Nel 2023, lo stock di pensioni è rimasto sostanzialmente invariato rispetto al 2022. I pensionati erano circa 16,2 milioni, di cui il 52% donne e l`importo lordo della spesa pensionistica era poco sotto i 347 miliardi di euro, di cui 338 miliardi di euro per pensioni erogate dall`Inps. E’ quanto riporta l’Istituto nazionale di previdenza nell’annuale Rapporto presentato quest’oggi alla presenza del presidente della Repubblica Mattarella e il presidente della Camera Fontana .
Oltre la metà della spesa pensionistica totale – si legge ancora nel Rapporto – è stata per pensioni di anzianità e anticipate, seguite da pensioni di vecchiaia e pensioni al superstite. Le prestazioni assistenziali (agli invalidi civili e pensioni/ assegni sociali) hanno assorbito l`8% del totale.
Nel 2023 l`importo lordo mensile medio delle prestazioni pensionistiche è aumentato del 7,1% rispetto all’anno precedente, per effetto almeno in parte della perequazione. Gli importi sono stati rivalutati sulla base dell`indice Istat del costo della vita che ha registrato un aumento pari all`8,1%.
Per quanto riguarda il flusso di nuovi beneficiari di pensioni, le prestazioni liquidate dall`Inps lo scorso anno sono state pari a circa 1,5 milioni, un livello analogo a quello del 2022. In termini di composizione, le prestazioni assistenziali liquidate sono cresciute del 5,7% rispetto all`anno precedente, mentre quelle previdenziali sono diminuite del 4,7% per effetto di una forte riduzione delle pensioni anticipate (-15,5%), in parte legato al progressivo inasprimento dei requisiti delle quote che erano state introdotte temporaneamente a partire dall`anno 2019 con Quota 100.
Nel 2023 i nuovi percettori di pensioni frutto di contributi versati risiedono in stragrande maggioranza in Vale d’Aosta, Trentino Alto Adige e in altre regioni del Nord e le prestazioni sono più elevate di quelle erogate al Sud. Nel dettaglio, i nuovi pensionati si trovano in Valle d`Aosta e il Trentino-Alto Adige (oltre il 95%), seguite dalle altre regioni del Settentrione (esclusa la Liguria) e dalla Toscana. In termini di importi medi, i trattamenti più elevati sono corrisposti in Lombardia, Trentino-Alto Adige e Lazio (oltre 1.400 euro lordi al mese) seguite da Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria ed Emilia-Romagna (oltre 1.300 euro). Gli importi più bassi si registrano invece in Calabria (sotto ai 1.100 euro) e nelle regioni del Mezzogiorno. Per quanto riguarda le prestazioni assistenziali, principalmente invalidità civili, sono state oltre la metà delle liquidate in Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna.
Lo scenario demografico attuale, caratterizzato dall`aumento dell`età media della popolazione, dal calo della fecondità e dalla riduzione della popolazione in età lavorativa, non compensati dall`immigrazione, sta determinando un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti. Il processo di invecchiamento, comune agli Stati membri dell`Unione europea, influenza negativamente la sostenibilità economica di quasi tutti i sistemi previdenziali, soprattutto , spiega il Rapporto, laddove l`incidenza della spesa pensionistica rispetto al prodotto interno lordo è elevata. Nel 2021, l`ultimo anno in cui sono disponibili dati confrontabili, la spesa previdenziale italiana si è attestata al 16,3% del Pil, un livello inferiore solo a quello della Grecia, a fronte di una media europea del 12,9%. In Italia i lavoratori vanno in pensione mediamente a 64,2 anni.
La spesa pensionistica italiana è particolarmente elevata per due motivi principali. Innanzitutto, sottolinea il Rapporto, l`età effettiva di accesso alla pensione di vecchiaia è ancora relativamente bassa a causa dell`esistenza di numerosi canali di uscita anticipata dal mercato del lavoro, nonostante un`età legale a 67 anni, tra le più alte in Europa. Oltre a questo, le pensioni sono, in media, generose ed infatti il tasso di sostituzione della pensione rispetto all`ultima retribuzione percepita prima del pensionamento è tra i più elevati in UE, quasi 15 punti percentuali sopra la media europea.
“Se da una parte è necessario continuare a mantenere e a potenziare la capacità di liquidare indennità e pensioni, con la massima efficienza e garantendo la sostenibilità del sistema previdenziale, dall`altra è sempre più urgente strutturare l`amministrazione per erogare servizi che accompagnino i cittadini, soprattutto i più giovani, le donne e i soggetti più fragili, a conquistare una posizione stabile e di maggiore benessere”, ha detto il presidente dell’Inps, Gabriele Fava, presentando il XXIII rapporto annuale dell’istituto.
In particolare, ha sottolineato, l`attenzione “deve essere posta sul lavoro giovanile e femminile, entrambi caratterizzati da carriere segnate da importanti discontinuità. E’ cruciale implementare politiche mirate a ridurre il numero dei neet, fermare l`emigrazione dei giovani all`estero e incentivare il ritorno di coloro che hanno scelto questa strada negli ultimi anni. Allo stesso tempo, è necessario valorizzare le potenzialità derivanti da un maggiore coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro. Politiche pubbliche orientate in tal senso potrebbero contribuire ad aumentare sia il tasso di occupazione che la produttività del lavoro, con benefici anche per il sistema previdenziale”.
L`Inps, continua Fava, può essere definito come il “vero hub del welfare italiano”, un termine “che rappresenta al meglio il ruolo strategico come piattaforma di collegamento tra diversi attori che, a vario titolo, operano a servizio dei cittadini”. L’istituto funge da “snodo centrale” di un sistema articolato di prestazioni e servizi sociali, ha proseguito Fava, “capace di dialogare con imprese, lavoratori, pensionati e famiglie, garantendo loro accesso tempestivo e sicuro a tutele fondamentali come previdenza, assistenza sanitaria, sostegno nei periodi di disoccupazione, maternità e molto altro. Essere hub del welfare significa anche saper evolvere con le necessità della società e del mercato del lavoro, coordinando l`erogazione di prestazioni che vanno ben oltre le pensioni”.
Nel 2050 i cittadini con 65 anni e più potrebbero rappresentare fino al 35% della popolazione nazionale e “questo determina la necessità di ripensare l`attuale sistema di welfare”, ha aggiunto Fava. “L`aumento del peso di questa fascia di popolazione rispetto a quella in età lavorativa andrà di pari passo con la crescita dei consumi legati a questa categoria, alimentando la cosiddetta silver economy, e rendendo indispensabili politiche di invecchiamento attivo ed age management”.
A fronte di ciò, “per avere un sistema previdenziale solido occorre offrire ai giovani opportunità di lavoro regolare, riducendone i tempi di transizione sia dal sistema di istruzione e formazione al lavoro che da una occupazione all`altra, con adeguate misure di politiche attive del lavoro. Dobbiamo preventivamente potenziare la dote di competenze acquisite nella formazione iniziale per raggiungere l`obiettivo di aumentare la produttività del lavoro – ha proseguito – dobbiamo lavorare per ridurre il mismatch formativo, ricostruendo il circuito della fiducia nel futuro perché la pensione di domani si costruisce con il lavoro di oggi”.
In Italia ci sono 10,4 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni, quelli che lavorano sono circa 7 milioni; di questi l`80% presenta contributi stabili nell`ultimo quinquennio, coprendo mediamente circa l`80% dell`intero periodo. I restanti, da ritenersi precari o addirittura senza una copertura assicurativa, “possono essere sostenuti da ammortizzatori sociali tra i più inclusivi e generosi dei Paesi dell`Unione europea o da strumenti di inclusione sociale e lavorativa come il supporto alla formazione e il lavoro – ha aggiunto Fava – indipendentemente dalla loro condizione occupazionale, tutti i giovani fruiranno di un sistema pensionistico interamente contributivo, per cui informarli del suo funzionamento non solo è utile, ma realizza un diritto-dovere dello Stato”.
Inoltre, il lavoro autonomo “segna un trend generale di lenta riduzione”; il numero degli artigiani e commercianti iscritti all’Inps “continua a calare, così come quello dei lavoratori autonomi del settore agricolo”. In particolare, la quota dei giovani artigiani è scesa ulteriormente toccando, nel 2023, il 4%. Lo ha detto il presidente dell’istituto Gabriele Fava presentando il XXIII rapporto annuale.
“Questo fenomeno – ha sottolineato – indica che l`Italia sta perdendo competenze e professionalità in un settore che ha contribuito significativamente alla creazione del made in Italy.
Il sistema formativo dei giovani dovrebbe evidenziare le opportunità che il lavoro autonomo classico può offrire, soprattutto in termini di conservazione del patrimonio di conoscenze che caratterizza questo settore nel nostro Paese”.