Cgil e Cisl sono ormai lontane, divise da programmi e pulsioni differenti, avviate su strade diverse che portano a mete lontane tra loro. Formalmente non è avvenuta alcuna rottura. Ma le parole pronunciate dalle due parti negli ultimi giorni sono chiare e non lasciano molto spazio all’ottimismo. La premier Giorgia Meloni, intervenendo alla kermesse di martedì della Cisl sulla partecipazione, è stata molto dura con la Cgil affermando che porta avanti una “visione conflittuale tossica”. Ma anche Luigi Sbarra, lo stesso giorno, mentre lasciava la propria confederazione, non è stato meno drastico. Ha parlato di “zavorra ideologica”, ma soprattutto ha detto senza mezze parole che ormai in Italia si contrappongono “due diverse concezioni di sindacato”, una che ha sposato l’antagonismo, l’altra che coltiva il riformismo. “Siamo di fronte a un bivio, ha detto scandendo le parole, e noi dobbiamo procedere spediti”.
Questa è la sostanza, la forma peraltro è ancora sospesa. Maurizio Landini afferma che la sua confederazione è assolutamente disponibile a un confronto che non ha mai interrotto. E lo stesso afferma Daniela Fumarola, che ha preso il posto di comando in Cisl. Nell’intervista che subito dopo la sua elezione ha rilasciato a Il diario del lavoro è stata molto chiara, rilanciando il proposito di un patto a tre per lo sviluppo. “E’ un nostro progetto, ha detto, in questa prospettiva ci dobbiamo impegnare”. I problemi vengono nel momento in cui si focalizzano i contenuti di questo progetto. Fumarola dice che per realizzare l’obiettivo è necessario unire le forze “responsabili e riformiste”, aggiunge che non esistono pregiudiziali, ma ribadisce che nel modello della Cisl è centrale, oltre alla contrattazione, anche la concertazione: pratica che non sembra appartenere alla visione della Cgil.
“Noi, aggiunge la neo segretaria della Cisl, faremo delle proposte, vedremo chi ci starà”. E non a caso rilancia il Patto di San Valentino, la storica rottura tra Cgil e Cisl sulla scala mobile, per lei una “stagione importante”. E aggiunge: “Ci piacerebbe ritrovarci sui contenuti e sul metodo, diversamente andremo avanti per la nostra strada”. Del resto, Landini non ha posto un aut aut, ma ha ribadito l’assoluta lontananza dal governo e ha fortemente criticato la legge sulla partecipazione voluta dalla Cisl. “Quella legge, ha detto il segretario generale della Cgil, non prevede il diritto dei lavoratori a partecipare ed è così perché l’ha voluta Confindustria”.
Forse non c’è stata, o non c’è stata ancora, una rottura formale, ma esistono e sono espliciti tutti i presupposti perché questo accada. Insomma, sono giorni tristi per il mondo del lavoro. Tristi perché la fine di quel poco di unità sindacale di azione che ancora reggeva non porterà bene al lavoro. Di rotture tra i sindacati in questi decenni ce ne sono state tante, ma le più forti sono state due, quella del 1948 quando la parte cattolica e quella laica uscirono dalla Cgil unitaria dando poi luogo a Cisl e Uil, e quella del 1984, appunto con la rottura sui temi della scala mobile. In tutti e due i casi il sindacato ne uscì con le ossa rotte, debole e diviso pagò pesantemente la disunione.
Nulla fa credere che lo stesso non debba accadere di nuovo. Sono caduti, forse, i tempi della disintermediazione, ma le forze del lavoro non sembrano in grado di reggere un confronto duro. Unite hanno una capacità di opposizione che può mettere in difficoltà la politica, e possono presentarsi forti agli appuntamenti con gli imprenditori, divise sono destinate a contare sempre meno. Non è difficile immaginare cosa potrà accadere nei prossimi mesi. Nessuno deve mettere in dubbio il forte senso di autonomia che ha sempre caratterizzato la Cisl, credere che si sia piegata alla forza della politica sarebbe ingiusto, ma certo da sola è debole e confrontarsi da pari con il governo sarà sempre più difficile.
Tutto dipenderà dalla capacità di questa rottura di trasferirsi dalle segreterie generali delle confederazioni alle categorie, alle strutture territoriali e poi ai lavoratori. In altre occasioni è accaduto e non è stato facile per nessuno. Al momento il rapporto unitario, specie nelle categorie industriali, è ancora forte, ma non è detto che la situazione non possa cambiare. C’è solo da sperare nel meglio. O nel meno peggio.
Massimo Mascini