Federmeccanica è il tema dell’effettività ed efficacia dei contratti. Questo è il punto intorno a cui ruota la discussione, ha spiegato, poi le tappe che portano a questo risultato ovviamente non possono non partire dal tema della rappresentanza e delle regole erga omnes, e poi dalle regole a presidio dell’erga omnes. Occorrono soluzioni condivise sulla rappresentanza, buon senso e pragmatismo, altrimenti ci perdiamo. La strumentazione tecnica è chiara a tutti, ha detto, il punto vero è che c’è un problema politico all’interno delle organizzazioni sindacali: se non si supera, si rischia il conflitto. La competizione tra confederazioni secondo Santarelli c’è sempre stata, perché esistono organizzazioni diverse che competono sullo stesso mercato. Il problema è che oggi non c’è più competizione, c’è il conflitto aperto e duro, al di là delle derive giudiziali che hanno preso piede nel settore metalmeccanico. “Le aziende, ha spiegato, faticano molto a gestire la situazione, il caso Fiat è il più eclatante. Ci sono situazioni complicate e in numerosi casi conflitti a partire dalle elezioni delle Rsu. “Finora, ha detto Santarelli, il ruolo delle aziende è stato quello di fare da mediatori tra le organizzazioni sindacali, ricomponendo un punto di equilibrio per raggiungere un accordo. Questo è stato possibile fino a quando c’è stata competizione. Ma quando esiste il conflitto non possiamo più essere mediatori, siamo costretti a scegliere. Questo porta a scelte non condivise. Il rischio non è solo la balcanizzazione, ma la disgregazione delle relazioni industriali”.
Santarelli ha poi detto di essere “poco in sintonia” con le proposte della Cgil per un contratto nazionale più leggero, perché il contratto è uno strumento contrattuale immediatamente spendibile dalle aziende ma, che nello stesso tempo, ha i requisiti di flessibilità che mettono le imprese in grado di poter adeguare le proprie norme. La derogabilità del contratto, a suo giudizio, è lo strumento principe sui cui intervenire. Il dato vero che tutto il sistema si è trovato a fare i conti con la vicenda Fiat, che rischia di creare un momento di gravi fratture. E’ necessario, ha detto, riprendere il dialogo tra sindacati e tra sindacati e imprese. Confindustria può fare la levatrice, mettere la buona volontà, ma il parto lo devono fare le organizzazioni sindacali. Poi occorre valorizzare le Rsu, che hanno funzionato finora e oggi scricchiolano perché c’è tensione. Dal punto di vista della strumentazione, i sindacati devono scegliere. L’alternativa è, ancor più della balcanizzazione, la disgregazione.
Pietro de Biasi direttore relazioni industriali dell’Ilva ha affermato che a suo giudizio non siamo di fronte a una balcanizzazione del sistema delle relazioni industriali, ma semplicemente a un sistema si stampo liberale. La norma di legge, ha sostenuto, non è utile. Se si guarda al settore dove più alta è stata la conflittualità per il rinnovo contrattuale, quello metalmeccanico, tutte le battaglie giudiziarie della Fiom contro l’ultimo rinnovo sono destinate a non lasciare traccia in quanto il vecchio accordo scade l’anno prossimo, motivo per il quale non sarà più valido. Questo dimostra che non serve a niente limitare il sindacato dissenziente con una legge che lo obblighi ad accettare il contratto entrato in vigore. Il contratto, infatti, sarà comunque applicato tra un anno, appena scaduto il vecchio contratto unitario. Una legge inoltre, sostiene, limiterebbe il diritto di sciopero e finirebbe per andare contro diritti costituzionali. Parlando poi dell’articolo 39 della costituzione, De Biasi, ha detto che applicarlo ora dopo 60 anni è un non senso. Le organizzazioni sindacali, sostiene, devono trovare un accordo tra di loro per regolare i loro rapporti.
“Non so se il modo sobrio, ha detto Achille Passoni, senatore del Pd, con cui Confindustria affronta il tema sulla rappresentanza sarà sufficiente, trovo le posizioni molto distanti”. La politica a suo giudizio non potrà aiutare questo processo perché non c’è alcuna condizione politica in questa legislatura, c’è solo lo spazio per ulteriori danni e l’intervento del governo sarebbe ulteriormente negativo. Secondo Passoni la discussione sul tema della rappresentanza e della rappresentatività ha un rapporto con la politica. Il tema della crisi della rappresentanza politica infatti, ha detto, non è distante dalle difficoltà che oggi riguardano la rappresentanza sociale, che è trasversale, riguarda il sindacato, ma anche le associazioni imprenditoriali. Di questa discussione non c’è traccia, il sindacato nega questa difficoltà e anche l’associazione degli imprenditori non ha la forza di aprire questa discussione alla luce del sole. Questi problemi creano difficoltà alla democrazia di questo paese perché mettono in crisi non solo i livelli della partecipazione, ma anche un pezzo dell’economia. E mettono in crisi la possibilità di competere.
Siamo messi male, ha sottolineato Passoni, stiamo andando verso il baratro, proviamo a fermarci. In alcuni settori si arriva al conflitto, in altri si regge una situazione storicamente data. Si arriva a rompere l’unità in settori numerosi, ma politicamente non fortissimi, come nel terziario. Nei metalmeccanici si fa l’accordo separato, ma si parla solo di Fiat. Ma i contratti scadranno tutti, ricorda Passoni, e allora che succederà? Si sposterà a quel momento la drammatizzazione? Bisogna stare attenti perché se si arriva al conflitto e lo si porta in azienda salta il banco da tutte e due le parti. Il sistema paese rischia di saltare per aria.
Su Rsa e Rsu penso, ha detto Passoni, che tutto si può fare tranne che tornare indietro. Quasi tutti sono a favore delle Rsu, ma se cambia il sistema contrattuale e si torna ai contratti aziendali, si torna alle Rsa. A quel punto le Rsu non reggeranno le Rsu. Invece ritengo che si deve votare in azienda come in politica, si devono eleggere i delegati. Il sistema di elezione dei delegati presuppone un sistema contrattuale di un certo tipo, altrimenti anche la derogabilità esasperata farà saltare il tema della rappresentanza.
Raffale Delvecchio di Assoelettrica ha ricordato che ultimamente perfino uno studioso che è sempre stato cantore del nostro sistema di relazioni industriali, Roberto Romagnoli, ha perso la pazienza. Riguardo all’articolo 39 della carta, ha ricordato, né Cisl né Cgil, hanno mai creduto nella possibilità di una regolamentazione indipendente e separata da quella statale. Nella carta costituzionale, ha detto, c’è scritto che lo stato riconosce le associazioni sociali, che quindi preesistono alla carta. Secondo Delvecchio la politica può essere solamente dannosa per le relazioni industriali in questo momento, ma il guaio sta nel fatto che negli ultimi dieci anni le forze sociali non sono state capaci di trovare un punto di equilibrio. Tocca quindi, ha concluso, rimboccarsi le maniche.
Angelo Stango, responsabile delle relazioni sindacali di Indesit, ha cominciato il suo intervento ricordando il valore che la concertazione ha sempre avuto nel gruppo. “Attraverso la concertazione, ha detto, abbiamo fatto importanti accordi unitari, anche se difficili come la chiusura di due stabilimenti, i cui rispettivi referendum sono passati con l’80% dei sì”. Ma Stango si è chiesto fino a quando sarà possibile continuare così, perché nel paese diventa sempre più complicato agire unitariamente. Da anni le relazioni sindacali sono in crisi, nessun giovane le vuole fare perché non le capisce. Siamo chiusi nel nostro mondo, ha detto, e non ci capisce più nessuno, non solo nelle aule universitarie, anche all’esterno. Questo perché culturalmente siamo ancorati a un’economia protetta, a una cultura di volumi dove l’imprenditore imponeva i suoi prodotti, a una cultura della ricerca delle garanzie, delle sicurezze. La sfida, a suo giudizio, sta proprio nel mettersi in gioco, nel riuscire a passare dalla ricerca delle sicurezze alle scelte condivise. Se non facciamo tutti insieme questo salto culturale, ha continuato, è inutile parlare di rappresentanza. Oggi sembra che risolto il problema della rappresentanza non ci saranno più problemi. Ma non è così. E’ necessario capire come mettersi in gioco, ha detto, perché finora il sistema ha tenuto, pur non applicando l’art. 39, grazie a una copertura, ossia che anche a fronte di accordi separati comunque c’era un cappello unitario che teneva e che oggi non c’è più. Ogni nazione si è data norme per attutire le tensioni sociali, in Italia invece si negozia continuamente per attutire le tensioni sociali. Secondo Stango, però, se attraverso la negoziazione non si arriva a una soluzione è arrivato il momento di cambiare completamente sistema, perché se ci si rivolge ai giudici, se non si è in grado di trovare una sintesi, allora dobbiamo trovare un’alternativa. Ma la soluzione per la rappresentanza non si può trovare con una legge, serve una sintesi all’interno. Nei vari interventi di questo dibattito si è cercato di trovare la soluzione al di fuori, ha commentato Stango, ma se sono in crisi le relazioni sindacali non si sa come superare questa crisi. Secondo me invece, ha concluso, bisogna attivare quello che già c’è, trovare soluzioni al nostro interno senza cercare soluzioni all’esterno.
Secondo Alfredo Pasquali di Confindustria Energia va innanzi tutto verificato se fare tutto assieme sia per forza un valore. Almeno in certi casi, ha sostenuto, è meglio separarsi. Per anni, quando il paese marciava da solo, noi passavamo del tempo a mettere insieme i sindacati. Ora che il Paese non marcia più, non ha più molto senso parlare di contratti nazionali o aziendali quando esistono addirittura quelli internazionali. Ci sono paesi più civili di noi, ha affermato, con sistemi diversissimi. Per esempio, in Gran Bretagna non esiste più il contratto nazionale, mentre in Germania spesso il rapporto non è con i sindacati, ma diretto con i lavoratori. Quindi, ha detto Pasquali, non è vero che la coesione sindacale o la contrattazione collettiva siano per forza gli unici modelli. Il nostro, ha proseguito, è un sistema che ha senso se ci si mette d’accordo sugli obiettivi. Meglio, ha concluso, un conflitto reale e palese che uno latente che porta all’immobilismo.