Il diario del lavoro ha intervistato la funzionaria nazionale Uiltec Daniela Piras sulla conclusione della vertenza di Portovesme: un’epopea durata cinque anni e scandita anche da una drammatica occupazione a 75 metri di altezza, di cui Piras, allora segretario Uilm-Uil del Sulcis-Iglesiente, è stata protagonista diretta.
Piras, con la firma della cessione alla Sider Alloys, avvenuta venerdi al Mise, alla presenza del ministro Calenda, si è sbloccata la lunghissima vicenda Alcoa. Quanto e’ stata dura per voi?
È stata una vertenza molto dura, estenuante, visto che sono ormai 5 anni che lo stabilimento è definitivamente chiuso, con le celle spente il 2 novembre del 2012. Tanti non ci hanno mai creduto. Tantissimi. Ma noi, come sindacato e attori di questa vertenza, abbiamo sempre creduto con determinazione di portare a casa un risultato. E abbiamo difeso quel tipo di produzione.
Per difenderla, due anni fa, avete deciso addirittura di occupare una torre dello stabilimento. Perchè?
Quando parliamo dell’occupazione del sito dell’Alcoa, partiamo dal 22 marzo del 2016. In quei giorni si sarebbe dovuta definire una trattativa con una grossa multinazionale per la cessione dello stabilimento. In quel periodo il ministro dello sviluppo economico era Federica Guidi. Noi avevamo avuto notizia certa che in un cassetto del ministero ci fosse la volontà esplicita del ministro Guidi di interrompere la trattativa per la cessione dello stabilimento, in quanto non aveva garanzie da parte di questa multinazionale. Diciamo che il ministro Guidi non ha mai creduto veramente in questa vertenza.
E a quel punto?
A quel punto, per evitare che la Guidi mettesse fine alla trattativa, abbiamo deciso di entrare nello stabilimento, o meglio, sulla torre della pece, e rimanerci sopra fino a che non ci fosse stata una soluzione diversa. Insomma, abbiamo agito prima che fosse ufficiale la volontà del ministero. Eravamo in tre: io, come segretario territoriale Uilm e i miei colleghi della Fiom e della Fim.
Quando siete entrati?
Era la notte tra il 21 e 22 marzo, il giorno prima di Pasqua. Ci hanno quasi denunciati per violazione di proprietà privata.
Non c’era la sorveglianza?
Sì, ma non ci ha visto perché noi conoscevamo molto bene lo stabilimento, avevamo fatto delle perlustrazioni giorni prima. Siamo entrati in un punto che non era ripreso dalle telecamere. Non ha idea di come siamo arrivati. Poi, davanti a noi, la torre.
C’era una scala interna o esterna per salire?
La scala era esterna, che ce ne fosse anche una interna lo abbiamo scoperto solo dopo. Non immagina che vento c’era. Poi, siccome soffro di vertigini, quando ho dovuto fare la scala esterna di notte, perché erano circa le tre, mi dicevo: ce la faccio, ce la faccio, ce la faccio. . . Stavo morendo…
Ma quanti metri sono?
75 metri
In pratica lei ha salito 75 metri di Torre, di notte, con le scalette esterne, soffrendo di vertigini?
Sì.
Una volta saliti, cosa è successo?
Abbiamo fatto una dichiarazione attraverso la quale chiedevamo che la politica si assumesse le sue responsabilità. Devo dire che la regione Sardegna in questo senso è stata molto determinata dalla nostra parte. Ha sentito la responsabilità di questi tre lavoratori, perché altro non eravamo, tre sindacalisti. Abbiamo richiamato la partecipazione di tutto il territorio, sia dei lavoratori dell’Alcoa sia di tutti gli stabilimenti attorno che comunque hanno avuto una sorte simile alla nostra. Quindi in quel momento la Provincia e tutte le parti sindacali a tutti livelli hanno sentito forte questo richiamo e si sono attivati immediatamente per far sì che ci fosse un esito differente o tentativi ulteriori piuttosto che la chiusura delle trattative. E così è stato.
Come è stata la permanenza sopra la torre?
Sono stati cinque giorni da incubo. Mi ricordo che grandinava, c’era un freddo incredibile, come tutte le settimane Sante, e li abbiamo avuto momenti di sconforto molto forti. Mi ricordo le notti lunghe, i pianti. Avevamo la responsabilità di questi lavoratori che ci chiedevano di resistere, vedendo che c’era comunque qualcosa che si muoveva attorno. Per 5 giorni non ci siamo lavati. Per 5 giorni anche i pasti erano determinati dalla benevolenza delle persone che ci stavano intorno. Ci portavano i viveri attraverso delle corde. E le posso dire che da donna non è stato facile.
Perché?
Perché in quella Torre, che era alta e stretta, io dovevo comunque fare i conti con i bisogni fisiologici e c’erano due uomini con me. Quindi ho avuto spesso lo sconforto e la voglia di dire: ma adesso cosa si fa? Perché quando le incominci queste cose, non è che puoi decidere di interrompere senza una soluzione. Però siamo andati lì consapevoli che sarebbe andata in questo modo.
E qualcosa si stava muovendo?
La mattina dopo arrivò una dichiarazione direttamente da Palazzo Chigi. Il presidente del consiglio Matteo Renzi affermava che la trattativa proseguiva, che si stavano perseguendo altri scenari e che ci sarebbero stati dei nuovi incontri, con l’impegno anche del presidente della Regione Francesco Pigliaru. Avevamo un’intesa siglata da Palazzo Chigi, dai politici regionali nazionali e ovviamente dietro l’attenzione del segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo e della Cgil, Cisl e dei nostri segretari di categoria. C’erano dei tavoli regionali per definire le questioni degli ammortizzatori sociali, perché anche quello stava arrivando. Si poteva intraprendere una trattativa modificando alcune condizioni che era possibile discutere.
A quel punto siete scesi?
Dopo la notizia abbiamo convocato un’assemblea e abbiamo detto ai lavoratori di decidere insieme che cosa avremmo dovuto fare. Perché non puoi scendere così, non sai che cosa potrebbe succedere. I lavoratori hanno aperto una discussione: alcuni ci dicevano di scendere, altri no, altri che non avremmo retto là sopra. Alla fine scendemmo. E il caso ci diede una mano.
In che senso?
Il caso ha voluto che il ministro Guidi venisse sollevato dall’incarico e che subentrasse l’attuale ministro Carlo Calenda: il quale, con una determinazione simile alla nostra, ha modificato lo scenario, perché questo glielo dobbiamo riconoscere. Grazie anche all’indicazione del presidente Pigliaru e di tutti noi che ci siamo messi nuovamente intorno a un tavolo, Calenda ha definito un percorso, fino ad arrivare ad una ulteriore intesa che poi si è conclusa oggi. Ovviamente dietro ci sono molte altre cose…
Cioè?
Hanno ridefinito le condizioni energetiche ed economiche, mettendoci nella condizione di essere alla pari se non più competitivi degli altri paesi europei e finalmente hanno siglato una intesa con un gruppo, la SiderAlloys, che adesso ha rilevato lo stabilimento. La lotta sindacale paga.
Ma non è ancora finita…
Oggi stiamo vivendo una realtà diversa, consapevoli del fatto che ci sarà da discutere adesso sul piano industriale, sulla ricollocazione dei lavoratori, sui modi e sui numeri e sulla soluzione per coloro che non potranno rientrare. Però stiamo parlando d’altro. Adesso stiamo di nuovo facendo attività Sindacale. Intanto c’è stata una presa di posizione forte che ha fatto modificare a un paese la volontà di dover e poter produrre alluminio primario per sè stesso.
Qual era la sua sensazione dopo che è scesa dalla torre? Quanto hanno pesato quei cinque giorni?
Beh siamo scesi tutti e tre, a parte che puzzavamo e avevo il pianto facile, dico la verità. E poi eravamo vestiti in un modo…. io avevo roba militare. Ero terrorizzata dal prendermi freddo perché non sono, come dire, proprio di corporatura robusta. Ma è stata una esperienza appagante, come sindacalista soprattutto.
Perché?
Ho rivissuto quella passione sindacale che mi hanno sempre e solo raccontato nel nostro territorio, che comunque ha una vocazione sindacale forte. A Buggerru nascono i moti del ‘904. A Buggerru, per i morti del 4 settembre del 904, è stato proclamato il primo sciopero nazionale italiano. Quindi in quei giorni abbiamo rivissuto tutto e messo in conto che i sacrifici dei 5 anni precedenti sarebbero stati tutti vani se noi non avessimo fatto qualcosa, e di eclatante. Forse non ci sarebbe stata la possibilità di portare a casa un risultato diverso. E quella non era la prima iniziativa forte.
Ad esempio?
Noi abbiamo bloccato l’attracco di una nave al porto di Cagliari. Ci siamo buttati in acqua. Abbiamo campeggiato una notte a Villa Borghese a Roma e ci è costato una causa ai servizi sociali quando abbiamo invaso l’aeroporto di Cagliari. Io ho fatto sei mesi di servizi sociali per una di queste iniziative. Cioè io mi sono fatta 6 mesi e Silvio Berlusconi, che ha sottratto 4 milioni di euro al fisco si è fatto tre mesi e si è tenuto i soldi; così giusto per dire.
Non sempre questo genere di iniziative vanno bene, anzi…
Però tutte queste cose ti svegliano dentro qualcosa, che si muove, che è ancora più grande della passione, è ancora più forte, più violento. Vedere oggi che comunque si arriva ad un risultato al quale veramente in pochi hanno creduto ti fa pensare che forse non è veramente tutto sbagliato e che forse Willy il coyote lo raggiunge Bip Bip.
Se potesse tornare indietro nel tempo rifarebbe tutto questo?
Lo farei prima.
Perché?
Perché si fanno così queste cose.
Emanuele Ghiani
GALLERIA FOTOGRAFICA
Alcora sopra la torre