Tutto il mondo del lavoro ha accolto con entusiasmo le parole del presidente Draghi che, facendo eco al presidente degli industriali, ha rilanciato l’idea di un grande patto sociale che sia in grado di supportare la fase di ripresa che stiamo vivendo. Sono mesi, anni per verità, che sul nostro giornale sosteniamo l’opportunità di un riavvicinamento delle politiche delle parti sociali e di queste con il governo, perché la storia ci insegna che solo per questa strada una nazione può trovare la via della pacificazione e della diffusione del benessere. E con maggiore piacere abbiamo ascoltato le sue parole quando ha sottolineato a chiare lettere l’importanza delle relazioni industriali, la loro centralità nella vita di un paese.
Ed è proprio per questo che abbiamo ascoltato invece con qualche stupore il presidente Draghi quando subito dopo ha affermato che nel nostro paese le relazioni industriali, che pure ci avevano aiutato a uscire dal dramma del dopoguerra, si fossero arenate dopo solo 15 anni. Alla fine degli anni 60, ha detto il presidente del Consiglio, in Italia si è assistito alla “totale distruzione delle relazioni industriali”. A quel momento, ha aggiunto riportando le parole di un suo amico straniero, “il giocattolo si è rotto”.
Ci permetta presidente di dissentire totalmente da questa lettura di quegli anni. Alla fine degli anni 60 ci fu l’autunno caldo e subito dopo venne lo Statuto dei lavoratori, due fatti di alto valore civile che hanno allargato il perimetro della democrazia in Italia, non lo hanno certo distrutto. Nei primi anni settanta ci fu un prevalere delle ragioni sindacali, forse in maniera esagerata, dando luogo a quella che Giuseppe Glisenti chiamò “la sfida che spacca le aziende”. Ma il paese si riprese da quel momento molto in fretta, le forze si riequilibrarono, forse anche troppo velocemente se nel 1980 ci fu la vertenza Fiat e i 35 giorni ai cancelli di Mirafiori. Ma le relazioni industriali non finirono certamente lì, per tutti gli anni 80 imprenditori e sindacati trattarono duramente, ma con grande vitalità sulla scala mobile. E nei primi anni 90 avemmo i grandi accordi, nel 1992 e nel 1993, quando le parti sociali in un momento di difficoltà generale arrivarono a dettare le linee portanti della politica economica del paese.
Una grande vitalità, presidente, il giocattolo non si era per nulla rotto, era vivo quanto mai e funzionava alla grande. Semmai furono proprio gli anni 50 e 60 a non brillare per la qualità delle relazioni industriali, segnate per lo più da una battaglia durissima tra capitale e lavoro, dove non era certo il lavoro ad averla vinta. Non fu un caso se nel 1969 scoppiò l’autunno caldo. Mio padre, che trattava il rinnovo del contratto dei chimici per la parte industriale, mi raccontò nel 1966 che avevano appena firmato un rinnovo contrattuale nel quale avevano concesso poco o nulla alla parte operaia. “E’ stato un errore, mi disse mio padre, che pure militava nella parte opposta, ce ne pentiremo”. E tre anni dopo ci fu l’autunno caldo.
E poi, se di relazioni industriali anche recenti vogliamo parlare, io credo che non vada dimenticato che queste hanno dato prova di grande vitalità non tanto tempo fa, appena diciotto mesi or sono, quando agli albori della pandemia imprenditori e sindacati riuscirono a trovare un accordo di alta qualità per decidere quali fabbriche dovessero restare chiuse, quali riaprire in sicurezza. E’ grazie a quegli accordi che l’Italia oggi riesce a esibire risultati brillanti della sua economia. Forse anche oggi abbiamo relazioni industriali di grande livello. Ci possono essere errori e incertezze, ma la strada virtuosa è segnata e ben conosciuta.
Massimo Mascini