Prepariamoci al peggio. Siegmund Ginzberg conclude il suo inquietante libro “Sindrome 1933”, l’anno dell’ascesa al potere di Adolf Hitler, citando Shakespeare, Re Lear. So and worse I may be yet: the worst is not long as we can say “this is the worst”. Già, le cose sono brutte ma possono diventare orribili. Le crisi, avverte lo sconsolato autore, si consumano al rallentatore ma le catastrofi arrivano sempre all’improvviso, colgono alla sprovvista.
Tante le analogie tra il crollo della Repubblica di Weimar e l’odierno coma della democrazia. È stato detto e ripetuto. Certo, questo non significa che sia alle porte il ritorno del nazismo e del suo fratello maggiore, il fascismo. Anzi, il continuo agitare questi spettri sembra ottenere l’effetto contrario di quello sperato da chi lancia l’allarme: invece di rinforzare gli anticorpi della società, sta assumendo il tono di un vano e inascoltato grido “al lupo, al lupo” che suscita reazioni di insofferenza e di derisione. In ampi strati della popolazione viene anzi vissuto come l’alibi delle vituperate élite per continuare a fare i propri porci comodi.
La Repubblica dei magnaccia. Questo è l’infame giudizio che erompe come un vomito obbrobrioso dal ventre del rancore e dell’odio sociale. Sì, chi ha seminato zizzania ora raccoglie tempesta. E se i paragoni storici ed economici con gli anni venti e trenta appaiono come una strumentale forzatura, di certo simile è il clima di intolleranza e di cecità. Da noi, in particolare. Perché se è vero che pulsioni del genere agitano tutta l’Europa, di pari passo negli altri Paesi cresce la volontà di reagire. In Italia no, come hanno dimostrato le recenti elezioni. Siamo ancora una volta un laboratorio di imprevedibili avventurismi. Sì, c’è stata una ripresa dell’opposizione, incarnata dal Pd, e i segnali di combattiva mobilitazione aumentano ma non è il caso di farsi illusioni: la maggioranza del Paese, che è sempre stata conservatrice con punte reazionarie, si sta spostando irresistibilmente verso la nuova destra.
Le analisi consolatorie sono pericolose e fuorvianti. Negano quello che è il substrato culturale e metapolitico dell’anomalia italiana. Per capirlo basta entrare in un bar, salire su un bus o la metro, frequentare una palestra, ascoltare le chiacchiere al supermercato. Tutto sommato Mussolini ha fatto cose buone, anche se poi ha esagerato. Ora rubano tutti. Ci vorrebbe uno come lui, che metta le cose a posto. Gli immigrati e i Rom sporcano, stuprano e hanno più diritti di noi. Il papa se li prendesse a casa sua. Questi (non è chiaro chi ma in genere ci si riferisce alla sinistra) sanno solo fare gli interessi loro e delle banche. Siamo schiavi della Francia e della Germania. La colpa è tutta dell’Unione. L’euro è stata una fregatura per scelta di Prodi. Dobbiamo utilizzare l’oro di Bankitalia. Il debito pubblico è un’invenzione. Torniamo alla lira. Sì, ho votato Salvini e sono pronto a rifarlo. Anch’io, anch’io, anch’io. Pure la Meloni però non è male, dice le cose giuste.
Questo è il clima. L’annunciato e agognato scontro con la Ue ci porterà nel baratro. Ora l’imbelle Giuseppe Conte dichiara che non intende “vivacchiare” e si appella al senso di responsabilità dei due vicepremier. E allora le strade sono due: o il governo va avanti nella sua pericolosa rissosità, mischiando estremismo e improvvisazione, o si torna al voto. E all’orizzonte si stagliano un esecutivo che avrà come asse portante la Lega e Fratelli d’Italia, tale da far impallidire il ricordo di Tambroni sorretto dal Msi, e un Parlamento illiberale che dovrà eleggere il successore di Sergio Mattarella.
Sì, è giusto chiamare in causa Shakespeare. Non sono mai stato così male ma posso star peggio.
Marco Cianca