Mancano poche ore per conoscere il parere della Corte Costituzionale sui referendum Cgil. Domani, prima di sera, si saprà se e quali dei tre quesiti proposti dalla confederazione sono ammissibili. I quesiti, come è noto, riguardano la cancellazione dei voucher, il ripristino dell’articolo 18 nelle aziende sopra i 5 dipendenti e la reintroduzione della piena responsabilità solidale in tema di appalti. Il dubbio di costituzionalità riguarda il solo quesito sull’articolo 18, sul quale, in queste ultime settimane, si e’ acceso il dibattito, sia tra gli esperti che tra i politici. Il punto e’ che nell’elaborarne il testo sembra sia stata commessa una forzatura: quella che, grazie a un lavoro di taglia e cuci su diverse leggi, modifica da 15 a 5 il numero di dipendenti sotto il quale non si applicherebbe il redivivo articolo 18 della Legge 300, che, per l’appunto, prevedeva la soglia dei 15. La soglia dei 5, invece, e’ prevista solo per le aziende agricole; ma il testo del quesito, cancellando la specifica ‘’agricole’’, di fatto lo estenderebbe a tutte. E’ questo il ‘’bug’’ che potrebbe indurre la Consulta a invalidare il quesito: più che cancellare o modificare una legge, infatti, si finirebbe per introdurne una del tutto nuova, trasformando il referendum da abrogativo in propositivo. Cosa, come e’ noto, non concessa dalla Costituzione vigente, a differenza di quella riformata, bocciata il 4 dicembre, che avrebbe introdotto, per l’appunto, anche il referendum propositivo.
Sul tema – ammissibilità o meno- si intrecciano da giorni le prese di posizione tra ‘’stoppisti’’ e ‘’vialiberisti’’.Sul fronte della non ammissibilita’ si e’ espressa nei giorni scorsi anche l’Avvocatura dello Stato. Ma in attesa di conoscere, domani, la posizione della Corte costituzionale (l”unica che conti) la domanda da porsi oggi e’ un’altra: la Cgil voleva davvero farli questi referendum? E la risposta e’ ‘’’no’’, come dicono chiaramente sia una nota della stessa confederazione, sia una dichiarazione di Susanna Camusso, entrambe risalenti alla scorsa primavera. La nota afferma: “La scelta referendaria, a carattere eccezionale e straordinario, è unicamente finalizzata al sostegno della Proposta di Legge di iniziativa popolare che la Cgil avanza con la ‘Carta’, che è e rimane il cuore e la finalità dell’iniziativa decisa dalla Cgil”. Concetto ribadito da Camusso: “la nostra speranza è che il parlamento faccia una legge, per noi il referendum è solo un pungolo al parlamento, non l’obbiettivo finale. Quindi speriamo che con tante firme si arrivi a legiferare e quindi a far cadere i quesiti referendari”.
Questo spiegherebbe anche per quale motivo il quesito sull’art 18 risulta un po’ zoppicante: possibile mai, infatti, che la Cgil, che dispone di un battaglione di consulenti tra i più esperti in materia di diritto del lavoro e costituzionale, abbia commesso un errore banale, ma tale da invalidare tutto lo sforzo compiuto nella raccolta di oltre 3 milioni di firme? Quindi, o la confederazione ha già trovato conforto della sua posizione in massimi esponenti del diritto costituzionale, e dunque domani la Consulta non potrà che dare via libera al quesito, come sembrano convinti i dirigenti di Corso Italia, oppure si tratta quanto meno di un lapsus freudiano. In altre parole: la svista nel quesito non e’ stata considerata importante al momento della presentazione, perche’ quel che contava, all’epoca, non era andare al voto, ma fare pressing sul parlamento per ottenere la legge di iniziativa popolare sul lavoro nel suo complesso.
Per capire meglio, occorre fare un passo indietro di qualche mese. Il via libera al referendum e’ arrivato dal Direttivo della confederazione il 22 marzo, l’apertura ufficiale dei ‘’banchetti’’ per la raccolta firme e’ datata 7 aprile, dopo un percorso lungo due mesi, iniziato con la consultazione dei lavoratori: 40.000 assemblee nei luoghi di lavoro, concluse con un plebiscito: quasi all’unanimità, i 1.466.697 lavoratori che si sono espressi hanno dato parere favorevole, rispettivamente il 98,49% alla proposta di legge di iniziativa popolare per una nuova Carta dei diritti universali del lavoro, e poco meno, il 93,59%, ai referendum. Dopo il voto (unanime) del Direttivo, era poi partita la raccolta delle firme, seguendo i tempi istituzionali: 6 mesi per l’iniziativa di legge e 3 mesi per il referendum, con l’allestimento di migliaia di banchetti e gazebo in tutta Italia. Ma anche con l’avvertimento esplicito di cui abbiamo gia’ parlato, e cioè che i referendum avrebbero avuto la sola funzione di supportare quello che invece più interessava la Cgil, vale a dire la proposta di legge sui lavoro che va sotto il titolo di Carta dei diritti: testo sul quale sono state raccolte un milione di firme e che e’ stato consegnato in estate al Parlamento, ma di cui, oggi, si parla ormai molto poco, anzi per niente, essendo tutta l’attenzione concentrata sui tre referendum.
Del resto, dalla primavera scorsa molte cose sono cambiate nel quadro politico nazionale. Dopo il 4 dicembre il governo Renzi e’ caduto proprio su un referendum, sul quale la Cgil si e’ espressa con determinazione per il No. E potrebbe esserci adesso la voglia di stravincere, portando a casa anche una vittoria-simbolo contro il Jobs act, la legge per eccellenza dell’era renziana. Non a caso, la Cgil ha recentemente irrigidito la propria posizione sul quesito relativo ai voucher (che, così come quello sugli appalti, non presenta apparenti ostacoli al via libera della Consulta): dacche’ si lasciava immaginare che per bypassare il voto sarebbe stata sufficiente una modifica in senso molto restrittivo nell’utilizzo dello strumento, si e’ passati a esigerne la totale eliminazione. Tanto che la stessa Camusso, nei giorni scorsi, ha paragonato i voucher ai ‘’pizzini’’ dei mafiosi.
Dunque, diversamente da aprile, oggi al voto referendario la Cgil ci vuole andare eccome, e con discrete speranze di ottenere il quorum e vincere. Resta però un problema: le possibilità di mobilitare l’elettorato sono legate in buona parte all’appeal del quesito sull’articolo 18 (appalti e voucher sembrano meno coinvolgenti), che rappresenta la vera bandiera di questi referendum. Ma che, nello stesso tempo, a causa della ‘’svista’’ originaria, e’ proprio quello che appare più debole rispetto all’esame della Corte. Se domani dovesse cadere, la campagna referendaria sarebbe tutta in salita.
Intanto, oggi sull’argomento si e’ fatta sentire, per la prima volta, la voce di Matteo Renzi. In risposta ai quotidiani che da qualche giorno sostengono che l’ex premier ‘’tiferebbe’’ per l’ammissibilità dei referendum, compreso sull’art 18, in quanto questo costringerebbe alle elezioni anticipate proprio per disinnescare la consultazione popolare, una nota dell’ufficio stampa del Pd fa sapere che non e’ cosi’: “Chi ha seguito la politica italiana degli ultimi tre anni –spiega la nota- dovrebbe conoscere le posizioni di Renzi in materia di lavoro. E in ogni caso, il Pd rispetterà come sempre ogni decisione dei giudici della Corte Costituzionale”.
Nunzia Penelope