All’inizio degli anni ’80, tra il 1980 e il 1985, il Petrolchimico di Ferrara, il più grande impianto industriale della città, visse una grande vertenza sindacale. Erano gli anni delle ristrutturazioni, si cercava di salvare la chimica, quello stabilimento era in grande difficoltà, la Montedison, che ne era proprietaria, erano i tempi della presidenza di Mario Schimberni, decise che era necessario ridurre in maniera decisa il numero degli occupati. E cominciò così una vertenza lunga e difficile, che, in più riprese, dimezzò il personale. Erano 4mila all’inizio del decennio, cinque anni dopo erano solo 2mila. Ma la fabbrica era salva, risanata, in grado di competere sui mercati. Quella difficile vertenza è diventata un romanzo, “Profondo lago”, edito da Futura editrice, l’erede di Ediesse, la prestigiosa casa editrice della Cgil. Lo ha scritto Gaetano Sateriale, che in quegli anni era il segretario generale della Filcea Cgil ferrarese, il sindacato dei chimici, poi è stato un sindacalista della Fiom, dopo ancora sindaco di Ferrara per dieci anni. Dico romanzo perché è un racconto avvincente, che ti prende per mano e ti conduce per quegli anni turbolenti, facendoti vivere quella trattativa come se tu fossi lì, in mezzo a loro, nel fumo di quelle stanze in cui si decideva il destino di tante persone.
Per non annoiare il lettore con il resoconto della vertenza, Sateriale immagina di raccontarla a un’amica giornalista (ma che sia una donna lo si scopre solo all’ultima pagina, proprio come nel favoloso “Grande Sertao” di Guimaeres Rosa). I due sono in barca in Grecia, alla fonda in una caletta e il racconto si snoda nel corso di una nottata, accompagnato da una bottiglia di vino, ma beve solo lui, parlando anche delle sue passioni, la vela, appunto, la musica, il sassofono, Beethoven, Mahler, Mozart, Verdi. C’è un po’ tutto in quel racconto, che ti tiene inchiodato fino alla fine. Un bel romanzo, che consiglio a tutti, anche a chi non si interessa di storia sindacale, ma anche un grande trattato di tecnica di relazioni industriali, perché non si limita a ricordare le diverse fasi della vertenza e a fartele vivere, ma ti spiega con parole semplici come si deve portare avanti un confronto sindacale, quali sono le verità che non si devono mai dimenticare, quali i trucchi per vincere, come superare i momenti di difficoltà. Un testo di base, che non a caso regaleremo a chi parteciperà alla nostra Scuola di relazioni industriali quando a marzo inizieranno i corsi del 2023.
Ma quali sono le pillole di saggezza che questo libro ti regala? E, più in generale, i valori che un buon trattativista (che stia dalla parte dei lavoratori o dall’altra parte è lo stesso) non deve dimenticare? Il primo consiglio verte sull’importanza della contrattazione. Che è sempre un mezzo, mai un fine, si tratta, anche duramente, sempre per arrivare a un risultato, non perché ti fa piacere sederti a quel tavolo e discutere. E per questo quel tavolo non lo devi lasciare per uno scatto d’ira o una botta di stanchezza, lo devi tenere in piedi fino a che conviene, fino a quando può dare dei risultati, quando può avvicinare alla conclusione positiva. Il secondo consiglio è il rapporto con i lavoratori, che non deve avere mai incertezze. Sono loro, per chi li rappresenta, i destinatari dei tuoi sforzi e non devi dimenticarlo mai, nemmeno quando le pressioni degli altri, degli esterni, si fa più forte. Anche qui, vale per il sindacato, ma anche per chi tratta per le aziende.
Un’altra verità rivelata dal romanzo riguarda la molteplicità di una vertenza sindacale, che non è mai a un solo livello. Chi tratta, chi conduce un negoziato deve mediare su più livelli, con l’azienda naturalmente, ma anche con i lavoratori, con la politica, con la città, con le strutture associative di appartenenza. I protagonisti del romanzo trattano spesso più duramente con il sindacato regionale, con quello nazionale, con i partiti cittadini e anche con quelli nazionali, tutti momenti diversi, che vanno legati assieme, con fermezza, ma soprattutto grande capacità.
Un’altra verità è la trasparenza. Un negoziato sindacale deve essere sempre limpido, deve essere chiaro dove vuoi arrivare. Gigi Marelli, che insegna la tecnica sindacale alla nostra Scuola di relazioni industriali, lo dice sempre: quando parte una trattativa devi sempre avere chiaro dove vuoi arrivare, e la cosa migliore è se prepari la bozza di accordo prima di cominciare a trattare. Perché solo così ti puoi rendere conto dei passi avanti che stai facendo o delle difficoltà che incontri e incontrerai. Ma poi sempre, davvero sempre, chi tratta in un negoziato deve mantenere alta la propria autonomia. Le pressioni dall’esterno sono fortissime e le puoi reggere solo se tieni ferma la barra della tua azione, ricordando quali sono gli interessi che devi tutelare e quale è l’obiettivo cui devi arrivare.
Un’altra verità riguarda gli scioperi. Non sono mai una passeggiata e devono essere calibrati sulla realtà della trattativa. Gli scioperi costano ai lavoratori e possono far male all’azienda, vanno fatti, ma solo quando sono inevitabili e nelle forme necessarie. Sateriale racconta di come a un certo punto della vertenza si decise di occupare la stazione di Ferrara, un gesto clamoroso, con una valenza politica molto forte, che fu deciso con grande attenzione e sostenuto poi fino in fondo anche quando in tanti non erano d’accordo, anzi osteggiavano con determinazione questa decisione. Anche qui, lo sciopero, e in generale gli interventi sia in trattativa che fuori, devono essere sempre commisurati all’andamento della trattativa, devono essere uno strumento, mai un fine. Non c’è bellezza del gesto, c’è necessità di far capire le proprie intenzioni e la propria determinazione.
Potrei andare avanti all’infinito, proprio perché il racconto è denso e le indicazioni tantissime e tutte importanti. Per esempio, quella sull’unità sindacale. Quel gruppo di sindacalisti che per quei cinque anni portò avanti questa lunghissima vertenza erano di diversa origine sindacale, i più erano della Cgil, ma seppero tenere forte l’unione con la Cisl, e anche con la Uil, pur nella diversità delle posizioni di partenza. Un’unità così forte che quando nel 1984 il sindacato italiano si divise clamorosamente per la battaglia sulla scala mobile, e questa rottura dalle sedi nazionali arrivò ovunque, loro riuscirono a mantenere intatta la collaborazione nel consiglio di fabbrica del Petrolchimico, nonostante i venti di bufera che imperversavano. Sempre in virtù di quel senso forte di autonomia che li aveva sorretti nella vertenza e che non fece dimenticare i legami che erano riusciti a realizzare tra di loro e con i lavoratori.
L’ultima indicazione, pillola di saggezza, come ho detto, riguarda le Ali. Un progetto tutto nuovo che alla fine della vertenza riuscirono a far decollare. Ali sta per Area di lavoro integrato e l’idea sottostante è molto semplice, se si sta assieme si è più forti e più capaci. Se si mettono assieme a discutere di un problema tecnico tutti, dirigenti, tecnici, operai, con pari dignità, assieme possono trovare la soluzione ottimale. Bisogna avere naturalmente una vera disposizione al dialogo, bisogna discutere e trattare avendo la medesima considerazione per le parole di un dirigente e per quelle di un operaio, perché il sapere operaio a volte è più importante e preciso di quello di un dirigente o di un impiegato. Per Sateriale fu un banco di prova. Qualche anno dopo, quando era alla Fiom, assieme a Maurizio Castro, responsabile delle relazioni industriali di Electrolux, realizzarono in quell’azienda il progetto più avanzato di partecipazione mai realizzato, troppo bello e avveniristico per essere compreso dai più. Un esempio di come si fanno davvero le relazioni industriali. Un altro frutto di quella difficile vertenza al Petrolchimico di Ferrara nei primi anni Ottanta.
Massimo Mascini