“Martedì 19 marzo, abbiamo chiesto al Vicepresidente del Consiglio e Ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, un incontro urgente sulla situazione dei dipendenti della Centro di Produzione s.p.a.”, la società editrice della “emittente nazionale di informazione” denominata Radio Radicale. Così è scritto in un comunicato emesso ieri dal Comitato di redazione della storica radio.
L’incontro, ricorda il comunicato, “è stato richiesto in vista della scadenza della Convenzione” che attualmente lega Radio Radicale al Ministero dello Sviluppo Economico. Tale scadenza, che, sempre secondo la nota del Cdr, “mette a serio rischio il proseguimento dell’attività della nostra emittente”, è infatti prevista per la data, ormai imminente, del 21 maggio.
Tuttavia, nonostante la vicinanza temporale di questa scadenza, gli estensori del comunicato si vedono costretti a fare questa amara constatazione: “Abbiamo atteso una settimana senza ricevere alcun tipo di risposta dal Ministro, né da un Sottosegretario, né da un dirigente o da un qualsiasi funzionario del Mise”.
“Oltre 100 persone tra giornalisti, tecnici, personale amministrativo e archivisti – prosegue la nota -, a cui si aggiungono collaboratori e dipendenti dell’indotto, rischiano concretamente la perdita del posto di lavoro a causa delle decisioni del Governo: evidentemente per il Ministro ‘del lavoro’ questi lavoratori non meritano nemmeno una risposta negativa.”
“Ne prendiamo atto – conclude il comunicato -. Al signor ministro Di Maio diciamo solo che non siamo disposti a stare in silenzio e che troveremo altri modi e altre forme per difendere il nostro lavoro e la vita di Radio Radicale.”
Ora è bene chiarire che in questa vicenda Luigi Di Maio è coinvolto almeno in due ruoli diversi, se non in tre.
In primo luogo, come titolare del dicastero dello Sviluppo Economico. Occorre infatti ricordare che, stando a quanto sancito dalla legge di Bilancio per l’anno 2019, Radio Radicale ha davanti a sé, ormai, meno di due mesi di vita. La legge prevede, infatti, che il valore della convenzione che lega la storica emittente allo stesso Ministero dello Sviluppo Economico venga praticamente dimezzata. Il che però, per i motivi che ci accingiamo a spiegare, avrà conseguenze letali per l’intera attività della radio.
Il punto è che fino al 2018 Radio Radicale ha ricevuto 8,2 milioni di euro all’anno quale corrispettivo per la trasmissione, principalmente in diretta, delle sedute del Parlamento, oltre a 4 milioni di euro come contributo all’editoria. Ma la succitata legge di Bilancio ha prorogato la convenzione solo per il primo semestre del 2019, stanziando a tale scopo 5 milioni di euro lordi (equivalenti a circa 4 milioni netti). Inoltre, la stessa legge ha previsto l’eliminazione del contributo per l’editoria a partire dal 1° gennaio 2020. “In assenza di ulteriori provvedimenti”, è scritto nel numero di gennaio di Notizie Radicali, la stessa Radio Radicale “non avrà più risorse per proseguire” la sua “attività”. E ciò si verificherà non alla fine di giugno, ovvero alla fine del primo semestre 2019, ma prima, e cioè il 20 maggio. Infatti, calcolando che il primo semestre 2019 è cominciato, per motivi tecnici, nel novembre 2018, è questo il giorno in cui cadrà la data della “scadenza semestrale”.
In secondo luogo, Di Maio sarebbe coinvolto nella vicenda come Ministro del Lavoro, visto che ci sono decine di posti di lavoro a rischio. Ma questo secondo Di Maio, fin qui, si è mantenuto silente. Come denunciato, appunto, dalla nota del Comitato di redazione sopra citata.
C’è però un terzo Di Maio che proprio ieri, ovvero lo stesso giorno in cui è stato pubblicato il comunicato del Cdr di Radio Radicale, ha fatto sapere quale sia il suo pensiero sulla vicenda. E questo terzo personaggio è quel Di Maio che è, contemporaneamente, Capo politico del MoVimento 5 Stelle e Vice Presidente del Consiglio dei Ministri.
Occorre qui ricordare, infatti, che non più tardi di lunedì scorso, e cioè il 25 maggio, il capo del Governo, Giuseppe Conte, e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il pentastellato Vito Crimi, hanno dato avvio, a Palazzo Chigi, ai cosiddetti Stati Generali dell’Editoria. Stati Generali che, attraverso un percorso in cinque tappe, dovrebbero approdare, nel settembre prossimo, alla stesura di concreti progetti legislativi volti a “riformare” l’intero settore dell’editoria giornalistica, ovvero l’industria dell’informazione, a partire dagli aspetti tecnologici e produttivi e per finire con i rapporti di lavoro.
Ebbene, interpellato a New York, durante la sua visita negli Stati Uniti, su cosa avrebbe potuto convincerlo a cambiare idea sull’ormai imminente taglio della convenzione con Radio Radicale, Di Maio, riferendosi evidentemente agli Stati Generali di cui sopra, ha risposto: “Stiamo avviando un piano per ridurre un po’ alla volta i finanziamenti alla carta stampata e a certi network”.
Nobilitando a “network”, se non comprendiamo male, l’incolpevole Radio Radicale. E tutto ciò – udite, udite – per “garantire un po’ di sana competizione” a vantaggio di chi quei contributi “non li ha mai presi”.
Qui un osservatore potrebbe far notare al Di Maio capo politico del Movimento 5 Stelle che il Di Maio titolare del Mise non deve averlo informato sul fatto che la convenzione che assegna a Radio Radicale il compito di trasmettere le sedute di Camera e Senato, svolgendo un vero e proprio servizio pubblico, non contempla la possibilità che la stessa radio si rivolga al mercato per sostentarsi con introiti pubblicitari. E che, quindi, questa repentina conversione mercatista del capo pentastellato ha poco a che vedere con i suoi compiti di responsabile del Ministero che ha fissato, tanti anni fa, la suddetta convenzione.
Ma tant’è. Per adesso, non resta che prendere atto del fatto che i giornalisti di Radio Radicale hanno dichiarato di “non essere disposti”, secondo un loro consolidato costume, a “stare in silenzio”. Forse, anche qualcuno dei vari Di Maio presenti in questa spiacevole vicenda farebbe bene a prenderli sul serio.
@Fernando_Liuzzi