In un contesto che la vox populi (interpretata con accenti drammatici da buona parte della politica, del sindacato e perfino delle istituzioni, ed egregiamente raccolta e diffusa dai media) giudica flagellato dalla povertà che cresce inesorabilmente, dai redditi che precipitano e da un’inflazione che riempie di indigenti i marciapiedi delle metropoli, dunque oggettivamente prerivoluzionaria, è abbastanza logico che un’organizzazione dedita alla difesa degli ultimi, alla lotta allo sfruttamento e alle diseguaglianze tragga le opportune conclusioni e si attrezzi di conseguenza.
La CGIL pare decisamente orientata a farlo. Già nel mitico comizio a piazza del Popolo Landini illustrò una presa di posizione dura, circostanziata e puntuta contro il Governo Draghi: “non sta facendo il suo lavoro: non ha un’idea né di politica industriale né di futuro”. La rivendicazione di scelte alternative dalla politica economica alla politica estera avevano un segno di forte radicalità: abolizione delle leggi che “consentono il precariato”, più tasse per i redditi sopra i 35.000 € (2.600 lordi al mese), più soldi per lavoratori e pensionati contro l’inflazione a carico dello Stato, da finanziarsi con un prelievo del 100% sugli extraprofitti delle società del comparto energia (i rilievi di carattere tecnico-costituzionale verrebbero spazzati via dalla superiore volontà politica). E’inevitabile notare come le priorità che Landini ha elencato durante il comizio richiamino tutte una soluzione politica-legislativa e non un confronto di tipo negoziale.
Rivendicazioni elencate in modo più organico e dettagliato nel corso dell’incontro “il lavoro interroga” con le forze politiche.
Nulla di sorprendente dunque se la FIOM rifiuta di sottoscrivere con Stellantis l’accordo per l’esodo volontario e incentivato di circa 1.800 dipendenti dagli Enti Centrali e vari stabilimenti italiani (il 3,7% del totale dei lavoratori italiani). Non meriterebbe di essere menzionato se non perché le motivazioni addotte dal sindacato di categoria della CGIL sono esplicitate in modo trasparente ed esauriente, quasi didattico, consentendoci di cogliere nella sua completezza il retroterra ideologico che informa le scelte della CGIL (anche se, ad onor del vero, non di tutte le sue categorie).
Mentre FIM CISL sottolinea come la produzione di Stellantis sia caduta nel 1° semestre del 13,7% per evidenti cause congiunturali e come per le stesse ragioni in Francia si siano concordati 2600 esodi incentivati, la FIOM spiega la propria opposizione con l’argomento che “Si continua senza avere un piano complessivo sulle missioni degli Enti Centrali…e degli stabilimenti” e soprattutto “senza avere un piano sull’occupazione che preveda un reale ricambio generazionale”; “E’ necessario che il Governo intervenga nei confronti dell’azienda” conclude ineluttabile la FIOM!
Un breve inciso è inevitabile circa il “piano dell’occupazione”: pare più il richiamo ad un canone iniziatico ed oscuro che ad una concreta pratica di relazioni industriali. Men che meno risulta comprensibile cosa significhi poi “prevedere un reale cambio generazionale”. La sensazione è quella che la FIOM ritenga che la politica occupazionale di un’impresa debba preesistere rispetto alle vicende della produzione e del rapporto domanda/offerta nel mercato del lavoro, fino a definire anche chi esce e chi entra e quando. Un approccio diciamo così, goffo, alla realtà concreta delle politiche del lavoro. Ma perfettamente coerente con la domanda di pianificazione che gronda da tutto il discorso della FIOM.
Ed è questo l’aspetto che mi sembra interessante mettere a fuoco: l’ideologia del Gosplan caratterizza gran parte della CGIL e sterpaglie della sinistra politica sia sul piano politico che su quello addirittura filosofico.
Sul piano politico è ancora ben viva l’antica convinzione che se la politica non detta le scelte alle imprese non solo è inevitabile lo sfruttamento, ma anche il disastro economico. Questa idea, riconducibile ad un socialismo scientifico da Baci Perugina, riaffiora carsicamente nei discorsi di certa sinistra politica e sindacale, di solito colorita da note di soddisfatta rivalsa nei confronti dell’odiato capitale: qualche anno fa a momenti la FIOM convinceva la politica nazionalizzare la FIAT, prima che arrivasse Marchionne!
Sul piano culturale emerge il convincimento che la politica possa produrre piani capaci di inglobare, governare, prevedere e ricondurre ad unità e a decisioni predefinite le variabili dei processi economici. Si potrebbe naturalmente filosofare a lungo su questa ideologia; per esempio constatando che si tratta di un pensiero deduttivo anziché induttivo, quindi, almeno per Galileo e i suoi successori, assai poco scientifico. Oppure verificando i suoi clamorosi fallimenti accumulati in concreto nell’esperienza delle economie di piano.
Ma il punto non è questo: più rilevante è prendere atto del fossato politico e culturale che si sta scavando nel Sindacato Italiano. Intendiamoci, differenze dottrinarie sono sempre esistite ma venivano messe tra parentesi rispetto ad una pratica contrattuale e concertativa che sembrava aver messo nel ripostiglio, salvo le dovute devozioni, tutta una serie di venerati dogmi. Oggi questi dogmi tendono a spiegare scelte politiche differenti tra le tre Organizzazioni E fanno da inquietante retroterra a posizioni che diventano sempre più minacciose, aggressive, intimidatorie, fino a farci domandare quale politica abbia in mente Landini e quale ruolo per il suo Sindacato-Partito quando, con qualche inflessione putiniana, avvisa Draghi che se non lo ascolterà “in autunno il Paese esploderà”.
Claudio Negro