Un lontano congresso della Fiom, il quattordicesimo. La segreteria, su proposta di Trentin, aveva chiesto al ministro democristiano del Lavoro, che era Carlo Donat Cattin, di parlare ai delegati, e lui aveva accettato. Presiedeva Pio Galli la seduta in cui era previsto Donat Cattin, e pochi minuti prima dell'arrivo dell'ospite Trentin, per un evidente accordo, lo sostituì alla presidenza. Aspettò che finisse il delegato che aveva la parola, poi annunciò che l'intervento successivo sarebbe stato quello del ministro. Vennero, da vari luoghi della platea, un ostile brusio e alcuni fischi. Allora Trentin riprese con un rapido gesto il microfono e scandì queste lente parole: "Il quattordicesimo congresso della Fiom, che è un congresso di militanti adulti, saluta il ministro del Lavoro e ascolterà quello che avrà da dirci". Tutti i delegati fecero silenzio, e Donat Cattin parlò (abilmente) senza contestazioni. Trentin lo ringraziò, riaffermando al tempo stesso brevemente, con risoluta chiarezza, le posizioni e le ragioni del suo sindacato. La replica fu accolta da un applauso grande, con il quale si chiudeva il cerchio sindacalmente esemplare, politicamente limpido del rapporto di fiducia e di sentimento fra i delegati e il segretario generale che li aveva poco prima richiamati non all'ordine, ma alla loro responsabilità.
Militanti adulti. Nelle due parole, e nella loro unione, c'è il riflesso, l'inconfondibile segno, la traccia profonda della natura di Bruno Trentin, della sua concezione del lavoro sindacale, quella che ne ha fatto il grande dirigente che è stato. L'unità, la sintesi, che aveva elaborato e realizzato nella propria mente, di passione, di cultura, dell'imperativo di farle agire nella e sulla realtà per capirne, orientarne, guidarne il senso di marcia: il senso ed il cammino. La capacità di trasferire questa sintesi – integra, coerente, libera da tutte le illusioni – nell'aspra realtà del sindacato. L'obiettivo ed il compito (non la missione, troppo laico e razionale per questo termine ambiguo, sospetto) di mettersi al fianco della classe operaia per aiutarla a conquistare quella conoscenza e quella libertà di cui aveva sete, come aveva scoperto da giovane, restandone marcato per l'intera vita. Il suo rapporto, di conseguenza, con la classe operaia: sciolto da ogni tentazione mitica, teso a individuarne, comprenderne, far salire alla superficie l'autentica realtà e riversarla nell'organizzazione, nel movimento, nelle rivendicazioni, nella contrattazione, nella lotta. Un rapporto così intimamente libero da essere, quando doveva, anche critico, perché quello cui Trentin fondamentalmente mirava era il raggiungimento di una grande maturità collettiva della classe operaia, a cominciare da quella parte essa che milita nel movimento sindacale.
La maturità è tutto, fa dire Shakespeare a un suo personaggio, e credo che Trentin ne fosse convinto. La maturità come frutto massimo della conoscenza e sostanza della libertà. Come significato dell'esistenza collettiva e individuale, condizione di giudizi chiari e giusti, consapevolezza della complessità e contraddizioni del reale e coraggio di affrontarle, rifiuto delle semplificazioni e delle loro menzogne, capacità da parte delle organizzazioni di criticare se stesse, alta forma, e necessaria, della coscienza di classe. Per queste ragioni disse, quel giorno: militanti adulti. E perché lo capirono i delegati al congresso, tacquero dopo le sue parole e ascoltarono Donat Cattin, non solo per disciplina, ma per mostrare – per dimostrare – la loro maturità di adulti.
Di questi elementi costitutivi della personalità di Trentin, del suo insegnamento, del suo rapporto libero e liberatorio con i lavoratori, nelle belle orazioni pronunciate sopra la sua bara poco o niente è stato detto. Certo non è quella l'occasione per approfondimenti relativi alla figura del morto, vigono in quella sede regole e limiti rigidi, il cui rispetto, fra l'altro, generalmente conviene ai vivi. Ma dopo, cessato il pianto asciugate le lacrime, deposta nell'animo la violenza del primo dolore, le regole e i limiti non valgono più. L'analisi di quel che Bruno Trentin ha rappresentato nella storia del movimento sindacale e del movimento operaio italiano non avrà altri ostacoli se non quelli (crediamo, speriamo di no) soggettivi di coloro che s'impegneranno nella ricerca e nello studio. Sarà interessante, sarà rivelatore osservare quale uso la Cgil per prima e tutto il sindacato sapranno e vorranno fare della sua figura, esperienza, vita. Adesso incomincia il tempo della memoria, il lento, ostinato, illuminante, severo lavoro della memoria. Che tiene i morti vicini ai vivi, scava nel passato e misura alla sua luce molte cose del presente. Quest'uomo merita che nel ricordo vengano fatti i conti con lui, che lo si guardi in faccia senza mettergli maschere.
Leopoldo Meneghelli