Diverse compagne e compagni, ovviamente sopravvalutandomi, mi hanno chiesto e chiedono un parere sul recente rinnovo del CCNL metalmeccanico (probabilmente qualcuno me lo chiede anche con malizia)…
Non ho problemi a dire quello che penso anche perchè con i compagni con cui ho parlato, anche della Fiom, ho ovviamente detto quanto scrivo ora qui.
Con alcune premesse che non sono formali ma di sostanza:
1) Ogni trattativa ha la sua storia, i suoi passati rinnovi (che pesano per tutti) e un contesto specifico sia relativo ai rapporti di forza che “alla fase” più generale, per cui è proprio vero il detto che per commentare una trattativa bisognerebbe prima di tutto essere al tavolo.
2) Tutti i rinnovi del 2020 sono stati accumunati, a mio parere, da almeno 3 difficoltà (con pesi e dinamiche diverse, ma nei “dettagli” simili) in parte eredità del passato anche recente in parte oggettivamente “non prevedibili”:
– la pandemia, che ha inciso diversamente nei settori e nei territori, ha accellerato processi organizzativi e tecnologici già presenti (non solo smart working per essere chiari, ma anche le ri organizzazioni di funzioni di produzione, progettazione, marketing, ecc.), ha comunque pesato e spinto alcune imprese a pianificare investimenti per accellerare la ripresa ma ha spinto anche altre imprese a “strumentalizzare” la crisi sanitaria per abbattere oltre il ragionevole i “costi contrattuali complessivi”, confidando anche sulle difficoltà di organizzare iniziative di mobilitazione viste le norme anti covid;
– il tentativo politico iniziale di Bonimi di Confindustria di usare le relazioni industriali ed i rinnovi in chiave politica versus il Governo (si veda vicenda significativa degli alimentaristi, del Legno ecc.) e comunque per dimostrare che finalmente era arrivata la “dura razza padana”;
– il venir meno (ma questa è veramente una sensazione che per il rinnovo metalmeccanico solo i compagni della Fiom potrebbero confermare o smentire e che per esempio non si è registrata per il rinnovo del CCNL delle TLC) del ruolo “trainante” che di solito hanno sempre avuto le grandi aziende nelle fasi di “stretta” (tradotto: nella crisi di rappresentanza che anche Confindustria ha, sempre maggiore è il peso delle piccole e medie aziende che, per capacità di investimento, sottocapitalizzazione, ecc. hanno più difficoltà ad accettare sfide).
Premesso tutto ciò ho letto i testi e, concentrandomi sugli interventi e temi più importanti, ritengo interessante e potenzialmente ricca di sviluppi in azienda ( magari legandola il più possibile a formazione contrattata) l’operazione inquadramento.
Li veramente vedo una bellissima operazione sia perchè nel periodo di passaggio da vecchio a nuovo inquadramento si può provare a giocare una partita con delegati ecc., sia perchè la strada aperta difficilmente potrà vedere una marcia indietro al prossimo rinnovo (anzi visto il lavorone sulle schede mansioni, si potrà/dovrà completare).
Corretto è il rinvio al patto della fabbrica per blindare perimetri manutenzioni e, comunque, l’aver definito meglio la platea per le clausole sociali negli appalti pubblici aiuta ad una migliore gestione del codice appalti (qui i meccanici forse pongono un punto corretto ed in più, nell’avviso comune finale, aggredendo i global service; è l’annoso tema dei perimetri contrattuali e delle invasioni di campo, con tanto di dumping che ci facciamo tra noi; tema che per esempio anche noi edili abbiamo nei confronti del ccnl multi servizi e qualche volta con lo stesso CCNL metalmeccanico….).
Sul salario infine si è ricorso alla cosidetta “fantasia dei contrattualisti” per cui hai si – formalmente – le verifiche inflattive ex post con riferimento a Ipca Depurato ogni giugno, ma di fatto – è questa la vera sconfitta della linea Bonomi – solo a salire perché comunque il CCNL blinda ” l’aumento minimo sui minimi” – scusate pessimo gioco di battute – con aumenti tem legati ad innovazione (inquadramenti).
Il famoso punto 5 dell’Accordo Interconfederale che noi tutti abbiamo sempre interpretato escludendo che gli aumenti sui minimi (TEM) dovessero solo essere mera inflazione.
Un po’ come ha fatto la Fillea nel CCNL del Legno per cui a 50 euro di aumenti sui minimi a parametro 100 legati alla produttività dati “a prescindere”, poi si aggiunge verifica inflattiva annuale (su questo c’è stato il vero scontro, uno sciopero generale fatto a febbraio 2020 e un secondo proclamato per l’autunno, poi non fatto perchè si è giunti alla firma).
Questo punto politico sindacale nel CCNL metalmeccanico è un risultato non scontato e – mi scuseranno le compagne e compagni – visto il contesto e visto il punto finale positivo di arrivo in un CCNL comunque “politicamente e quantitativamente” importante come quello dei metalmeccanici, fermarsi a guardare se il CCNL vale 3 anni e mezzo 4 anni, 4 anni e mezzo, ecc. è come guardare “il dito e non la luna”…
Ora, nel fare i primi bilanci di questa tornata, si apre, secondo me, un tema per tutti (e per i prossimi rinnovi) importante su cui riflettere tutti insieme, anche con CISl e UIL registrando la positiva tenuta unitaria (certo non senza difficoltà e qualche furbizia, ma ci sta) in tutti i principali rinnovi…
Oggi di fatto sul salario, sulla funzione di autorità salariale del CCNL, sull’uso degli aumenti salariali anche ai fini industriali (la famosa “frusta salariale” di Sylos Labini) e di aumento dei consumi interni (oltre la leva fiscale per capirci) di fatto convivono tre modelli:
– quello dei chimici, alimentaristi, edili (cito solo quelli che conosco un pò) che hanno aumenti sui minimi puri (vecchia scuola), legandola a elementi di “produttività diffusa”, “buone pratiche”, rapporti di forza, ecc.;
– quello del CCNL legno che certifica l’esistenza di due piste salariali: una cifra X (50 euro parametro 100 + verifiche inflattive a Gennaio su IPCA NON DEPURATA) ed in parte quello del CCNL delle TLC;
– quello dei metalmeccanici che dice vi sono aumenti minimi garantiti (i famosi 100 euro all’ex 3° livello) che possono aumentare se vi è una fiammata inflattiva (ad oggi più un obiettivo macro economico che una certezza), ma che non possono sicuramente scendere anche in caso di inflazione “piatta o negativa” di fatto (la più probabile almeno per 2021 e 22).
Sapendo che si partiva da un modello di aumenti solo inflattivi ex post (quando forse si pagò il pegno anche al “rientro”), questa terza soluzione la trovo di buon senso e – per le cose che ho provato a dire – penso veramente che le compagne e compagni della Fiom insieme a Fim e Uil (oltre a confermare i vecchi “pacchetti” formazione e welfare) hanno fatto un buon lavoro e di più sarebbe stato impossibile…
Rimane però il tema per il futuro per cui, di fatto, occorre (penso al 2° o 3° modello, quello Legno e metalmeccanico) ogni volta “inventarci” una “clausola innovazione” o una “clausola produttività diffusa”.
Perchè il nodo che Confindustria non vuole sciogliere è quello di fondo: il CCNL, – vista anche la specificità italiana di molte PMI, di una contrattazione di 2° livello poco diffusa (anche dove siamo al top non copre mai oltre il 20/30% dei lavoratori) e di una pervasività tecnologica che sempre di più “estrae” valore in termini di sistema e filiera più che di singola azienda (un tema anche più complesso rispetto alla “frammentazione” dei cicli operata con appalti, terziarizzazioni, ecc.)- deve farsi carico di redistribuire quella ricchezza e produttività che si genera anche dove non c’è il 2° livello (e non parlo dei riconoscimenti economici che il CCNL da per mancata contrattazione di secondo livello, chiamati in modi diversi dai diversi CCNL) oppure no (di fatto continuando a favorire ulteriore frantumazione nelle scale salariali di fatto dei lavoratori)?
Questa l’ambiguità non sciolta fino in fondo tra noi e Confindustria per cui ogni rinnovo sarà uno scontro tra chi dice il CCNL deve al massimo difendere il potere d’acquisto ex post (di fatto rinunciando ad essere, il CCNL, anche strumento di politica micro economica, che agisce su incentivare investimenti in capitale e su aumento consumi interni – obiettivo aumentare l’inflazione a quel 3-4% che oggi chiede anche la BCE tanto per capirci) e chi come noi, CGIL, dice che il CCNL deve anche aumentare il potere d’acquisto in una funzione “industriale ed economica”, appunto, più complessiva.
E questa discussione (ma non è oggetto di questo appunto) si intreccia o no e come con la discussione sul salario minimo? (Note sono le mie perplessità a tenere insieme articolo 36 e 39, risolvendo per me con l’applicazione del 39, cioè la legge sulla rappresentanza, anche il tema del salario minimo – forza dell’erga omnes…)
Ma per tornare al punto della dialettica sulla funzione salariale, tra sindacato e Confindustria, concludo – per adesso – con una “banalità”.
Questo problema “di interpretazione” in sè non mi stupisce: una parte del padronato proverà ancora a competere sulla “svalutazione del lavoro” e il movimento sindacale continuerà a rivendicare (secondo me anche più in sintonia con i tempi e con le sfide che abbiamo di fronte) più salario e più formazione, perchè sempre di più – nella divisione internazionale del lavoro – si vince se ci si posiziona nella parte alta, cercando su questo l’alleanza con la parte più avanzata e lungimirante delle aziende….
Per adesso, visti i rinnovi fatti e senza nasconderci difficoltà e parzialità, stiamo 1 a 0 per noi. Non era scontato e dobbiamo esserne un pò anche orgogliosi viste le difficoltà di questi tempi.
E ora che la palla si rimette al centro… vale il detto “palla lunga e pedalare”…
Alessandro Genovesi – Segretario Generale Fillea CGIL