Si può ancora parlare di unità sindacale oggi? Forse sì, almeno a guardare a quanto avviene nella categoria dei bancari. A settembre è stato Agostino Megale, il segretario generale del sindacato dei bancari della Cgil, a muoversi per primo chiedendo alle altre organizzazioni della categoria di compiere assieme qualche passo verso l’unità sindacale, cominciando con cautela, ma per andare poi decisamente verso l’obiettivo di un sindacato nuovo.
Qualche giorno fa Lando Maria Sileoni, il segretario generale della Fabi, il forte sindacato unitario di questa categoria, è tornato sull’argomento lanciando un ballon d’essai: la proposta di formare un sindacato unitario dei bancari. Una proposta, ha detto il sindacalista, che ha l’obiettivo di irrobustire la forza politica e negoziale delle parti sociali a vantaggio dei lavoratori. Il direttivo, la segreteria nazionale e il segretario generale di questa nuova organizzazione, ha aggiunto, potrebbero essere eletti ogni due anni e con un limite di mandato direttamente e a scrutinio segreto dai lavoratori del settore attraverso un referendum. I contributi sindacali dovrebbero andare per il 75% alle strutture provinciali, per il 15% ai coordinamenti aziendali e di gruppo per il 10% alla segreteria nazionale.
Era epoca che non si sentiva qualcosa del genere, anche i più interessati al tema dell’unità è molto che tacciono. Ma evidentemente queste proposte sono cadute in un momento particolare, perché immediatamente è arrivata una risposta dalla Uilca, il sindacato dei bancari della Uil. Massimo Masi, il segretario generale di questa organizzazione, ha risposto con una dichiarazione fatta assieme a Carmelo Barbagallo, il segretario generale della Uil, rilanciando il tema unitario. In realtà l’idea di Masi è differente da quella di Sileoni, perché l’esponete della Uil, d’accordo con il segretario generale della sua confederazione, pensa che sia opportuno costituire non un nuovo sindacato costruito dall’alto, ma, almeno per il momento, una federazione unitaria al livello sia confederale che di categoria. “Potremmo partire dal nostro settore, afferma Masi, federando le strutture Cgil, Cisl e Uil, e invitando a farne parte anche la Fabi, partendo dai luoghi di lavoro e piano piano risalendo verso l’alto. Questo perché credo che sia necessario unire prima chi contratta, poi i vertici”. Un’idea diversa, quindi, ma non dissimile da quella della Fisac e da quella della Fabi. Concreta, comunque, dato che la Uilca ha in programma per la fine di gennaio un convegno nel corso del quale, presente anche Barbagallo, si discuta la possibilità di dar vita a questo nuovo sindacato.
Non deve stupire che sia stata proprio la Uil la prima confederazione a raccogliere queste proposte in tema di unità sindacale perché Carmelo Barbagallo fin dalla sua elezione ha subito rilanciato e con grande forza il tema unitario. Nato tra i metalmeccanici di Termini Imerese il segretario generale della Uil ha mosso i primi passi della sua storia sindacale nella mitica Fim ed è sempre rimasto attaccato a quell’idea.
Del resto, l’idea di riprendere a camminare assieme non è lontana nemmeno dalla sensibilità di Cgil e Cisl. Prima dell’estate Susanna Camusso ha rilanciato con forza l’idea di tornare a ragionare in termini unitari e a ben vedere lo sforzo che i segretari confederali stanno facendo in queste settimane per mettere assieme una proposta unitaria del sindacato in tema di contrattazione ha dietro proprio l’idea forte dell’unità. Perché, questo nessuno lo può negare, assieme si è più forti e si possono cogliere risultati importanti. In questo momento, che poi momento non è, di generalizzato attacco ai corpi intermedi e in particolare al sindacato la divisione è un handicap che impedisce per lo più di reagire. Ma è possibile che davvero si riprenda a pensare all’unità? La risposta potrebbe essere positiva se si ha in mente che il prossimo terreno vero di confronto per il sindacato è la partecipazione, che potrebbe essere realizzata molto più facilmente se il sindacato fosse uno solo. Sergio Marchionne lo ha detto più volte, “Potrei anche realizzare forme partecipative, ma ho davanti a me sette sindacati e sono davvero troppi per fare vera partecipazione”.
A ostacolare il progetto sono soprattutto le burocrazie, perché unificare il sindacato significa rinunciare a gran parte dell’attuale struttura, considerando che tutto dovrebbe essere diviso almeno per tre. Poi ci sono le tradizioni da mantenere, le storie, piccole e grandi, da salvaguardare. C’è chi si sente migliore degli altri, più forte o dotato di più carisma e a queste posizioni di forza, supposte anche quando non esistenti, non si rinuncia volentieri. Gli ostacoli sono tanti, le complicazioni da affrontare moltissime, ma per il sindacato intraprendere il cammino unitario potrebbe essere la via di uscita da una crisi che sta diventando sempre più palese e che potrebbe ancora crescere.
Massimo Mascini