Aris Accornero – Ordinario di sociologia industriale all’Università di Roma La Sapienza
L’Aran – l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni – ha promosso e presentato nei giorni scorsi un’ampia e interessante ricerca sulla contrattazione integrativa per il quadriennio contrattuale 1998-2001. Da essa emerge non soltanto un quadro esauriente della contrattazione integrativa, ma anche un’immagine in chiaroscuro della pubblica amministrazione stessa, dove vigono modelli gestionali abissalmente lontani: basta confrontare le analisi fatte sulle amministrazioni comunali di Padova e di Potenza.
Il risultato che più colpisce è il persistere di una scarsa attenzione alla risorsa umana, non surrogata neppure laddove le relazioni sindacali appaiono funzionanti. Scarsi sono la comunicazione diretta e il coinvolgimento dei dipendenti, che decresce al salire delle dimensioni della sede o dell’ente. Mantiene inoltre un considerevole peso la gestione “politica” delle risorse umane, che rinuncia a dotarsi di strumenti appropriati e dove hanno un certo peso gli ex sindacalisti. Nonostante la legge abbia razionalizzato la presenza sindacale ai tavoli negoziali, persiste anche la frammentazione della rappresentanza dei lavoratori, che è maggiore nei ministeri (anche quelli piccoli) e nel Mezzogiorno.
Questa frammentazione accresce la conflittualità, quanto meno attraverso la frequente rottura delle trattative; ciò complica il processo negoziale anche se non sfocia spesso in azioni di sciopero. In effetti, ci sono più astensioni al Nord, forse perché qui l’approccio è meno ritualistico e/o le amministrazioni sono più determinate. Ci sono comunque meno rotture e scioperi quando c’è un governo “politico” dell’amministrazione e mancano pertanto appositi uffici per le relazioni sindacali. (Ciò fa pensare talvolta che questi organi sviluppino la funzione… del conflitto, e che proprio questo motivo ne ostacoli l’estensione.)
Contrattazione e tutela sono molto estese, e le materie trattate tendono a crescere quando i soggetti che negoziano sono più numerosi, il che fa pensare all’utilità razionalizzante dell’unità sindacale. L’aspetto più nuovo della contrattazione è quello delle “posizioni organizzative” di tipo funzionale, che stanno affermandosi assai meglio al Nord proprio perché la rappresentanza è meno frammentata. Il riassetto professionale della dirigenza sta procedendo, ma soprattutto con politiche da “mercato interno” e senza vere novità di trattamento, visto che la parte dinamica della remunerazione costituisce una piccola quota dello stipendio. Ma ciò vale anche per l’utilizzo del lavoro non standard, che le amministrazioni interpellate conoscono ma che impiegano in quote molto basse, per non dire risibili. Inoltre, questa modernizzazione risulta ancora parziale perché i trattamenti sono assai poco riferiti alla resa e basso è ancora il turnover.
Rispetto ai drammatici cambiamenti che il post-fordismo introduce nel settore privato (e che le leggi delegate del Governo Berlusconi potrebbero accentuare), la pubblica amministrazione resta impenetrabile, presentantosi come un altro mondo del lavoro. Un mondo la cui produttività è bassa innanzitutto perché al suo interno, nonostante la semplificazione avviata dalla riforma Bassanini, permangono troppi passaggi per ciascun atto. Il privato e il mercato non sono certo la giusta “cura” omeopatica. Ma ci si deve rendere conto che due mondi del lavoro non sono socialmente accettabili. Quindi il motto per i pubblici dipendenti deve essere: “Più garantiti ma più produttivi”.