È stato convertito in legge il provvedimento che ha introdotto il reddito di cittadinanza, le pensioni con Quota 100, nonché il blocco dell’aumento dell’aspettativa di vita per le pensioni anticipate e la proroga dell’Ape sociale e di opzione donna. Si tratta della legge 26/19 entrata in vigore il 30 marzo dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Come ormai sappiamo stiamo parlando del diritto alla pensione anticipata al raggiungimento di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni. La riforma previdenziale costruita dalla Fornero non è stata toccata, lasciando inalterato il sistema di calcolo e le pensioni di vecchiaia, ma sono state introdotte alcune agevolazioni temporanee.
Quota 100 ha di fatto aperto una nuova e più favorevole via per il collocamento a riposo anticipato, reso più difficile da raggiungere proprio dalla riforma del 2011.
Riteniamo il pensionamento flessibile necessario e che alcune rigidità dovevano essere riviste. Ne sono la riprova le otto salvaguardie fatte fino ad oggi. Crediamo che una flessibilità in uscita, oltre ai vari istituti come Rita, Ape e Opzione donna, possano dare risposte concrete a chi non può più aspettare, comunque ci sono evidenti aspetti contraddittori e limiti da rilevare.
Sono di questi giorni le critiche dell’Ocse, che esprime preoccupazione per la debolezza dell’economia italiana, imputando proprio a Quota 100 una parte delle responsabilità per il rallentamento della crescita.
Partiamo dall’approccio sperimentale. La misura si muove su un arco di tre anni per cui non vengono previste coperture per gli anni successivi. È facile immaginare che dopo Quota 100 si tornerà alle regole previgenti, con il rischio di creare nette iniquità di trattamento anche fra lavoratori nati a pochi mesi di distanza. Inoltre questa temporaneità del provvedimento sta causando un aumento della propensione al pensionamento, inducendo anche chi avrebbe continuato a lavorare a uscire il prima possibile. I tantissimi impiegati pubblici che hanno fatto domanda di pensionamento verranno solo in parte sostituiti e, mancando le risorse per il turnover nella PA, si perderà efficienza negli ospedali e nella pubblica amministrazione. Le notizie sui giornali di questi giorni, con l’informazione dei medici pensionati richiamati in corsia in alcuni ospedali, mostrano la dimensione del problema che saremo chiamati a gestire.
Intervenire in maniera così rilevante sul sistema previdenziale e sul mercato del lavoro rischia di generare situazioni ibride e provvisorie che, nel medio-lungo periodo, potrebbero accentuare l’iniquità del welfare italiano e minarne la sostenibilità.
Assolutamente penalizzante e quindi da criticare è poi la reintroduzione del divieto di cumulo tra redditi da pensione e lavoro, nel periodo che va dalla decorrenza della pensione anticipata (Quota 100) fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia (67 anni). In un Paese in cui il tasso di occupazione è al 58%, contro la media Europea al 72,2%, non si può volontariamente fare a meno di coloro che, pensionati, nel pieno della loro maturità professionale, vorrebbero poter avviare attività imprenditoriali o consulenziali capaci di creare occupazione e reddito. L’Italia ha bisogno di evitare il lavoro nero. Ha bisogno di sostegni e non ostacoli all’invecchiamento attivo. Nel nostro Paese, su 16 milioni di pensionati, oltre 1 milione lavorano e, con il cumulo dei redditi da pensione e lavoro, si pagano da soli la pensione senza quasi gravare sulle finanze pubbliche. Quindi, da una parte si dà la possibilità di anticipare il pensionamento e dall’altra si toglie il diritto al lavoro, offrendo una pensione comunque tagliata con la consapevolezza di averla bloccata per tutta la vita, per la parziale indicizzazione all’inflazione.
Quota 100 non determinerà un positivo automatismo/effetto indotto sull’occupazione in Italia, perché utilizzata da chi un lavoro non lo ha più o da chi è in crisi con l’azienda, ma inciderà sulla tenuta del sistema pensionistico. Ad ogni pensionamento non corrisponderà l’assunzione di un giovane e chi dovesse entrare nel mondo del lavoro grazie ai posti liberati non avrà certo la capacità contributiva di chi ha lasciato. Questa tesi sembrerebbe confermata dai sondaggi di opinione raccolti già ad inizio di quest’anno, su un campione di oltre 500 manager, in una Indagine commissionata da Manageritalia ad AstraRicerche. Circa il 63% dei manager intervistati ritiene che queste uscite saranno utilizzate dalle aziende non per favorire nuove occupazioni ma per mettere in atto ristrutturazioni organizzative e ridurre i costi. Solo il 39,8% pensa che con l’introduzione di Quota 100 saranno davvero favorite le uscite dei senior.
Per quanto riguarda i giovani, i manager ritengono che l’unica certezza consista nel fatto che i costi di Quota 100 verranno caricati sulle spalle delle future generazioni. Servirebbero misure per incentivare l’occupazione per tutte le fasce d’età, poiché più persone lavorano, più si crea ricchezza, più opportunità ci sono per tutti.
La platea che potrebbe accedere alla misura è di un milione di persone secondo le stime del Governo. Un obiettivo che auspichiamo non venga raggiunto perché metterebbe in ulteriore crisi tutto il sistema previdenziale peggiorando il rapporto tra attivi e pensionati. Secondo vari studi, l’alto costo della riforma previdenziale, stimato dal legislatore in 22 miliardi circa in tre anni, potrebbe salire di molto, se si considera tutto l’arco temporale in cui il provvedimento produce i suoi effetti. Si rende così vano ogni sforzo finora fatto con l’introduzione delle disposizioni del 2004 (l’età di pensionamento era stata legata alle attese di vita) e del 2011 (riforma Fornero) per contenere la spesa previdenziale e la minaccia che questa rappresenta per il debito italiano (vedi Grafico).
Per concludere
Non solo l’Ocse, anche Manageritalia era tra quanti avevano già mostrato preoccupazione sulla sostenibilità dell’ennesima riforma previdenziale sostenuta da pochi, ovvero da quel 12% della popolazione italiana che denuncia redditi da lavoro o da pensione sopra 35.000 euro e che paga il 57% dell’Irpef, e che impegna, aumentando il debito complessivo, le future generazioni che avranno sempre meno opportunità per liberarsene.
Quota 100 rappresenta quindi una misura costosa, che avvantaggia solo un numero relativamente limitato di italiani. Per questo avremmo investito le ingenti risorse impegnate per ridurre le tasse nel lavoro e privilegiare il sostegno all’occupazione, anche per garantire il futuro delle prestazioni sociali e intrapreso al più presto politiche di sviluppo e sociali concrete, efficaci, per aiutare la natalità, eque, capaci di generare ricchezza aumentando redditi e numero dei sostenitori del welfare.
Ma almeno, per chi può goderne in questi tre anni, Quota 100 rappresenterà una possibilità in più per anticipare la pensione. Anche se rimane una opportunità da cogliere con prudenza. L’anticipo potrebbe comportare una riduzione dell’assegno pensionistico anche fino a oltre il 30%, ma è la somma della pensione incassate negli anni che definisce il vantaggio per il lavoratore. Si tratta dunque di una scelta finanziaria che varia da caso a caso ed è per questo opportuno farsi consigliare da un consulente previdenziale.