P. G. Alleva, G. Arrigo, D. De Berardinis, G. Naccari
Ha suscitato vivissimo e giustificato allarme, la previsione dell’art. 23 della legge 29 marzo 2001 n. 134, in materia di gratuito patrocinio, la quale contiene esplicita abrogazione, a decorrere dal 1° luglio 2002, non soltanto di vecchie normative in tema di gratuito patrocinio, tra cui quelle degli artt. da 11 a 16 della legge 533/1973, effettivamente dedicati al gratuito patrocinio, ma anche dell’art. 10 della stessa legge, che, invece, stabiliva un trattamento fiscale di favore (esenzione totale) per gli atti del processo del lavoro in quanto tale e per gli atti relativi ai provvedimenti di conciliazione. È del tutto comprensibile il timore che da ciò derivi una sostanziale disincentivazione del ricorso alla giustizia del lavoro e alla conciliazione, in considerazione, tra l’altro, dell’incertezza e dei tempi lunghi degli esiti, perché, comunque, il lavoratore dovrebbe anticipare notevoli somme senza sicurezza di recupero. Certamente, su questa sorprendente novità legislativa ha influito una certa confusione di idee tra gratuità del patrocinio per i non abbienti ed esenzione fiscale delle controversie, e certamente anche l’iter di formazione del provvedimento legislativo, che è stato approvato, in sede deliberante, dalla Commissione giustizia del Senato e non dalla Commissione lavoro, e senza l’apporto dell’Aula; e, pertanto, senza possibilità di controllo da parte dei parlamentari specializzati in materia lavoristica e sensibili alle istanze sociali del mondo del lavoro.
Non può, naturalmente, essere sottaciuto il sospetto che la ‘svista’, poi vissuta come tale con forte rincrescimento da molti parlamentari progressisti, membri della Commissione giustizia, sia stata in realtà voluta dal relatore on. Pecorella, noto esponente di un partito politico (Forza Italia) la cui propensione verso la parte datoriale non può obbiettivamente essere messa in discussione. Ed è questa, come detto, la parte sociale che intuibilmente avrebbe sicuri vantaggi da un disincentivo alla vertenzialità del lavoro.
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È però, comunque, necessario e opportuno calare la ricordata previsione all’interno di una rete normativa più ampia, nel cui contesto si può ritenere che la sua apparente carica destabilizzatrice venga disinnescata.
Prima di qualsiasi altra considerazione di ordine sistematico, c’è da rilevare come, nel nostro ordinamento, anche dopo l’abrogazione dell’art. 10 della legge n. 533/1973, permangono almeno due norme che ancora prevedono l’esonero dalle spese per gli atti processuali, l’una con riguardo alla disciplina dei licenziamenti individuali, l’altra in relazione al riconoscimento della gran parte delle prestazioni INPS.
1. Sotto il primo profilo, infatti, l’articolo 13 della legge n. 604 del 1966 (Norme sui licenziamenti individuali), prevede che ‘tutti gli atti e i documenti relativi ai giudizi e alle procedure di conciliazione previsti dalla presente legge sono esenti da bollo, imposta di registro e da ogni altra tassa o spesa’.
2. Con riguardo, invece, all’aspetto previdenziale, l’articolo 109 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), continua a prevedere che ‘sono esenti dalle tasse di bollo e di registro e da ogni tassa giudiziaria tutti gli atti del procedimento ed i provvedimenti di qualunque natura emessi dall’autorità giudiziaria in esecuzione del presente titolo’ (Ricorsi e controversie). Al secondo comma si legge, poi, che ‘gli atti o scritti ed i documenti che venissero prodotti dalle parti sono pure esenti da tasse di bollo e di registro, a meno che siano soggetti, secondo la loro natura, a registrazione a termine fisso’.
Detto questo, si deve considerare che il rapporto tra regime fiscale del processo ordinario e il regime fiscale del processo del lavoro è sempre stato un rapporto tra regola ed eccezione. Così, il processo ordinario era soggetto alla tassa di bollo, mentre il processo del lavoro ne era esentato (appunto dall’art. unico della legge 2 aprile 1958, come modificato dall’art. 10 legge 11 agosto 1973 n. 533).
Questo rapporto si è conservato nella legislazione successiva, anche recentissima, in particolare nell’art. 9 della legge 23 dicembre 1999 n. 488, che al comma 1, per i procedimenti ordinari, ha sostituito la imposta di bollo, la tassa di iscrizione a ruolo ed i diritti di cancelleria con un contributo unificato per le spese sugli atti giudiziari.
Infatti, il comma 8 della medesima norma prevede, come eccezione, che tale contributo non sia dovuto per ‘i procedimenti già esenti, senza limiti di competenza o di valore, dall’imposta di bollo, di registro …’ cioè proprio per i processi del lavoro.
In sintesi, quando per i procedimenti ordinari valeva come regola generale la imposta di bollo, l’art. 10 della legge 533/1973 esentava i processi del lavoro. Quando, per i processi ordinari, l’imposta di bollo è stata sostituita dal contributo speciale, il comma 8 dell’art. 9 legge 488/1999 ha esentato da tale contributo speciale, i processi del lavoro.
Alla fine di questa sequenza, la circostanza che l’art. 23 della nuova legge sul gratuito patrocinio abbia stabilito l’abrogazione dell’art. 10 legge 533/73 (che esentava i processi del lavoro dall’imposta di bollo ormai non più applicabile, in via generale, neanche ai processi ordinari) può essere considerata come una previsione confermativa che lascia intatta l’esenzione dal regime fiscale ormai vigente per tutti gli atti processuali, e cioè dal contributo speciale.
In sintesi, se sopravviene una nuova disciplina, anche essa favorevole in una certa materia, l’abrogazione espressa dalla vecchia disciplina è sostanzialmente irrilevante e, anzi confermativa della disciplina innovativa
Per portare un esempio, se il termine di una modifica legislativa della normativa di tutela, poniamo, delle lavoratrici madri, viene stabilita l’abrogazione della vecchia legge sulla maternità, ciò non significa che sia stata abrogata la tutela della maternità.
Se, per tornare al caso concreto, alla fine di tutto l’iter di modifica legislativa, si abroga l’esenzione del processo del lavoro dall’imposta di bollo, dopo che la medesima imposta non si applica più neanche ai processi ordinari, ciò non implica affatto che sia stata abrogata l’esenzione del processo del lavoro dalla nuova imposta o tassa stabilita dalla stessa legge che l’ha introdotta per il processo ordinario.
In termini ancora più brevi, l’abrogazione dell’art. 10 legge 533/73 può razionalmente essere messa in relazione con il comma 1 e non il comma 8 dell’art. 9 legge 488/99, nel senso che, abolita la regola generale (imposta di bollo), è del tutto logico, e diremmo ricognitivo, abolirne anche l’eccezione (esenzione dall’imposta di bollo). Ma ciò non tocca il rapporto tra nuova regola generale (contributo speciale) e nuova eccezione (esenzione dal contributo speciale).
Resta, però, il problema che l’art. 10 esentava il processo del lavoro non solo dall’imposta di bollo, ormai caduta, si potrebbe dire, per conto suo, ma anche dall’imposta di registro che l’art. 9 della legge 488/99 non nomina. Dunque si apre un problema interpretativo e applicativo.
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In conclusione, una lettura meramente letterale e formale dell’art. 23 legge 134/2001, scissa, per di più, da una lettura sistematica della normativa sulla materia, porterebbe- erroneamente -a ritenere abrogata l’esenzione fiscale per gli atti del processo del lavoro, previdenziale e per i provvedimenti di conciliazione. Al contrario, una corretta lettura complessiva e sostanziale della normativa vede la persistenza delle sopra menzionate disposizioni sui licenziamenti individuali, sul processo previdenziale e sulla nuova regolamentazione del contributo unificato sostitutivo delle spese sugli atti giudiziari, che mantengono specificamente le esenzioni da dette spese (vigenti nel processo civile) per il processo del lavoro, previdenziale e per i provvedimenti di conciliazione.
Pertanto, pur convinti che la delicata e importante questione possa essere risolta in via interpretativa, tuttavia la incresciosa situazione di apparente confusione normativa che potrebbe presentarsi a interpretazioni strumentali, e la preoccupazione crescente tra i lavoratori e gli operatori della giustizia, ci portano a ritenere necessario, si direbbe in linguaggio diplomatico, un passo comune tra tutte le organizzazione sindacali e tutti i partiti politici, per porre rimedio alla ‘svista’, se di svista si è trattato. Oppure, per fare emergere, al contrario, volontà e responsabilità politiche di coloro che effettivamente mirano a deprimere la domanda di giustizia nel campo del lavoro.
Non vi è dubbio che ad assumere questa iniziativa chiarificatrice debbano essere le Confederazione CGIL-CISL-UIL, al fine di ottenere da Parlamento e Governo la riaffermazione delle condizioni di acclarata esenzione fiscale per tutti gli atti e le procedure giudiziarie ed extragiudiziarie in materia di lavoro e previdenza.