Il capitalismo ha capito che può fare a meno della democrazia, come ultimamente sempre più spesso gli analisti si sperticano a dichiarare, e per capire il senso di questo anatema basta guardare poco oltre il proprio naso e accorgersi del corpo morente del welfare state, piluccato qua e là dagli sciacalli della politica e della finanza. Ma ancora meglio, tutto ciò riflette la crisi dei sistemi di capitalismo democratico e il fallimento del progetto neoliberista, che però nelle sue fasi cicliche mai muore e sempre si rinnova. I brandelli di ciò che avanza vengono dati in pasto a popolazioni sempre più disilluse, arrabbiate, disaffezionate alla e dalla rappresentanza e i dati sulla partecipazione elettorale lo esprimono chiaramente. Ma poco è comunque qualcosa e va difeso strenuamente. Da parte delle forze politiche questa fame di diritti viene usata – anzi, distorta – come strumento di raccolta di consensi e la leva più immediata è la paura della perdita tramite l’assalto da parte dello straniero. Tutto ciò si tramuta in una guerra tra poveri, ultimi contro penultimi, mentre i vertici delle destre reazionarie al potere consolidano la scalata tramite il collante del nazionalismo e del populismo. Prima agli italiani, come titola il saggio di Enrico Gargiulo, Enrica Morlicchio e Dario Tuorto (il Mulino, 224 pagine, 22,00€) analizza con minuzia la profonda trasformazione cui sono sottoposti i sistemi di welfare occidentali, caratterizzati da tagli alla spesa sociale, restrizioni all’accesso e una vertiginosa crescita di disuguaglianze territoriali e sociali.
Dinanzi a scenari di crisi sempre più frequenti e impattanti, le politiche tradizionali di destra e di sinistra si sono dimostrate incapaci di gestirne processi ed effetti e per questo sono accusate di sostenere politiche di austerità. È in questa congiuntura, all’indomani della pandemia, che si inseriscono le forze ultrareazionarie della destra radicale, che sono state in grado di intercettare il risentimento crescente «reinterpretando le istanze di giustizia sociale in chiave individualista e corporativista». In questo senso il welfare viene assunto come dispositivo chiave, mettendo in piedi un modello basato sulla meritevolezza che premierebbe “prima gli italiani”, raramente tutti gli altri. Raramente perché questa impostazione rilegge in chiave contraddittoria il principio di residenza (che investe le dimensioni di temporalità e spazialità, quindi di permanenza), contravvenendo subdolamente ai principi di giustizia ed equità sociale formulati su scala sovranazionale. Nella pratica, quindi, lo sciovinismo del welfare è considerato degli autori «una forma di nazionalismo dello stato sociale» che nel confronti di migranti o stranieri applica una spietata discriminazione selettiva attraverso una «persecuzione burocratica nel tempo della paura», un vero e proprio «diritto amministrativo antiumanitario». Di conseguenza, si tratta di «una delle articolazioni del dispositivo di gerarchizzazione degli strati sociali fondati sulla creazione di status giuridici diversificati»: una stratificazione civica.
Un passaggio chiave riassume una visione molto articolata: «[…]lo scenario è quello della postdemocrazia […] in cui gli elettori sperimentano una sensazione generalizzata di perdita di controllo quando percepiscono i governi nazionali in difficoltà nel gestire risorse che in passato riuscivano a controllare, nell’implementare autonomamente le politiche e nel tutelare gli interessi collettivi rispetto a istituzioni sovranazionali lontane e poco identificabili. Il malessere deriverebbe dalla convinzione che i cittadini contino poco e, parallelamente, che anche la politica non riesca ad affrontare e risolvere i problemi. All’eclisse del potere degli Stati, all’austerità e alla visione dell’Europa come vincolo si contrappongono quindi, quasi naturalmente, i partiti difensori della demarcazione delle identità e dei confini nazionali. Anzi, per certi versi, la spiegazione politico-culturale, con la piattaforma programmatica che propone, offre argomenti, narrazioni, immagini più suggestive per affrontare le contraddizioni, altrimenti non facilmente risolvibili, poste dall’economia».
Gargiulo, Morlicchio e Tuorto operano una interessante ricostruzione storica del welfare e di come sia stato reso strumento di marginalizzazione e discriminazione, attraverso il controllo dei gruppi sociali marginali, rintracciando i prodromi della sciovinizzazione del sistema in epoca contemporanea (a partire dal XVI secolo) e sostenendo che quanto si sta assistendo altro non è che un rigurgito che accentua caratteristiche discriminatorie e di controllo già attivate. Così come si desacralizza il mito dei Trenta Gloriosi del compromesso socialdemocratico, contenente in nuce la strumentalizzazione della cittadinanza per favorire o negare diritti sociali. Benché la politicizzazione del tema non sia tra i principali obiettivi del volume – aspetto, tra l’altro, sottolineato dagli autori che considerano quella politologica una «impostazione parziale in quanto impedisce di comprendere che in gioco non c’è soltanto un problema di successo elettorale», trattandosi di un «fenomeno più complesso determinato da un lato dalle crescenti tensioni cui sono sottoposti gli attuali sistemi di capitalismo democratico […] dall’altro dai problemi dovuti al fallimento di un progetto neoliberista» – tra gli aspetti più interessanti c’è che l’appropriazione da parte della destra radicale delle politiche sociali fa sì che queste si smarchino dal conservatorismo classico e liberale finendo per competere proprio con i partiti socialisti che le hanno abbandonate e con la nuova sinistra populista che cerca di riproporle. Una ripoliticizzazione del tema, in sostanza, che mette in luce anche le discrasie della sinistra, anche quella più radicale – che si esemplifica con il caso del Reddito di Cittadinanza e del suo restyling in Assegno di Inclusione.
«It’s depressingly timely»: è tristemente attuale, rimarcano Gargiulo, Morlicchio e Tuorto, che pure nel ricostruire un quadro a tinte fosche non mancano di tirare le somme con un epilogo ottimista: «Questi risultati dovrebbero suggerire alle forze politiche mainstream […] di ripartire proprio [dallo] strappo democratico dovuto al logoramento dei diritti sociali, vecchi e nuovi. Uscendo da scorciatoie inefficaci che strizzano l’occhio alla tecnocrazia (i liberali), a identità sociali a-conflittuali (i socialisti) o al rifugio del tradizionalismo etico (i conservatori), per riprendere il coraggio di confrontarsi su posizioni alternative di società nella dinamica classica del governo-opposizione, e non sotto la copertura di grandi alleanze».
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Prima agli italiani. Welfare, sciovinismo, risentimento
Autori: Enrico Gargiulo, Enrica Morlicchio, Dario Tuorto
Editore: il Mulino – Collana Saggi
Anno di pubblicazione: 2024
Pagine: 224 pp.
ISBN: 978-88-15-39043-1
Prezzo: 22,00€