L’Istat ha presentato questa mattina il rapporto annuale 2023 sulla situazione del Paese e il quadro restituito dall’indagine rivela uno stato di salute non proprio ottimale. Innanzitutto per quanto riguarda il rapporto giovani e lavoro: secondo quanto emerso, in Italia, nel 2022, il tasso di Neet, Not in employment, education or training, dei giovani tra i 15 e i 29 anni si attesta quasi al 20% (quasi 1,7 milioni di ragazzi e ragazze), di oltre 7 punti percentuali superiore a quello medio europeo e, nell’Unione europea, secondo solo alla Romania.
Il fenomeno interessa in misura maggiore le ragazze (20,5%) e, soprattutto, i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9%) e gli stranieri, che presentano un tasso (28,8%) superiore a quello degli italiani di quasi 11 punti percentuali; questa distanza raddoppia nel caso delle ragazze straniere (38%).
In Italia l’alta incidenza di Neet si associa a un tasso di disoccupazione giovanile elevato (il 18%, quasi 7 punti superiore a quello medio europeo), con una quota di giovani in cerca di lavoro da almeno 12 mesi tripla (8,8%) rispetto alla media europea (2,8%). Confrontati con la media europea, i giovani italiani tra i 15 e i 29 anni presentano una quota di partecipazione al lavoro (33,8%) più bassa di oltre 15 punti percentuali, e una scarsa diffusione degli studenti-lavoratori, che nel nostro Paese rappresentano il 6% dei giovani di questa classe di età, mentre nella media europea sono il 16,7%.
Altro capitolo dolente è il rapporto donne e lavoro. E se alla parola “donne” sostituiamo la parola “madri” il binomio diventa quasi impossibile. La crescita dell’occupazione femminile nel nostro Paese è stata quasi costante, interrotta soltanto dai periodi di crisi, in particolare nel 2020, quando i settori più colpiti sono stati quelli con una maggiore presenza di donne. Nel 2022, rispetto al 2004, il numero di donne occupate è aumentato di quasi un milione, a fronte di una riduzione di 154 mila uomini, e l’incidenza delle donne sugli occupati è salita dal 39,4 al 42,2%. Nonostante questi progressi, il divario con la media Ue27 (46,3%) rimane ampio. L`Italia resta, insieme a Malta e Grecia, uno dei paesi europei con la più bassa componente femminile nell’occupazione. Inoltre, se si considera il tasso di occupazione femminile, il divario con il complesso dei paesi dell’Unione europea nell’ultimo decennio è molto ampio: per la coorte 20-64 anni, nel 2022, in Italia la quota di occupate è il 55 per cento, a fronte del 69 per cento per l`Ue27. L’istruzione ha un ruolo particolarmente importante nel favorire l’occupazione femminile: il tasso di occupazione 25-64 anni delle laureate è più del doppio di quello delle donne con al massimo la licenza media (80,2% contro 36,3%).
La partecipazione delle donne è peraltro molto legata ai carichi familiari, alla disponibilità di servizi per l’infanzia e la cura, ai modelli culturali: nel 2022 il tasso di occupazione delle 25-49enni è l`80,7% per le donne che vivono da sole, il 74,9% per quelle che vivono in coppia senza figli, e il 58,3% per le madri. Anche in questo caso, il divario a sfavore delle madri rispetto alle donne senza obblighi familiari si riduce sensibilmente per le donne con un più elevato titolo di studio. Per le laureate, il tasso di occupazione è superiore al 70% indipendentemente dal ruolo svolto in famiglia (tranne quello di figlia), e in tutte le ripartizioni.
Si delinea dunque un quadro molto eterogeneo, con un tasso di occupazione per le donne di 25-49 anni che varia da un minimo di 21,4 per cento delle madri del Mezzogiorno con basso titolo di studio a un massimo di 92,7 per cento delle donne laureate che vivono da sole al Nord.
Segnali positivi nel prossimo biennio sono attesi dal lato del mercato del lavoro: l’occupazione mostrerà una crescita in linea con quella del Pil, con un aumento in termini di Ula pari rispettivamente a +1,2% nel 2023 e +1% nel 2024. Al miglioramento dell’occupazione si dovrebbe associare inoltre una riduzione del tasso di disoccupazione.
Quanto alle retribuzioni, in termini di Standard di Potere di Acquisto, tra i paesi della Ue27 la retribuzione media annua lorda per dipendente in Italia risultava nel 2021 pari a quasi 27 mila euro, inferiore di circa 3.700 euro a quella dell`Ue27 (-12 per cento) e di oltre 8 mila a quella della Germania (-23 per cento). Nel 2022, la dinamica delle retribuzioni contrattuali è rimasta moderata (+1,1%; era 0,6% l’anno precedente) nonostante l’intensa attività negoziale che ha visto 33 contratti rinnovati, relativi a circa 4,4 milioni di dipendenti. Nell’industria si è registrata una crescita del +1,5 per cento; nella Pubblica Amministrazione (PA) gli andamenti sono in linea con quelli medi, mentre per il settore dei servizi privati sono stati più deboli (+0,5 per cento) riflettendo l’ampia quota di dipendenti con il contratto scaduto. La maggior parte dei rinnovi siglati nel 2022 hanno fissato incrementi più in linea con l’evoluzione dell’inflazione, ma rappresentano meno del 10 per cento dei dipendenti complessivi e hanno, pertanto, un impatto limitato sulla dinamica totale.
Per quanto riguarda il capitolo economico, il rapporto dell’Istat mette in evidenza una previsione di crescita del Pil italiano, sia nel 2023 con +1,2%, sia nel 2024 con +1,1%, seppure in rallentamento rispetto al biennio precedente. L’aumento del Pil sarà sostenuto prevalentemente dal contributo della domanda interna (pari rispettivamente +1 e +0,9 punti percentuali nel 2023 e nel 2024) e in misura più contenuta da quello della domanda estera netta (+0,3 e +0,2 punti percentuali). I consumi delle famiglie residenti mostrerebbero una crescita dello 0,5% nel 2023 e dell’1,1% nel 2024. Gli investimenti invece segneranno un aumento del 3%, anche se a un tasso inferiore a quello registrato nei due anni precedenti, per poi decelerare l’anno successivo (+2 per cento).
Nonostante l’attenuarsi della fase più critica della crisi energetica nel primo trimestre 2023, l’andamento dell’inflazione condizionerà l’evoluzione dei consumi e dei salari reali nel prossimo futuro. Nei primi cinque mesi dell’anno si osserva un rallentamento nella crescita dei prezzi, che comunque in media è ancora superiore al 9%, mentre l’incremento medio delle retribuzioni contrattuali fino ad aprile è rimasto contenuto (2,2%). Nel 2022, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) è cresciuto in media dell`8,7%.
Nei primi mesi del 2023, il deciso rallentamento del prezzo delle materie prime e in particolare dei listini europei del gas ha determinato un rallentamento della crescita dei prezzi al consumo. A giugno 2023, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, ha registrato una variazione nulla su base mensile e un aumento del 6,4 per cento su base annua. La decelerazione del tasso di inflazione è determinata dal rallentamento su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (da +20,3% a +8,4%). Nello stesso mese, l`”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, è in rallentamento ma risulta ancora elevata (+5,6%).
Il tasso di inflazione del nostro Paese si è, tuttavia, mantenuto al di sopra di quello medio dell`area euro a partire dal quarto trimestre 2022. Il divario si è però ridotto: è sceso a 1,9 punti percentuali a maggio, a fronte di un differenziale di 3,1 a dicembre dello scorso anno.
e.m.