L’Italia è tra i paesi che sembrano soffrire maggiormente della crisi internazionale. Se i paesi del Nord Europa continuare a crescere se pur di poco, l’Italia è in piena recessione.
Stefania Pomante, segretario nazionale e responsabile del settore tessile per la Filctem Cgil, come è la situazione generale nel settore del tessile?
Abbastanza complicata poiché alcuni elementi di crisi avevano già investito il tessile prima di altri settori. Stiamo lavorando perché il settore possa riprendersi.
In che modo state lavorando?
Abbiamo aperto molti tavoli vertenziali come Miroglio e Omsa. Purtroppo dopo anni le vertenze sono arrivate alla conclusione imminente. La cassa integrazione è infatti, terminata. Come sindacato chiediamo che venga prorogata, ma senza un nuovo insediamento industriale non ci sono prospettive.
Nel caso della Miroglio in Puglia e della Omsa a Faenza e in Abruzzo ci sono stati proposte interessanti?
All’inizio sì, ma poi si sono dimostrate non praticabili. Siamo quindi di fronte a un nuovo bivio. Sono previste alcune ipotesi, ma la situazione di crisi attuale, con il prosciugamento del credito ha visto acuire il problema. Per la Miroglio, per esempio, il progetto della città della tessitura è positivo perché ricompone la filiera, ma se non ci sarà il credito non decollerà.
Che può fare il governo?
Abbiamo i tavoli al ministero aperti e rapporti con tutte le istituzioni interessate. Il ministero deve vagliare la credibilità delle varie proposte. Inoltre può facilitare l’erogazione del credito da parte delle banche e facilitare i rapporti tra i gruppi che chiudono i loro siti industriali e le aziende interessate a subentrare. Infine, è importante prolungare la cassa integrazione fino al compimento della nuova industrializzione.
Quando sono i prossimi incontri?
Il tavolo Omsa si terrà il 12 gennaio, mentre quello per la Miroglio il 17.
É possibile produrre in Italia e vendere ai cinesi?
Sicuramente sì. Bisogna però puntare su innovazione, qualità e tecnologia. Fino ad oggi però spesso si è mantenuta la testa dell’azienda in Italia e si è spostato parte della produzione all’estero distruggendo la filiera. Dobbiamo invertire questo trend.
In alcuni casi più che sulle tecnologie si è ricorsi al lavoro nero e all’illegalità per competere sui costi.
In molte parti del paese questo è evidente. Spesso manca il controllo su come la filiera realizza le commesse. Spesso per i grandi gruppi basta che i prodotti siano competitivi sui costi. Il mondo sindacale dovrebbe intraprendere una riflessione su questo fenomeno.
In Italia sembra passare il messaggio che tollerare il nero o l’illegalità permetta alle aziende di continuare a produrre nel nostro paese non delocalizzando.
Purtroppo è così, ma si tratta di un grossolano errore. Tollerare illegalità e il lavoro nero vuol dire impedire quel processo di investimenti sull’innovazione e sulla qualità che invece è l’unica ricetta che può portarci a vincere le sfide che i mercati ci pongono. Inoltre, così si tollerano gli incidenti sul lavoro e la fine dei diritti dei lavoratori. In Italia bisognerebbe fare un lavoro anche sul linguaggio. La parola “sommerso” è come se contenesse una forma di mediazione che implica il riemergere di questo lavoro. Nella realtà questo non avviene. Per questo bisognerebbe parlare semplicemente di lavoro legale o illegale.
Ci sono degli esempi virtuosi tra le aziende italiane?
Ci si sono alcune aziende, come per esempio Luxottica, che non hanno chiuso siti produttivi in Italia e allo stesso tempo hanno fatto importanti acquisizioni all’estero. Creando così un giusto equilibrio tra la produzione nel nostro paese e quella in altri. L’azienda non ha delocalizzato, ma si è espansa.
Spesso si mette l’etichetta “Made in Italy” su prodotti che sono semplicemente assemblati nel nostro paese. Una maggiore trasparenza dell’etichettatura potrebbe aiutare a conservare la produzione nel nostro paese?
Chiediamo all’Unione Europea di procedere in questa direzione. Nulla contro il fatto che alcune parti dei prodotti possano essere fatte all’estero, ma ci vuole trasparenza e equilibrio.
Luca Fortis