Una lavoratrice si è rivolta al giudice del lavoro di Asti sostenendo la nullità e l’illegittimità del suo licenziamento per superamento del periodo di comporto ed ha chiesto la condanna della sua datrice di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno nella misura non inferiore a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita
A sostegno delle sue domande, la lavoratrice ha dedotto di essersi effettivamente assentata dal lavoro, nell’anno solare, a causa di plurimi periodi di malattia, per un periodo complessivo di 183 giorni, come sostenuto dall’azienda, a fronte del contratto collettivo del settore che prevede la conservazione del posto di lavoro fino a 180 giorni di assenza per malattia. La lavoratrice, però, ha contestato la decisione aziendale perché dal calcolo dei 183 giorni utili occorreva detrarre i 10 giorni da lei trascorsi in “quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria”, ai sensi dell’articolo 26 comma 1 del decreto-legge n. 18/2020. I giorni utili da conteggiare non erano maturati, alla data dell’intimato licenziamento, essendo 173 e non 183. La soglia dei 180 giorni utili di malattia non risultava essere stata così superata. La datrice di lavoro ha resistito contro la domanda proposta dalla lavoratrice chiedendo al Tribunale il rigetto del ricorso con la conferma del licenziamento.
Il Tribunale di Asti ha ritenuto fondata la tesi della lavoratrice secondo cui le giornate dal 25 novembre 2000 al 4/12/2020 non dovevano essere validamente considerate nel conteggio dei giorni di assenza per malattia utili per il raggiungimento della soglia del periodo di comporto perché in questo arco temporale l’assenza dal lavoro era da imputare in modo diretto all’emergenza sanitaria del Covid-19, che ha costretto la lavoratrice ad assentarsi dal lavoro e a rimanere in isolamento coatto senza potersi presentare al lavoro.
Il Tribunale ha accolto la tesi giuridica sulla non rilevanza dei periodi di assenza dal lavoro per quarantena sanitaria sul superamento del periodo di comporto con la motivazione che riportiamo di seguito: “
“L’art. 26, comma 1, d.l. 18/2020 nella versione ratione temporis vigente (dal 14/10/2020 al 31/12/2020) prevedeva che: “1.Il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all’articolo 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, e di cui all’articolo 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto”, e il successivo comma 3 prevedeva che “3. Per i periodi di cui al comma 1, il medico curante redige il certificato di malattia con gli estremi del provvedimento che ha dato origine alla quarantena con sorveglianza attiva o alla permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all’articolo 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, e di cui all’articolo 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19”.
La norma menzionata fa espresso riferimento ad una serie di misure di contenimento della diffusione del virus COVID-19 previste via via nel tempo dal legislatore, e adottabili dalle autorità competenti, dapprima con riferimento a specifiche aree del Paese (ossia “nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio del menzionato virus”, come recita l’art. 1 comma 1, d.l. 6/2020 del 23.2.2020) e poi per l’intero territorio nazionale (“su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso”, come recita l’art. 1 comma 1, d.l. 19/2020 del 25.3.2020), e precisamente:
– “quarantena con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva” (lett. h) dell’art. 1, comma 2, del d.l. 6/2020 del 23.2.2020);
– “permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva” disposta dall’autorità sanitaria per “gli individui che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico, come identificate dall’Organizzazione mondiale della sanità” (lett. i) dell’art. 1, comma 2, del d.l. 6/2020 del 23.2.2020); – “quarantena precauzionale ai soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che entrano nel territorio nazionale da aree [,] ubicate al di fuori del territorio italiano” (lett. d) dell’art. 1, comma 2, del d.l. 19/2020 del 25.3.2020); – “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale, perché risultate positive al virus” (lett. e) dell’art. 1, comma 2, del d.l. 19/2020 del 25.3.2020). Il legislatore, con la previsione di cui all’art. 26 comma 1 d.l. 18/2020, ha inteso tutelare quei lavoratori che sono costretti a rimanere assenti dal lavoro in quanto attinti dalle misure di quarantena e di isolamento fiduciario prevedendo, da un lato, l’equiparazione di detta assenza alla malattia e, dall’altro, escludendone la computabilità ai fini del periodo di comporto.
Il riferimento alle misure di quarantena e isolamento fiduciario – effettuato attraverso il richiamo a specifiche disposizioni di legge, talune delle quali poi abrogate (l’art. 5 del d.l. 19/2020 ha infatti integralmente abrogato l’art. 1 del d.l. 6/2020) e in ogni caso ripetutamente modificate alla luce dell’evoluzione della situazione epidemiologica – deve intendersi comprensivo di tutte le misure che sono state nel tempo normativamente previste per arginare la diffusione del virus, e quindi sia quelle legate al mero contatto con casi confermati di malattia o di rientro da zone a rischio epidemiologico sia quelle connesse alla positività al virus Covid-19. Del resto, la ratio della norma è quella di non far ricadere sul lavoratore le conseguenze dell’assenza dal lavoro che sia riconducibile causalmente alle misure di prevenzione e di contenimento previste dal legislatore e assunte con provvedimento dalle autorità al fine di limitare la diffusione del virus Covid-19, in tutte le ipotesi di possibile o acclarato contagio dal virus e a prescindere dallo stato di malattia, che – come ormai noto – può coesistere o meno con il contagio (caso dei positivi asintomatici). Invero, anche in caso di contagio con malattia, ciò che contraddistingue la malattia da Covid-19 dalle altre malattie è l’impossibilità, imposta autoritativamente, per il lavoratore di rendere la prestazione lavorativa e per il datore di lavoro di riceverla per i tempi normativamente e amministrativamente previsti, tempi che – ancora una volta – prescindono dall’evoluzione della malattia ma dipendono dalla mera positività o meno al virus.” Tribunale di Asti ordinanza del 5 gennaio 2022 giudice dott.ssa Elisabetta Antoci.
Il Tribunale, ritenendo fondata la domanda della lavoratrice, ha annullato il licenziamento per superamento del periodo di comporto e ha condannato la datrice di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto percepita dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione. La datrice di lavoro è stata condannata anche al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Il Tribunale di Asti ha interpretato in modo corretto, fedele e coerente tutta la normativa giuridica che disciplina la materia del superamento del periodo di comporto per malattia e la nuova disciplina giuridica della quarantena sanitaria imposta dalla epidemia del Covd-19 nei suoi risvolti giuslavoristici.
Biagio Cartillone