Si parla molto, in questi giorni, del convegno di Verona, ormai diventato il simbolo di un nuovo medioevo che prende di mira, prima di tutto, le donne e i gay. A quelli che si chiedono ”come siamo potuti arrivare a questo”, vorrei ricordare soltanto una data: 5 giugno 2016. Meno di tre anni fa. È la data in cui in Italia entrava in vigore la legge sulle Unioni civili, che riconosceva finalmente alle famiglie di qualunque tipologia e sesso il diritto di essere tali. Una legge coraggiosa, che metteva fine a una lacuna vecchia di molti anni (troppi) nei quali nemmeno i (rari) governi di centro sinistra erano riusciti a mettersi d’accordo su questo terreno. Intanto, l’Italia andava avanti per conto suo (per esempio, con molte aziende private che già riconoscevano ai dipendenti conviventi con una persona dello stesso sesso gli stessi diritti delle coppie etero), ma la politica no, non ce la faceva proprio: troppo forti le pressioni della parte cattolica anche nelle coalizioni di centro sinistra, troppo sentita l’influenza del Vaticano.
Giusto per la memoria storica, vorrei qui ricordare quanti anni ci sono voluti e quante proposte sulle unioni civili, inesorabilmente tutte decadute, sono state presentate al Parlamento.
La prima risale a trentatré anni fa, era il 1986, la firmava Ersilia Salvato, la seconda è del 1987, poi ancora Alma Cappiello nel 1988, Graziano Cioni nel 1993, Nichi Vendola nel 1994. Nel 1996, primo anno del governo Prodi, nonché del primo governo di centro sinistra, ce ne saranno ben quattro, presentate rispettivamente ancora da Vendola, e da Luigi Manconi, Ersilia Salvato, Gloria Buffo. E ancora: una nel 1997 (Cioni), una nel 1998 (Antonio Soda), poi cade Prodi e ciao. Si ricomincia nel 2000, con tre proposte, Sbarbati, Lisi, De Luca. Nel 2001 sono sei: Cortiana, De Simone, Belillo, Malabarba, Pecoraro Scanio, ancora Soda. Nel 2002: Franco Grillini. Nel 2003: ancora Grillini, ma anche Rivolta, Mussolini, Belillo, Moroni, e il consiglio regionale della Toscana. Nel 2004: Titti De Simone. Nel 2007 è il consiglio dei ministri stesso, guidato da Romano Prodi, a presentare il ddl battezzato DICO, e nel 2008 arriva il DiDoRe, ”diritti e doveri di reciprocità dei conviventi”. Entrambi finiti nel cestino, non se ne farà niente.
Poi lunghi anni di silenzio. Finché a inizio 2016 arriva il ddl Cirinnà. Discusso e approvato in Senato a febbraio, approvato alla Camera a maggio, firmato dal presidente Mattarella il 20, entrato in vigore il 5 giugno. Velocissimo, ma non senza ostacoli: dall’ostruzionismo dei cattolici al tira e molla del Movimento Cinque stelle, che dopo aver promesso di appoggiare il governo di Matteo Renzi cambiano idea e si tirano indietro. Il governo invece va avanti ugualmente e pone la fiducia; rischiando, ma alla fine vincendo, e portando di colpo l’Italia nel settore che le spetta, quello dei ”paesi civili”.
Perché ho ricordato tutto questo. Perché, come dicevo all’inizio, in questi giorni molte persone si chiedono angosciate ”come è possibile” che in Italia si stia affermando il ”nuovo medioevo”: con le donne spinte in ruoli subalterni, con il decreto Pillon, con l’intenzione dichiarata dalla Lega di voler ”cambiare il diritto di famiglia” (quello, civilissimo, conquistato nel 1975), con gli attacchi alla 194, con le persecuzioni agli stranieri e ai gay, e, infine – ma davvero solo infine – con il famoso convegno di Verona, che vedrà la partecipazione del ministro della Famiglia (e già il fatto che ci sia un ministero della Famiglia, la dice lunga sullo stato del nostro paese) ma, pare, anche di quello dell’Istruzione: cosa, dal mio punto di vista, assai più grave. Una vera contraddizione in termini.
Il fatto è che tutto questo avviene, appunto, a MENO DI TRE ANNI da uno dei momenti più alti, in termini di diritti, che abbiamo vissuto. Solo tre anni fa, insomma, l’Italia era un paese moderno, coraggioso e civile. E quindi, quelli che oggi si chiedono, stupefatti, ”come è potuto accadere”, secondo me la risposta la sanno benissimo. È che non è piacevole, dirsela.
Nunzia Penelope