Si riapre il divario di crescita tra Nord e Sud Italia. Secondo le nuove stime della Svimez, contenute nel suo rapporto diffuso questa mattina, la crescita del PIL italiano è stimata a +0,7% nel 2023: +0,4% nel Mezzogiorno, +0,8% nel Centro-Nord. La riapertura del divario di crescita Nord-Sud è imputabile al calo dei consumi delle famiglie (-0,5%), che non dovrebbe osservarsi nel Centro-Nord (+0,4%). Dinamica sfavorevole causata da una contrazione del reddito disponibile delle famiglie meridionali (-2%), doppia rispetto al Centro-Nord come nel 2022.
La dinamica del PIL italiano nel biennio 2021-2022 si è invece mostrata uniforme su base territoriale. L`economia del Mezzogiorno è cresciuta del 10,7%, più che compensando la perdita del 2020 (-8,5%). Nel Centro-Nord, la crescita è stata leggermente superiore (+11%), ma ha fatto seguito a una maggiore flessione nel 2020 (-9,1%). Lo riferisce il Rapporto Svimez diffuso oggi. Ma la novità di una ripartenza allineata tra Sud e Nord sconta però l`eccezionalità del contesto post-Covid per il tenore straordinariamente espansivo delle politiche di bilancio e la diversa composizione settoriale della ripresa.
Nel 2024 si stima che il PIL aumenti dello 0,7% a livello nazionale, per effetto del +0,7 del Centro-Nord e del +0,6 del Mezzogiorno. Al Sud la crescita dei consumi delle famiglie dovrebbe tornare in positivo, sia pure mantenendosi al di sotto della media del Centro-Nord (+0,8 contro +1,3%), grazie al recupero del reddito disponibile reso possibile dal rientro dell`inflazione. Nel 2025, la crescita nazionale dovrebbe attestarsi sul +1,2%. La crescita del PIL meridionale è stimata 4 decimi di punto al di sotto del dato del Centro-Nord: +0,9% a fronte del +1,3 La crescita del PIL meridionale continua invece a beneficiare degli effetti espansivi degli investimenti, rispetto all`anno precedente, anche nella componente in macchine, attrezzature e mezzi di trasporto per effetto del PNRR.
Sulla dinamica territoriale del PIL 2024-2025 incidono gli effetti espansivi degli interventi finanziati dal PNRR, per la concentrazione nel biennio del massimo sforzo di realizzazione infrastrutturale. Secondo le stime, il PNRR eviterà la recessione al Sud in entrambi gli anni di previsione: -0,6% e -0,7% il PIL del Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 “senza PNRR”. Anche il Centro-Nord beneficia dello stimolo, grazie al quale l’area evita una sostanziale stagnazione nel biennio: -0,2% e crescita piatta nel Centro-Nord Mezzogiorno nel 2024 e nel 2025 nello scenario “senza PNRR”. Ma nel Mezzogiorno si registra una “debole progettualità” e una carenza di organici nella messa in opera dei progetti del PNRR, il cui contributo alla crescita è legato a una pronta ed efficace attuazione.
L`accelerazione dell`inflazione del 2022 ha eroso soprattutto il potere d`acquisto delle fasce più deboli della popolazione, in particolare nel Mezzogiorno dove sono maggiormente concentrate le famiglie a basso reddito. Nel 2022 l`inflazione ha eroso 2,9 punti del reddito disponibile delle famiglie meridionali, oltre il doppio del dato relativo al Centro-Nord (-1,2 punti).
Rispetto alle altre economie europee, in Italia la dinamica inflattiva si è ripercossa in maniera significativa sui salari reali italiani, che tra il II trimestre 2021 e il II trimestre 2023 hanno subìto una contrazione molto più pronunciata della media UE a 27 (-10,4% contro -5,9%), e ancora più intensa nel Mezzogiorno (-10,7%) per effetto della più sostenuta dinamica dei prezzi. Questa dinamica si colloca in una tendenza di medio periodo delle retribuzioni lorde reali per addetto, anch`essa particolarmente sfavorevole al Mezzogiorno: -12% le retribuzioni reali rispetto al 2008 (-3% nel Centro-Nord).
Quanto all’occupazione, la ripresa nel Mezzogiorno rispetto alla situazione pre-pandemia, sebbene si sia mostrata più accentuata nelle regioni meridionali – +188 mila nel Mezzogiorno (+3,1%), +219 mila nel Centro-Nord (+1,3%) – non è riuscita ad arginare il disagio sociale. Nella ripresa post-Covid dopo il “rimbalzo” occupazionale è tornata a inasprirsi la precarietà. Dalla seconda metà del 2021, è cresciuta l`occupazione più stabile, ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale resta su livelli patologici. Quasi quattro lavoratori su dieci (22,9%) nel Mezzogiorno hanno un`occupazione a termine, contro il 14% nel Centro-Nord. Il 23% dei lavoratori a temine al Sud lo è da almeno cinque anni (l`8,4% nel Centro-Nord). Tra il 2020 e il 2022 è calata la quota involontaria sul totale dei contratti part time in tutto il Paese, ma il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord resta ancora molto pronunciato: il 75,1% dei rapporti di lavoro part time al Sud sono involontari contro il 49,4% del resto del Paese.
Nonostante la crescita dell’occupazione, nel 2022 la povertà assoluta è aumentata in tutto il Paese. La povertà ha raggiunto livelli inediti. Nel 2022, sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: +250.000 in più rispetto al 2020 (-170.000 al Centro-Nord). La crescita della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale. Nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono addirittura superiori a quello osservato per il totale delle famiglie in condizioni di povertà assoluta.
In stretta connessione con le tendenze occupazionali ci sono le percentuali di popolazione laureata, che collocano l’Italia in fondo alla classifica dei paesi europei con il 29% dei giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito un titolo di istruzione terziario nel 2022, 16 punti percentuali al di sotto della media europea. Nel Mezzogiorno, questa percentuale si riduce al 22%.
La crescita complessiva dell’occupazione in Italia nel periodo post-Covid è stata del 1,8% tra il 2019 e il 2023, con un aumento degli occupati diplomati del 3,6% e dei laureati dell’8,3%. Nel Mezzogiorno, la crescita è stata del 15,4% per gli occupati laureati (+203mila occupati).
A livello nazionale, il tasso di occupazione dei giovani laureati (74,6%) è significativamente superiore rispetto ai diplomati (56,5%). Nel Mezzogiorno, il differenziale è di 26 punti percentuali (61,6% contro 35,6%), mentre nel Centro-Nord è di 13 punti (80,6% contro 66,8%).
Il premio per l’istruzione si riflette anche nelle retribuzioni, con un laureato al Sud che guadagna mediamente il 41% in più di un diplomato, mentre nel resto del Paese il vantaggio è del 37%.
La promozione di politiche che convergano la percentuale di laureati verso la media dell’UE appare opportuna, specialmente considerando le maggiori opportunità occupazionali, soprattutto nel Mezzogiorno, per i giovani laureati.
Quanto alle nuove politiche governative, secondo il rapporto Svimez la Zona economica speciale (ZES) unica del Mezzogiorno presenta indubbi vantaggi potenziali, che potrebbero però essere limitati in mancanza di un’integrazione stretta nelle politiche industriali e regionali. Con la ZES unica, l’obiettivo è estendere benefici fiscali e semplificazioni burocratiche a tutto il Mezzogiorno come forma di fiscalità compensativa. Tuttavia, il suo successo dipende dalla semplificazione amministrativa, dalla capacità di integrarla nelle politiche nazionali e regionali, e dall’identificazione di settori prioritari, spiega il rapporto.
Sul’autonomia differenziata la valutazione della Svimez è più netta, in quanto espone l`intero Paese ai rischi di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche chiamate a definire una strategia nazionale per la crescita, l`inclusione sociale e il rafforzamento del sistema delle imprese, spiega il rapporto. A questo quadro di frammentazione si aggiungono i rischi di un congelamento dei divari territoriali di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali redistributive tra individui e di riequilibrio territoriale.
e.m.