Il Ministro Poletti non ha fatto retorica. Anzi, è stato molto franco: l’orario di lavoro è un morto che cammina. Si tratta degli effetti della rivoluzione tecnologica che ha aperto le porte alla cancellazione dei vincoli di orario in una logica del risultato. Proprio come è accaduto qualche anno alla Virgin. In una parola, allo smart working. Che può riassumersi in tre parole: “work anywhere, anytime”. Grazie alla possibilità di essere ininterrottamente connessi con il luogo del lavoro, da qui a 20 anni, ogni lavoratore potrà decidere i propri tempi di lavoro e di riposo. Contro i tempi decisi da qualcun altro. Nessun ostacolo per quei lavori strettamente legati al rispetto di un orario di lavoro, come ad esempio quelli di conduzione dei mezzi di trasporto ferroviari, che saranno interamante sostituti dall’automazione.
Se sono impazzate le polemiche su Poletti, è perché il nostro è ancora un paese legato all’idea del conflitto tra capitale e lavoro. E l’idea di un lavoro senza orario ha dato l’impressione di una vittoria del capitale. Semplicemente, ha vinto il timore che, in questo modo, la “merce lavoro” diventasse vittima indifesa degli incondizionati desiderata del capitale.
Queste polemiche, però, non hanno tenuto in conto che il conflitto tra capitale e lavoro non ha più ragion d’essere. Perché vive una lenta agonia il rapporto stesso tra capitale e lavoro per un motivo semplice.Grazie alla tecnologia, va diminuendo la necessità di lavorare, e dunque di offrire la propria prestazione al capitale, per assicurarsi potere di acquisto. Facciamo tre esempi per capirlo.
Il primo è quello delle c.d. stampanti 3D che daranno ben presto la possibilità di produrre a costo zero tra le mura domestiche i manufatti che oggi acquistiamo, ad un costo variabile, nei supermercati.
Il secondo è quello di impianti di approvvigionamento dell’energia che, già oggi, danno la passibilità di garantirsi, per mezzo di fonti naturali (dal sole al vento) l’energia che, sino a ieri, abbiamo acquistato dai grossi produttori.
Il terzo, e quello con maggiore sex appeal, è il commons collaborativo, o per meglio dire la sharing economy grazie a cui è possibile fruire a costo zero, o comunque ad uno irrisorio, di una quantità crescente di servizi. Dall’ascolto della musica alla lettura dei giornali al trasporto sotto forma di uber, blablacar e cosi via dicendo.
Se cosi stanno le cose, la situazione si fa paradossale. Siamo il paese che ha dato i natali all’Icub, l’umanoide più completo sulla faccia della Terra, e quello che, a differenza degli altri, si sdegna di raccogliere i frutti della rivoluzione tecnologica. E’ proprio vero allora. Siamo italioti.
Ciro Cafiero